Se qualcosa era accaduto a Thorn, senza che lui se ne fosse accorto…
Una variazione nel campo magnetico terrestre, alla quale non reagì con sufficiente prontezza, gli fece compiere una brusca giravolta in aria, e lo costrinse a concentrare l’attenzione sul suo volo.
Si domandò se era riuscito ad andarsene di nascosto, come aveva cercato di fare. Alcuni membri del Consiglio avevano voluto prendere la parola. Firemoor, che aveva votato a favore e aveva sostenuto le teorie di Clawly con eccessivo vigore, era stato particolarmente insistente. Ma lui era riuscito a sbarazzarsene. Eppure, se lo avessero seguito? Certo, l’accenno fatto da Conjerly ai “veggenti” era stato del tutto casuale, sebbene avesse avuto molta efficacia. Ma se Conjerly e Tempelmar avessero scoperto dove lui si stava dirigendo ora… quale arma avrebbero ottenuto contro di lui!
Sarebbe stato più saggio abbandonare l’intera faccenda, almeno per un certo periodo.
Inutile. Il difetto della cosa… se di difetto si doveva parlare… era nel suo sangue. La Blue Lorraine lo attirava come una calamita attira il ferro.
Una schiera di immagini prese possesso della sua mente stanca, mentre lui si immergeva nell’ovattata profondità di un banco di nuvole. Puntini neri sulla Carta Planetaria. Le tinte verdi e blu dell’Yggdrasil… in quale mondo d’incubo aveva trovato l’ispirazione, Hoderson? Il disegno azzurro che uno dei soggetti intervistati da Thorn sconvolto dal dolore gli apparve improvvisamente. E poi le espressioni di Conjerly e Tempelmar… la vaga impressione che aveva avuto di trovarsi di fronte a stranieri ostili. E quell’oscura presenza straniera che aleggiava in agguato ai confini del suo subcosciente.
La Blue Lorraine diventò gigantesca, torreggiante come una montagna, con i pinnacoli bianchi di brina, sebbene in basso, al livello del suolo, la temperatura fosse estiva. C’erano già i segni dell’inizio di un nuovo giorno. Qua e là vagoni merci aderivano alla parete, come neri scarafaggi, e caricavano o scaricavano il loro carico quotidiano attraverso aperture invisibili. A diversi metri di distanza, in basso, una lunga teoria di vettovaglie, in parte inscatolate, in parte no, stava entrando dalle grandi porte delle cucine sostenute da una corrente subtronica. Più in là, un sorvegliante guidava un piccolo gruppo di scolari in arrivo, che erano le prime avvisaglie dei grandi sciami che si sarebbero presentati più tardi.
Clawly si posò su una piattaforma di atterraggio, dopo essere rimasto sospeso nell’aria su di essa, come un uccello, per un istante. Nella saletta interna, lui e un altro viaggiatore appena arrivato si aiutarono vicendevolmente a togliersi gli abiti di volo.
Clawly ansimava, le orecchie gli fischiavano e aveva la vista confusa. Si strofinò le mani gelate. Non avrebbe dovuto compiere un’ascensione così rapida nelle sue condizioni. Sarebbe stato meglio atterrare più in basso, e servirsi del levitatore per arrivare a destinazione. Ma la sua impazienza gli aveva imposto di scegliere quella strada. E poi, facendo così aveva corso un rischio minore. Sarebbe stato molto più difficile essere scoperto. Chiunque lo avesse seguito, avrebbe dovuto possedere il dono dell’invisibilità.
Una corrente subtronica lo portò dolcemente per circa quattrocento metri, lungo un corridoio di smistamento, verso la sezione degli psicologi. Arrivato nella sezione, proseguì a piedi.
Si guardò intorno, a disagio. Solo in quel momento fu colpito da un vero e proprio dubbio. E se Conjerly avesse avuto ragione? Se veramente lui non avesse fatto altro che riesumare antiche superstizioni, affidandole a un gruppo di esperti troppo specializzati, incluso Thorn? Se veramente la minaccia cosmica che aveva tentato di presentare al Consiglio Mondiale non fosse stata che il frutto di una fantasia morbosa, suffragata da un elaborato edificio di prove male interpretate? E se la parte più oscura, contorta e morbosa della sua mente avesse preso il sopravvento su quella più razionale, a sua insaputa? Provò la spiacevole sensazione di essere un ciarlatano, un buffone, un amante dell’orrido e del morboso. Era una faccenda pazzesca, dalle origini assai dubbie, che non aveva osato rivelare neppure a Thorn, al quale aveva rivelato tutto il resto. Sarebbe stato meglio finire a quel punto, senza cercare di evocare altri fantasmi oscuri.
