Le possibilità si moltiplicavano nella sua mente. Era facile dimenticarsi della situazione vivendo in compartimenti sicuri sotto la superficie dei pianeti, ma l’ambiente spaziale era costantemente in guerra con gli animali che respiravano aria. L’unico vantaggio era stato rappresentato dal fatto che l’ambiente, ostile, non era malevolo. Non cercava deliberatamente di distruggere gli esseri umani. Se si prendevano le precauzioni adeguate, poteva diventare inoffensivo.
Ma con milioni di sabotatori, di soldati perfettamente adattati all’ambiente spaziale…
A pensare a Parameter si sentiva male. Conosceva un po’ la complessità interna di un simb, quella che gli permetteva di vivere nello spazio. Solstizio poteva modificare il corpo a piacimento, affrontare qualsiasi situazione, o quasi. Non era difficile credere che dissolvesse la sottile linea che divideva il proprio corpo da quello di Parameter, fondendoli tutti e due in un organismo di un’efficienza suprema. Ma cosa sarebbe rimasto di Parameter come essere umano? Parameter aveva detto a Lilo che, per quanto una coppia fosse molto unita e potesse quasi essere considerata un essere unico, tuttavia restava sempre qualcosa di ciascuno con un’identità separata. Ciò non sarebbe stato più vero se i Mercanti avessero attuato la loro minaccia. Sarebbe rimasto solo Solstizio, e Lilo non si era mai pienamente fidata del simb.
Era una sfiducia giustificata? Era anche Solstizio un pupazzo nelle mani dei Mercanti, un alleato potenziale involontario?
Lilo stava per cercare di scoprirlo, ma un forte rumore la interruppe. Era una specie di sirena, e tutti i Mercanti alzarono lo sguardo costernati. O almeno, cercarono di assumere un’espressione preoccupata; Lilo rabbrividì di nuovo nel vedere quanto potessero sembrare diversi sebbene avessero l’aspetto di esseri umani.
«Un momento,» esclamò William. «Un momento. Sembra che ci sia qualche problema. Farò…» Si interruppe un attimo, e all’improvviso non sembrò affatto umano. Aveva gli occhi chiusi e tutti i muscoli rilassati. Javelin era in piedi e guardava preoccupata le pareti della stanza. Vaffa aveva fatto cadere la sedia e si era allontanata dal tavolo. Anche Lilo si ritrovò in piedi.
Quando riprese a parlare, la voce di William era cambiata.
«È stata rilevata attività da parte degli Invasori,» disse, e poi le sue parole diventarono un borbottio incomprensibile per Lilo, ma evidentemente allarmante per i Mercanti. Il gruppo si agitò incerto.
Lilo-Diana continuò a stringere l’arpione mentre l’animale si dirigeva verso le profondità dell’oceano. Arrivò al fondo e continuò a nuotargli con forza parallelamente.
L’adrenalina cominciò lentamente a svanire e a Lilo rimase l’amaro sapore della sconfitta. Non aveva ucciso la bestia, e forse non sarebbe riuscita a farlo. Non era nemmeno sicura di averle fatto male.
Alla fine mollò la presa e la balena scomparve nell’acqua blu. Lilo rimase sospesa a mezz’acqua, senza affondare e senza risalire.
E adesso cosa doveva fare? Si toccò la valvola sul petto. Poteva disattivare la tuta e affogare rapidamente. Oppure risalire in superficie e dirigersi verso riva. Probabilmente ce l’avrebbe fatta, grazie all’aria della tuta, ma lo voleva davvero?
C’era qualcosa sopra di lei.
Senza sapere perché, si spostò verso l’alto per andargli incontro.
La forma diventava via via sèmpre più grande — ( sotto di me adesso, e continua a scendere ) — e le sbatté in faccia. Giallo? No, molti colori — ( un giallo più profondo delle nuvole in tumulto che mi si accavallano intorno, un’altra delle cose simili a quella dentro cui ero caduta tanti anni prima ) — tutti i colori e tutte le forme, contenuti in una forma sola.
