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Fritz Leiber: Il verde millennio

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Fritz Leiber Il verde millennio

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Nella solitudine della stanza in cui egli si ritrovava, la sua avventura allucinante gli stava passando davanti agli occhi. Si era sentito un altro, quel mattino, svegliandosi, quando aveva visto sul davanzale quel gatto stranissimo dal mantello di un verde smeraldo. La fuga del gatto, la visita allo psichiatra erano venute dopo; e poi, via via di seguito tutti gli altri fatti strani. Allucinazioni, sì. Ma qualcosa di vero sarebbe rimasto. Lo sdoppiamento del suo io sarebbe arrivato a qualcosa di concreto: una essenza di vita più buona, un mondo migliore in cui avrebbero agito una creatura di un altro mondo e una interminabile teoria di gatti dai mantelli tutti verdi.

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— Cos’hai fatto! Hai interrotto il re durante il suo svago! Hai osato spingere il re! Meriti una punizione, un castigo!

Phil si sentì male per la paura. Era solo capace di pensare che se Lucky fosse stato lì, a infondergli nuovamente quella splendida sicurezza, non si sarebbe sentito così vergognosamente terrorizzato da quel piccolo prepotente che lo teneva per il bavero.

Si inumidì le labbra. — Stavo solo cercando il mio gatto — disse con voce tremante. — E poi, non l’ho spinto.

— Certo che l’hai spinto! Ti ho visto io! Gli hai dato uno spintone! E per quel che riguarda i gatti, sappi che Swish Jack Jones, lo scannafemmine, è il miglior gatto che ci sia qui, l’unico gatto. — La mano che lo teneva gli torse più strettamente il bavero attorno alla gola. — Non sperare di cavartela tanto a buon mercato. Allora, Jackie, cos’hai intenzione di fargli?

Finalmente l’uomo in nero si mosse. Girò lentamente la testa che spuntava dal collare di lana nera e guardò Phil col sorriso triste e stanco di un re che conosce il noioso ma inevitabile destino di infliggere condanne e punizioni. Allungò lentamente una mano e prese Phil per un gomito.

— No, per favore — sussurrò Phil, ma proprio in quel momento il pollice gli premette un nervo fra le ossa e non poté trattenere un grido di dolore. L’uomo dal viso da bambino sogghignò, soddisfatto che finalmente venisse fatta giustizia.

Swish Jack Jones si accigliò, come se il grido non fosse stato abbastanza forte; alzò l’altra mano. — Questa è una pistola paralizzante — disse con tono affettato — a ultrasuoni. Potrei ripassarti la spina dorsale, per tenerti fermo prima di lavorarti. Adesso è regolata per i topi, ma potrei aumentare, la potenza, se necessario.

Phil sentiva le budella che gli si scioglievano. — Non dovete farmi del male — disse. — Vi dico che cercavo solo il mio gatto.

L’altro scosse tristemente la testa e disse: — I piccoli ficcanaso dalle cattive intenzioni verso Bast non dovrebbero spararle così grosse. — E allungò una mano verso la coscia di Phil.

In quel momento arrivò l’uragano. Cookie venne sbattuto tre metri lontano, la pistola paralizzante cadde a terra; Swish Jack Jones fece un balzo indietro, e la gigantessa bionda, si piazzò infuriata fra Phil e lui, tuonando: — Sai benissimo che sopporto tutto, tranne che tu faccia il prepotente!

Si era infilata un kimono corto e alquanto sporco, meravigliosamente ricamato nel migliore stile orientale, solo che la figura sulla schiena non era quella di un drago ma di un’astronave eruttante fiamme.

— Non toccarmi, Juno, ti avverto — ringhiò l’uomo in nero, con una voce che aveva perso gran parte della sua patina da intellettuale Si stava massaggiando un polso.

— Ti ho steso la prima volta che abbiamo fatto un incontro — replicò la gigantessa. — Ti ho steso la notte che ci siamo sposati E posso rifarlo ogni volta che voglio. E Cookie insieme a te — aggiunse, mentre quest’ultimo faceva una smorfia che voleva essere minacciosa, ma che tradiva solo la rabbia. — Perché stavi tormentando questo poveretto?

— Io? — disse Jack alzando la voce. — Non lo stavo affatto tormentando. Stavo solo prendendo le mie precauzioni. È arrivato qui come un matto, senza dire niente, saltellando sulla punta dei piedi e blaterando di un gatto. Sembrava che stesse per dare i numeri. È pericoloso.

Cookie, con le labbra strette, muoveva la testa su e giù a conferma, ma Juno non si lasciò impressionare minimamente. — A me è sembrato pericoloso quanto una mosca. Perché non hai lasciato che si cercasse il gatto e che se ne andasse?

