Ann Maxwell - I danzatori del fuoco

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Questo libro della Maxwell ha immediatamente riscosso un enorme successo di pubblico presso gli appassionati di fantascienza.
La giovane autrice americana ha avuto la felice ispirazione di creare due razze assai singolari le cui caratteristiche psico-fisiologiche sono quanto di più originale sia stato dato di leggere sulle pagine di un libro di fantascienza.
Infatti, i componenti la razza dei Senyasi hanno un dominio totale sugli elementi (terra, acqua, fuoco, aria) che deriva loro dalle Linee di Potenza, un intricato arabesco che costella la loro epidermide e che si illumina quando l’individuo che le possiede pone in atto i suoi poteri.
Rheba e Kirtn, i due protagonisti del Ciclo del quale I DANZATORI DEL FUOCO costituisce il primo volume, sono gli unici superstiti di uno spaventoso, rogo che ha completamente distrutto il pianeta loro sede d’origine.
Alla ricerca di altri eventuali superstiti, percorrono la galassia in lungo e in largo e, specificatamente in questo primo episodio delle loro avventure, si trovano a dover evadere dal pianeta Loo dove sono stati ridotti in schiavitù, una schiavitù dalla quale sembra impossibile fuggire…

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«La prima è che anch’io detesto voi. E la seconda è l’interesse per i manufatti di artigianato Bre’n».

Un lato della bocca dell’uomo si contrasse, rivelando stupore o forse un impulso di rabbia. «Manufatti Bre’n? …», chiese tuttavia.

Rheba spostò indietro i capelli dorati rivelando un largo orecchino. Anch’esso era una mascherina raffigurante il volto di un Bre’n, sebbene solo Kirtn sapesse quale in particolare. La ragazza ricordava di avergli chiesto soltanto una volta a chi appartenesse quella faccia, e lui non le aveva risposto.

«Riconoscete la fattura?» domandò, girando la testa per mostrargli meglio il pendente.

Gli occhi dell’uomo ebbero un lampo, poi si passò le mani sulle ginocchia in un gesto che rivelava tensione. Distrarsi dal gioco proprio in quel momento non gli riusciva gradito.

«Dove lo hai avuto?», chiese comunque.

Rheba sorrise appena. «Allora sono tre le cose che abbiamo in comune, perché questa è la stessa domanda che volevo rivolgere a voi. Le informazioni sono una merce di scambio che posso pagare. Vogliamo trattare?»

Mentre parlava la sua mano destra era scivolata in una tasca del vestito chiudendosi attorno a un pacchettino di gemme. Quelle poche pietre preziose erano l’intera ricchezza sua e di Kirtn, e le avrebbe cedute tutte senza esitare pur di avere l’indizio che le premeva: Mercante Jal aveva avuto contatto con altri superstiti Senyasì o Bre’n?

Ma l’uomo non la degnava più della sua attenzione, perché un giocatore che si trovava al quinto livello della piramide gli parlò in una lingua che ella non aveva mai sentito. Jal ribatté qualcosa in tonò sferzante, poi le sue dita danzarono con rabbia sulla tastiera del suo computer di gara. Sul soffitto-schermo della sala le nebulose strisce degli uragani spaziali e i vortici dei buchi neri mutarono colore e direzione, e dai circa duecento partecipanti si levarono sia imprecazioni che esclamazioni di sollievo. Un nuovo ciclo di gioco con nuove regole ebbe inizio.

Rheba cercò invano di attrarre ancora l’attenzione di Jal, che aveva ripreso a occuparsi del gioco e non s’interessava d’altro. La ragazza strinse i denti, intuendo che lo sgradevole individuo non l’avrebbe neppure guardata, almeno finché i suoi interessi pecuniari erano in ballo. Si volse allora a uno spettatore che s’era fermato alla ringhiera, e che esibiva un distintivo da Giocatore Dilettante appeso al lobo di un orecchio.

«Quanto può durare in media un ciclo di gioco?», gli chiese.

L’uomo consultò rapidamente un minicomputer da polso, e osservò la risposta. «Calcolando che Mercante Jal è uno dei Professionisti più abili della città, direi che prima di diciassette ore nessuno riuscirà a toglierlo dal gioco. E se resta al primo livello per tutto questo tempo, potrà ammassare una bella sommetta».

Rheba emise un mugolio scoraggiato. Per ogni minuto d’orologio che la loro astronave trascorreva in sosta allo scalo portuale, dal loro deposito in AVO (Acconto in Valuta di Onan) venivano prelevati 23 crediti. Lei e Kirtn non potevano permettersi d’aspettare che Jal rimanesse in bolletta o decidesse di ritirarsi dopo aver vinto il massimo possibile. Dunque sarebbe toccato a lei cercare di abbreviare la durata di quel ciclo di gioco.

