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Fritz Leiber: Il verde millennio

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Fritz Leiber Il verde millennio

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Nella solitudine della stanza in cui egli si ritrovava, la sua avventura allucinante gli stava passando davanti agli occhi. Si era sentito un altro, quel mattino, svegliandosi, quando aveva visto sul davanzale quel gatto stranissimo dal mantello di un verde smeraldo. La fuga del gatto, la visita allo psichiatra erano venute dopo; e poi, via via di seguito tutti gli altri fatti strani. Allucinazioni, sì. Ma qualcosa di vero sarebbe rimasto. Lo sdoppiamento del suo io sarebbe arrivato a qualcosa di concreto: una essenza di vita più buona, un mondo migliore in cui avrebbero agito una creatura di un altro mondo e una interminabile teoria di gatti dai mantelli tutti verdi.

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Esitò. — … recitare a soggetto — suggerì Dytie.

— Grazie — disse Opperly. — Sarebbe sempre un trasmettitore, mai un generatore. Ma benché manchi di intelligenza specifica, cercherà sempre gli esseri dotati del più alto grado di intelligenza, dal momento che questi gli offriranno la maggior sicurezza possibile. Sarebbe abilissimo nel penetrare una nuova cultura, e ricorrerebbe ad ogni inganno: ad esempio imitando animali simili a lui per mimetizzarsi. Come ogni altra specie cercherà di crescere, di moltiplicarsi, di colonizzare, per realizzare così il suo destino nel cosmo. Per mezzo delle sue percezioni extrasensoriali sarà in grado di individuare l’intelligenza in posti lontani, perfino su altri pianeti e persuaderà i suoi compagni simbiotici a portarvelo.

Fece una pausa. — E ora vi chiedo di cercare di immaginare cosa significherebbe essere il compagno simbiotico di una simile creatura portatrice di armonia, avvertire telepaticamente i sentimenti e forse i pensieri di coloro che vi circondano, disporre di un costante limite di sicurezza contro quei momenti di ira cieca e di spietato egoismo che conducono all’assassinio e alla guerra, essere sempre equilibrati senza mai essere privati delle vostre facoltà fondamentali, della vostra intelligenza, della vostra forza.

Un’altra pausa, poi disse a voce bassa: — Ma non è necessario che ve lo chieda, perché già adesso vi trovate in questa condizione. Siete in simbiosi con il gatto verde. O meglio, con uno dei gatti verdi.

Mentre diceva queste parole, un musetto color verde-oro fece capolino dal grembo di Emmett e li guardò. Allora Phil capì che la sensazione di calma che aveva provato fin dal momento in cui era entrato nella stanza era dovuta all’irradiazione di uno dei cugini di Lucky. Poi sentì l’emanazione di Lucky aggiungersi alla prima, e voltando lo sguardo verso l’apparecchiatura elettronica, lo vide alzare la testa sopra il bordo della scatola.

Nel frattempo John Emmett stava dicendo: — Vi ho detto che il gatto verde, o piuttosto i gatti verdi, intendevano conquistare l’America. Volevo che conosceste meglio i retroscena prima di aggiungere che, per quello che riguarda il Federal Bureau of Loyalty e l’Ufficio del Presidente, la conquista è completa. — E John Emmett sorrise.

— Inoltre — aggiunse — a giudicare dai messaggi che abbiamo appena ricevuto dalla loro Radioluna, insieme ad alcune straordinarie manifestazioni di buona fede, anche il Cremlino ha capitolato all’invasione vegana.

— Questo bene! — gridò Dytie balzando in piedi. — Sapete, solo quattro satiri e dieci mici venuti su nave. Noi mandato due satiri e sette mici dietro tenda ferrosa… cioè, cortina di ferro. Noi pensare a loro gatti più necessari che a voi.

A questo punto la solenne riunione si trasformò in un diluvio di domande e risposte, grida, conversazioni tronche. Cogliendo un frammento qua e là, Phil ricostruì l’intera storia. Il secondo gatto verde, quello più giallo, che da una settimana non tornava da Dytie e Dion, era improvvisamente riapparso dopo avere allietato un gran numero di cerimonie religiose; Opperly aveva allora introdotto il gatto da Barnes, e di conseguenza da Emmett. Sentì Dytie spiegare che i gatti fingevano astutamente di essere ancora addormentati dopo che l’effetto del paralizzatore era svanito, e seppe anche perché insistevano per mangiare da soli sulla Terra: perché le loro bocche emettitrici di ormoni, aprendosi per il pasto, li avrebbero rivelati come esseri radicalmente diversi dai gatti terrestri che cercavano di imitare. Sentì Dion dire al dottor Garnett che i gatti di Vega Otto avevano cominciato a puntare i musi verso la stella che era il Sole e a ululare di notte, e il dottor Garnett suggerì orgogliosamente che essi dovevano aver captato le onde mentali proiettate dalla Fondazione Humberford. Allora Dion spiegò che un tempo Vega Otto era stato un pianeta dilaniato dalle guerre, finché una razza di vermi intelligenti non aveva portato loro i gatti verdi.

