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Fritz Leiber: Il verde millennio

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Fritz Leiber Il verde millennio

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Nella solitudine della stanza in cui egli si ritrovava, la sua avventura allucinante gli stava passando davanti agli occhi. Si era sentito un altro, quel mattino, svegliandosi, quando aveva visto sul davanzale quel gatto stranissimo dal mantello di un verde smeraldo. La fuga del gatto, la visita allo psichiatra erano venute dopo; e poi, via via di seguito tutti gli altri fatti strani. Allucinazioni, sì. Ma qualcosa di vero sarebbe rimasto. Lo sdoppiamento del suo io sarebbe arrivato a qualcosa di concreto: una essenza di vita più buona, un mondo migliore in cui avrebbero agito una creatura di un altro mondo e una interminabile teoria di gatti dai mantelli tutti verdi.

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Su quest’ultima parte del programma non c’era troppo da contarci, dal momento che la “bella ragazza” era più sui cinquant’anni che sui quaranta. In quel momento stava guardando con aria torva Carstairs e Buck, che parevano più interessati al martellone che a lei. Non era ancora sotto l’influenza di Lucky, perché il gatto verde si era temporaneamente spostato, in compagnia delle pantere, verso la coda della processione.

I due banditi si misero finalmente d’accordo e vibrarono parecchi colpi sul bersaglio. La freccia salì molto in alto, ma si fermò sempre esitando a un capello dalla cima. Gli spettatori accolsero il risultato con grida di disapprovazione. Ormai il grosso del corteo bacchico si era radunato attorno al baraccone, piazzato strategicamente fra due bar e di fronte allo stand che prometteva castamente, con un’abbagliante insegna fluorescente, la PULIZIA MENTALE. A fianco di questo si apriva una lugubre caverna chiamata PALAZZO DI PLUTONE, che portava come insegna un’approssimativa riproduzione del Sistema Solare, con i pianeti che ruotavano in orbite pazze.

Moe Brimstine si stava ristorando con un boccale di birra che una delle sue ninfe gli aveva portato da un bar. Due forme nere, flessuose, apparvero tra la folla inseguendo una scattante sagoma verde. Era Lucky che tornava a prendere la guida del corteo, seguito dagli altri felini.

In quel momento, mentre Carstairs stava per gettar via il martello con un’amabile smorfia di sconfitta, arrivò di corsa Dion da Silva. Si strappò di dosso giacca e camicia, rivelando un petto e una schiena estremamente villosi.

— Quel Dion è davvero un tipo mascolino — mormorò Mary a Phil con ammirazione, osservando il suo eroe. — Con quelle orecchie a punta sembra proprio un satiro.

Dion tese i muscoli potenti, prese il martello e lo abbatté con tale forza che fece tremare i denti agli spettatori. La campana suonò, le luci si accesero e il grosso piede cominciò la sua discesa.

Nello stesso istante Dora Pannes, uscendo dal Palazzo di Plutone, sbucò dalla folla. Passò di fianco a Dion, senza degnare di uno sguardo né lui né alcun altro, diretta verso Lucky con la determinazione di una sonnambula.

Senza curarsi della bionda che gli era stata catapultata fra le braccia, Dion balzò addosso a Dora Pannes, se la strinse al petto e cominciò a coprirla di baci. Phil, cavalierescamente, si fece avanti e afferrò la “bella ragazza” al volo. Le ginocchia si piegarono. Lei, entrata ormai nella sfera d’influenza di Lucky, gli offrì invitante le labbra, ma Phil la posò subito a terra, atterrito da un nuovo evento.

Con un improvviso ululato d’ira, Dion aveva allontanato da sé Dora Pannes facendola cadere. Prima che qualcuno potesse fermarlo, prese il martello e diede una violenta mazzata sulla testa della stupenda biondo-viola.

— Io innamorato di cosa come questa! — gridò. — Aah! — e continuò a menare martellate sulle deliziose forme della ragazza, facendola rimbalzare sul selciato di gomma.

Phil era doppiamente stupito per il fatto che tutto questo stava accadendo alla presenza di Lucky. Anzi, il gatto verde, seduto calmo di fronte a Phil, sembrava guardare la scena con approvazione.

Dora Pannes cominciò a contorcersi lascivamente sotto i colpi, cantando Prendimi a schiaffi, amore , con una gioia raccapricciante nella voce. Poi la testa, sotto i ripetuti colpi, si spaccò. Ma invece del cervello ne uscirono frammenti di vetro, plastica e metallo, con tanti fili elettrici attaccati. La voce si impennò in un ultimo gracidìo privo di senso, e il corpo rimase immobile.