La ragazza si presentò alla stazione d’entrata del Caos, acquistò per dieci crediti un orecchino che la qualificava come Giocatrice Dilettante, e s’infilò in un orecchio l’auricolare collegato al computer centrale del casinò. Poi batté la sua richiesta sul terminale, e ascoltò con attenzione mentre una sibilante voce elettronica le snocciolava le regole del ciclo appena iniziato. Intanto che compiva quell’operazione un’altra norma venne modificata, cambiando l’aspetto generale del gioco come il rannuvolarsi del cielo ne altera la luminosità. Con una smorfia si fece ripetere daccapo l’intero regolamento aggiornato.

In sintesi, il Caos consisteva nella lotta di pianeti e di intere galassie contro le forze cieche dei buchi neri e degli uragani. Questi ultimi erano in movimento sul soffitto-schermo secondo rotte che il computer programmava a caso, mentre i giocatori a loro volta programmavano i loro corpi celesti su orbite difensive. La lotta per non venire assorbiti da un buco nero o distrutti da un uragano era complicata, ma rappresentava solo una parte delle difficoltà, perché chi possedeva una o più galassie ne usava la forza di spinta per mandare alla distruzione corpi celesti più piccoli.

A livello del suolo, ovvero ai tavoli intorno al primo livello della piramide, tenere in gioco un pianeta costava relativamente poco. Ma sui gradini della piramide di cristallo si perdevano o vincevano somme sempre più elevate, a seconda del livello su quale si operava. Chi poteva mettere in orbita un sistema solare occupava il primo gradino, mentre sul secondo e sul terzo vi erano soltanto proprietari di galassie, e così via fino al sesto. Ogni corpo celeste aveva un suo colore, o una combinazione di colori, che ne indicava il proprietario, e potevano essere tutti vinti o perduti con relativo accredito di denaro sul terminale di chi aveva avuto la meglio. Ovviamente il computer del casinò accettava in gioco solo chi gli forniva la sigla del suo deposito bancario in AVO, su cui effettuava automaticamente depositi o prelievi.

Tuttavia in quel momento non c’erano posti liberi a nessuno dei primi e più economici livelli di gioco. Rheba avrebbe avuto la possibilità di accedere al quarto gradino, ma dovette rinunciarvi perché non era in grado di pagare neanche quella che veniva chiamata la scommessa minima. Sul suo piccolo trono Jal aveva invece diritto d’incamerare una quota delle somme giocate al terzo livello, ed era chiaro che nulla al mondo l’avrebbe persuaso ad abbandonare spontaneamente una posizione tanto lucrativa. La ragazza decise d’introdursi in qualche modo al livello inferiore, ed una volta entrata avrebbe tentato di scalzare via Jal dal suo posto.

Un giretto intorno alla ringhiera che circondava i tavoli le diede l’opportunità d’individuare la sua prima preda: un individuo dall’aria di un drogato, il cui terminale mostrava un deposito AVO ridotto ad appena 50 crediti. Gli si accostò scivolando fra la gente che si assiepava lungo la balaustra, e quando gli fu accanto mosse le mani con fare noncurante. I suoi capelli vaporosi ondeggiarono appena. Da lì a pochi secondi l’individuo preso di mira cominciò a passarsi le mani sul collo, come se boccheggiasse in cerca d’aria, e la sua fronte s’imperlò di sudore. Infine balzò in piedi, col volto congestionato, e fendendo la calca si precipitò all’uscita del casinò, avido di respirare l’aria più fresca della strada.

Rheba approfittò di quegli istanti di confusione per sedersi con tutta calma al posto rimasto libero. Il terminale era automaticamente scattato a zero. Osservò il grande soffitto-schermo, dove i particolari di quella titanica lotta mutavano a seconda degli impulsi inviati continuamente dai giocatori, poi batté il suo codice personale, e si vide fornire l’ammontare del suo AVO. Subito dalla cifra venne detratta la scommessa minima per il livello di base, 10 crediti che le diedero diritto a un minuscolo pianeta rosso e giallo posto su un’orbita pericolosa. Era nel gioco e avrebbe dovuto restarvi rischiando il meno possibile.

Dapprima spese solo i crediti bastanti a spostare il suo pianetino lontano da un uragano spaziale, e fu soddisfatta nel vedersi restituire la somma quand’ebbe superato il periodo minimo di sopravvivenza. Apparentemente le regole in vigore in quel momento facilitavano le cose ai piccoli giocatori. La sua attenzione era però concentrata sul tipo di energia con cui il gigantesco videogame agiva. Si trattava d’impulsi elettronici così rapidi che comprendere il meccanismo delle loro pulsazioni era quasi impossibile, anche per lei che era abituata a maneggiare energie forti e brucianti.

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