Ma Phil, mentre assimilava tutte queste informazioni e scambiava una parola con questo e con quello, continuava a muoversi attraverso la folla in una direzione ben definita. Durante il tragitto continuò a captare altri frammenti di conversazione.

Sentì Sacheverell Akeley illustrare al Rettore Frobister una sua teoria secondo cui i gatti verdi erano tutti discendenti di Bast, ed erano stati gli antichi egizi, forse gli abitanti di Atlantide, che possedevano probabilmente delle astronavi, a portare per primi i gatti su Vega.

Sentì Cookie che rimproverava bonariamente Mary per essersi innamorata di un satiro, e Mary assicurargli felice che a lei piacevano gli uomini con gli zoccoli, e che in ogni caso avrebbe fatto una bambolina a sua immagine.

Sentì Jack dire al dottor Romadka che con i gatti verdi non ci sarebbe stato più tanto bisogno di psicoanalisti, di commissari e di poliziotti del pensiero, al che Romadka gli ricordò che anche la maggior parte delle merci della Divertimenti SpA, inclusa la lotta fra maschi e femmine, non avrebbe più avuto un grande mercato.

Sentì Carstairs, Llewellyn e Buck fare progetti per fondare un ordine cavalieresco denominato i Cavalieri del Gatto Verde.

Sentì Juno Jones dire a Moe Brimstine che fin da quando era una bambina le piacevano più gli animali che gli uomini, e che era molto contenta di sapere che un animale le avrebbe trasformato la mente. A proposito, dov’era finito quel topolino di Jack? Moe Brimstine, in risposta, le disse di essersi preoccupato troppo in vita sua di mettere i piedi sulla testa della gente per avere il tempo di capirla. Il povero vecchio Hans Billig, invece, saltava così in fretta da una parte all’altra che non si era mai accorto che la gente esistesse.

Sentì John Emmett e Dave Greeley discutere sulla disposizione logistica dei gatti verdi, e di come era possibile spargere in tutto il mondo le creature.

Sentì Morton Opperly e il dottor Garnett che parlavano di cose molto al di là della sua comprensione: nessi extrasensoriali, linee di pensiero e quale fosse la galassia originaria dei gatti.

Prese la mano magra e stanca di Mitzie Romadka e le disse che l’amava e che pensava che la violenza, le gelosie e perfino la vendetta fossero ammirevoli, almeno fino a un certo punto.

Ma non perse mai di vista il suo obiettivo principale. Mentre si avvicinava alla bassa cassetta dalla quale Lucky sbirciava in giro tranquillamente, il Presidente Barnes lasciò Mary Akeley, dopo averla rassicurata che gli ordini per la distruzione dei gatti erano già stati annullati, e si diresse verso Phil. Gli gettò le braccia al collo con fare paterno e disse: — Mio giovane amico, ho sentito che siete stato molto vicino a questo gatto per un paio di giorni. Mi spiace di dovervelo portare via.

Phil si irrigidì. — Neanche per sogno — disse. — Lucky è il mio gatto.

— Sentite, amico mio — protestò cortesemente Barnes — io sono il Presidente, e devo avere uno di questi gatti. Emmett ha già il suo, e certamente bisogna darne uno alla Fondazione Humberford. Ci sono solo tre gatti nel paese: avete sentito cosa ha detto la signorina di Vega.

Parecchie persone e i due satiri si avvicinarono, incuriositi dalla discussione.

— Non m’importa — disse Phil, notevolmente incoraggiato dalla stretta di Mitzie. — So benissimo che questa è una crisi cosmica, e tutto il resto, ma Lucky è il mio gatto, gli ho dato da mangiare e intendo tenermelo. Vieni, Lucky.

Lucky balzò fuori dalla scatola tra le sue braccia.

— Penso che questa sia la prova — disse Phil.

Barnes lo guardò con una certa indignazione, mentre i presenti facevano ogni genere di commenti.

Ma proprio in quel momento si sentì un flebile miagolio. Veniva dalla scatola. Tutti guardarono dentro, e videro cinque piccole copie di Lucky che allungavano il musetto triangolare verso l’alto.

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