Si sentì il cuore in gola. Stava cadendo.
Non so per quanto tempo caddi, ma forse la domanda non ha senso. Cadevo attraverso lo spazio e il tempo, e attraverso la mia vita.
Non fu più possibile sapere chi o dove fossi. Ogni secondo della mia vita esisteva contemporaneamente. Stavo in piedi su una pianura rocciosa sotto una luce violenta, e sapevo che ero sul mondo che un tempo veniva chiamato Poseidone e che ora era a due anni luce dal sole;
piangendo disperatamente, con un sentimento così intenso che non ne avrei mai provato un altro uguale in vita mia, con in grembo la testa di un uomo morto;
cadendo attraverso l’atmosfera gioviana;
davanti a un uomo chiamato Vaffa, mentre osservavo la sua arma alzarsi al rallentatore e udivo un’esplosione;
tenendo un coltello in mano e pensavo al suicidio;
guardando un pesce in una vasca circolare ruotante;
correndo fra gli alberi sotto un cocente sole azzurro e ridevo;
parlando con un uomo chiamato Quince nel bagno pubblico di Plutone;
seduta in una sala riunioni al centro di una ruota di settanta chilometri di diametro e guardavo un film;
sentendo un pene eretto penetrarmi nel corpo mentre le luci lampeggiavano sulle pareti della mia stanza;
davanti a Vaffa, mentre la sua pistola si alzava per uccidermi;
venendo in vita in una vasca di fluido giallo;
tenendo per mano mia madre, a cinque anni, mentre seguivamo il trasportatore che trasferiva le nostre cose in una nuova casa;
seduta nel riflesso verde del terminale del mio computer e studiavo un’interessante interpretazione dei dati della Linea Calda;
attraccando con una grossa nave colonizzatrice che orbitava intorno a 82 Eridani. Il Pianeta era abitato e dovevamo rimetterci in viaggio;
guardando un corso d’acqua in America, mentre la schiuma bianca mi turbinava intorno alle ginocchia;
dando alla luce la mia seconda figlia, Alicia, mentre andavo verso il centro;
tenendo Alicia per mano, mentre dava alla luce mio nipote;
davanti a Vaffa;
morendo. Morendo di nuovo. E di nuovo ancora.
Ne uscii impotente. Tutti gli attimi erano stati adesso. Erano scomparsi tutti, lasciandomi immagini confuse e quasi nessun ricordo. Ciò che ricordavo era tanto nel mio futuro quanto nel mio passato.
Tornò, quella vorticosa sensazione di abitare il presente, il passato e il futuro tutti contemporaneamente. Ne uscii di nuovo, e questa volta rimbalzai lungo le quattro dimensioni di quel lungo verme rosa con un milione di gambe che rappresentava la mia vita, dalla nascita alle mie molte morti. Ero una sola entità, un solo punto di vista, un solo presente. Percorsi tutta la mia esistenza, all’indietro e in avanti, nel futuro e nel passato.
Caddi di nuovo, disorientata, confusa. Mi era stato mostrato qualcosa che la mia mente non poteva comprendere e sentivo già svanire i ricordi. Esistevo in troppi modi nello stesso tempo per riuscire a capire. Gli occhi non mi funzionavano o mi mostravano immagini che il mio cervello non riusciva ad assimilare.
Non so quanto restai nel luogo calmo e nero in cui ero entrata. Non c’era tempo, ma tutte le mie sorelle erano insieme a me. Cominciammo a vedere, un po’. Qualcosa nuotò verso la mia coscienza distaccata, una cosa strana che percepivo senza effettivamente vederla. Per sorprendente che fosse, mi era quasi più familiare di tutto il resto che mi circondava. All’improvviso seppi che era una cosa preziosa. Qualcosa che dovevo avere. ( C’era qualcuno che mi diceva che dovevo averla? ) Apparteneva a loro, agli Invasori, e dovevo possederla io.
Allungai la mano…
Ricordò Cathay chinato su di lei, che le scuoteva le spalle. La testa oscillava avanti e indietro, abbandonata. Mise a fuoco gli occhi.
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