Il viso di Jack assunse un’espressione esterrefatta. — Come, Juno, sei stata tu a lasciar entrare questo scimunito? Mi stavo giusto chiedendo come avesse fatto a spuntarla col Vecchio Bracciodigomma. Vuol dire che ti sei bevuta questa storiella del gatto?

— Perché, non è qui? — chiese Juno guardandosi intorno.

— E come potrebbe esserci, Juno? — protestò Jack, con una lieve sfumatura di superiorità nella voce. — L’hai forse visto? No. E se ci fosse un gatto, correrebbe dietro ai topi, non ti pare? E poi, dove potrebbe nascondersi? Non certo là — continuò, mentre lo sguardo di Juno si posava sull’altra porta. — C’è dentro lui. — Juno annuì. — E allora dov’è? — chiese Jack. — Non crederai che Cookie ed io l’abbiamo… rapito, per caso?

Juno si fregò pensosamente il naso schiacciato. Poi si volse a Phil con un’espressione ancora amichevole ma piena di dubbi. — Dicci qualcosa di più su questo gatto, figliolo. Di che colore era?

— Verde — disse Phil, e nonostante le espressioni incredule degli altri non poté trattenersi dal continuare. — Sì, verde brillante. E gli piace la marmellata di mirtilli. È venuto da me circa un’ora fa. L’ho chiamato Lucky perché mi faceva sentire bene, come se potessi capire tutto.

Ci fu un lungo silenzio. Phil avrebbe voluto sprofondare. Poi Juno gli posò una grossa mano sulla spalla che gli fece piegare le ginocchia. — Vieni, figliolo — disse gentilmente. — È meglio che tu te ne vada.

Jack fece un passo avanti, gettando a Juno un’occhiata di sbieco. — Senti, amico — disse con voce sollecita, in cui si sentiva ancora una punta di scherno — aveva appuntamento con uno psichiatra stasera, ma mi pare che tu ne abbia più bisogno di me — e tese a Phil un pezzo di nastro fonoscritto. Phil lo prese umilmente e se lo mise in tasca. Cookie ridacchiò. Juno si voltò di scatto verso di lui. — Sentimi bene — ruggì. — Il fatto che sia matto non ti dà il diritto di ridere di lui, né di fare il prepotente!

In quel momento si aprì la porta. Phil non poté vedere nell’altra stanza perché un uomo alto e grasso, con le guance grigiastre e spessi occhiali scuri, riempiva la soglia quasi completamente. I tre si fecero immediatamente rispettosi.

— Cos’è questo baccano? — chiese con una voce che fece sobbalzare Phil, perché era quella del Vecchio Bracciodigomma.

— Questo tipo… — cominciò Cookie, ma venne zittito da un’occhiata di Jack.

Gli spessi occhiali si volsero verso Phil. — Oh, uno dei tuoi fanatici ammiratori, Jack — disse il grassone con condiscendenza. — Mandalo via.

— Certo, signor Brimstine — disse Jack. — Subito.

La porta si richiuse. Phil si lasciò portar fuori da Juno. Si sentiva uno straccio, tanto che quasi non si accorse di una strana coppia che veniva lungo il corridoio verso di loro. L’uomo aveva un’aria serafica e insieme allegra. Era molto abbronzato, portava scarpe arancioni e un berretto dello stesso colore. La donna assomigliava a una giovane strega, con quel naso ossuto e il mento appuntito. Aveva un cappellino rosso, fissato con una ventina di lunghi spilloni alla sua capigliatura scura e arruffata, e una corta gonna rigida e spessa come un tappeto. Entrambi portavano maglioni neri col collo alto. Phil, immerso nei suoi dispiaceri, li notò appena, ma si accorse ugualmente che i due ignorarono volutamente la gigantessa.

— Troverete il vostro eroe da fumetti là in fondo, che spara ai topi — disse la donna con voce irosa. La ragazza si limitò ad arricciare il naso da strega. L’uomo roteò i suoi occhi da furetto e fece un mezzo sorriso benevolo. — Amore, Juno — ammonì. — Nient’altro che amore.

La gigantessa restò un momento a guardarli con aria corrucciata, poi proseguì. — Un paio di ammiratori di Jack, intellettualoidi — confidò amaramente. — Poeti, fanatici religiosi, e tutto il resto. Gli hanno montato la testa, quei fetenti.

Raggiunsero la fine del corridoio. Il Vecchio Bracciodigomma agitò la sua mano senza dita e borbottò: — Circolare, circolare — ma Juno lo ridusse al silenzio con uno stanco: — Sta’ zitto!

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