Ma l’altro impulso che lo spingeva era irresistibile. Doveva sapere certe cose, in qualsiasi modo.
Riprendendo il controllo di se stesso, cercò di ripetere il ragionamento di Conjerly: «Se le prove sembrano condurre in quella direzione, se la sicurezza dell’umanità sembra richiedere questo, allora io abbandonerò il materialismo, e andrò a chiedere i consigli degli indovini!»
Si fermò. C’era una porta, di fronte a lui. Di colpo, essa si aprì. Entrò, si avvicinò alla scrivania e alla figura immobile e vestita di nero che si trovava dietro a essa.
Come sempre, il volto di Oktav dava una soverchiante sensazione di antichità… antichità e non vecchiaia, non perlomeno, la vecchiaia suggerita dai bianchi capelli serici, dalle guance incavate, dalla pelle grinzosa e dalle vene bluastre in evidenza. I pensieri di Clawly, involontariamente, ritornarono all’Alba della Civiltà, coi suoi cavalieri rivestiti di armature e con i suoi aerei muniti di ali come gli uccelli, i suoi racconti sussurrati di bocca in bocca a proposito di un filtro della vita eterna… e a quella voce insistente, inestinguibile e assurda, che parlava di uomini vestiti degli antichi abiti del Tardo Medio Evo dell’Alba della Civiltà, i quali apparivano di quando in quando sulla Terra, per brevi periodi e in luoghi remoti.
L’abito di Oktav, in ogni modo, era assolutamente normale. Ma i suoi occhi sembravano brillare speranze e paure e terrori di secoli e secoli. Non seguirono Clawly, mentre si accomodava su una sedia.
— Vedo ansia e contrarietà — intonò improvvisamente il veggente. — Per tutta la notte esse ti hanno circondato. Riguardano quella faccenda della quale abbiamo parlato all’Yggdrasil. Vedo molti dubbiosi, e tu che cerchi di persuaderli. Vedo due, in particolare, che ti contrastano ferocemente, ma non riesco a vedere i loro ragionamenti e i loro scopi. Vedo che tu alla fine perdi la partita, in particolare per l’abbandono di un amico, e te ne vai sconfitto.
“Certo” pensò Clawly “può avere saputo tutto questo in molte maniere”.
Eppure la cosa lo impressionò, come era sempre successo dal primo momento, quando Clawly aveva incontrato per caso… ma si era trattato davvero di un caso?… il vecchio, credendolo un semplice psicologo.
Senza guardare il veggente, con un senso di timore che non provava per alcuno, Clawly domandò: — Cosa vedi nel futuro del mondo?
Nella voce cantilenante del veggente si udì uno strano pulsare.
— Solo l’infittirsi dei sogni, molti altri spiriti stranieri che si infiltrano nel mondo sotto maschere umane, l’avvicinarsi del disastro, lunghi artigli che si preparano a colpire… ma dove e quando, non lo so; so solo che il tuo recente sforzo di convincere gli altri del pericolo ha portato il pericolo più vicino.
Clawly rabbrividì. Poi si mosse sulla sedia. Senza più timore, aggirò la domanda su Thorn che gli premeva alle labbra, e disse: — Senti, Oktav, devo sapere qualcosa di più. Vedo benissimo che mi nascondi qualcosa. Se io cerco di sfruttare nel modo migliore le tracce che mi offri, e poi mi dici che io ho sbagliato, mi leghi le mani. Per il bene dell’umanità, devi descrivermi il pericolo imminente in maniera più chiara.
— E devo attirare su di noi forze che ci distruggeranno entrambi? — Gli occhi del veggente lo fissarono. — Ci sono mondi all’interno dei mondi, e ruote all’interno delle grandi ruote cosmiche. Ti ho già detto troppo, e noi siamo in pericolo. Inoltre, ci sono cose che, onestamente, io non so, cose celate perfino ai Grandi Sperimentatori… e le mie ipotesi possono essere meno valide delle tue.
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