Una serie di cose si chiarirono nella mente di Phil. Dora Pannes non era un essere umano, ma il più avanzato manichino creato dalla Divertimenti SpA. Perfino il suo nome era preso dalla mitologia greca: non era che un anagramma di Pandora, la fanciulla di metallo costruita per ordine di Zeus, se ben ricordava la spiegazione del dottor Romadka.

Mentre Dion abbassava finalmente il martello, una ragazza uscì dalla folla e afferrò il braccio di Phil. Era Mitzie Romadka, ansimante e sconvolta. Alle sue spalle apparve Sacheverell Akeley.

— Jack e Cookie sono riusciti a sopraffare Llewellyn — disse — e hanno cercato di fare lo stesso con noi, ma siamo scappati. Sono andati ad avvertire Billig.

Con una rapida occhiata Phil si rese conto che l’avevano già fatto. In piedi di fronte al lugubre ingresso del Palazzo di Plutone c’era il signor Billig, affiancato da una mezza dozzina di lucenti robot venditori. Solo che dalle loro torrette spuntavano le canne di fucili. Billig portava a tracolla una cassetta.

— Se qualcuno si azzarda a fare qualche scherzo, do ordine di sparare — disse, tenendo la mano appoggiata alla cassetta. — Dora, paralizza quel gatto e portalo qui.

La folla si fece da parte, mostrando a Billig i resti di Dora Pannes e Lucky tranquillamente accovacciato vicino. Phil vide un’espressione di orrore dipingersi sul viso di Billig, mentre l’ondata di pace che emanava da Lucky lo raggiungeva. L’uomo alzò l’ortho e sparò.

Il raggio blu sollevò schizzi di gomma liquefatta a tre o quattro metri da Lucky, poi si spense senza fare altri danni. Ma mentre il raggio svaniva, Phil si accorse che la sua propaggine posteriore aveva trovato un bersaglio. Billig cadde in avanti con un grosso foro in testa.

Poi, come se la sua caduta fosse stata un segnale, un piccolo uomo grassoccio apparve dalla tenda della Pulizia mentale. Anche se indossava una specie di maschera a gas Phil riconobbe il dottor Romadka. L’uomo puntò un paralizzatore e Lucky cadde a terra, restando immobile. La bizzarra pace notturna si trasformo di colpo in un terrore scatenato, che per Phil assunse la forma di una vibrazione quasi palpabile, di un lamentoso ruggito.

Romadka scattò verso Lucky. Vicino a Phil, Mary Akeley prese qualcosa dalla borsa e l’agitò in aria. — Anton! — gridò minacciosamente; e quando lo psichiatra guardò dalla sua parte, gettò con forza la bambolina sul piede, staccandole la testa.

Per un attimo Phil credette che lei fosse davvero una strega, perché Romadka cadde a faccia in giù.

Poi si accorse che il ruggito lamentoso era quello di una dozzina di auto della polizia che stavano convergendo sulla folla, frenando con retrorazzi così vicino che vi furono parecchie grida di dolore e gambe bruciacchiate. Dalle macchine sbucarono uomini in uniforme e in borghese, che a forza di urla e di manganellate riportarono una parvenza di ordine tra la folla. L’uomo sceso dalla prima macchina abbassò il paralizzatore con cui aveva abbattuto Romadka. Era Dave Greeley.

Per un attimo Phil si chiese se per caso Billig non aveva fatto un patto col governo, indicando quel luogo per l’incontro. Poi alle spalle dell’agente dell’FBL apparve Morton Opperly, guardandosi intorno con grande interesse. Phil decise che in un mondo come quello non ci si poteva fidare neppure dei vecchi scienziati dall’aspetto nobile che facevano finta di essere grandi liberali, e raccontavano segreti di stato per guadagnarsi la fiducia della gente.

Allungò i polsi alle manette.

20

Nella mezz’ora che era trascorsa da quando le grosse mani di gomma del telemanipolatore l’avevano estratto dal suo cubicolo nel cellulare, Phil era stato sottoposto a un numero tale di controlli che ormai soltanto due posti in America potevano essere la sua destinazione: l’Eptagono o la Casa Bianca junior, a New Washington.

Trasportato da telemanipolatori apparentemente indifferenti all’alto e al basso dei comuni mortali, era stato punzecchiato, tastato, perquisito, esaminato e fatto oggetto di altre ignominie. Gli erano state prese le impronte dei piedi e quelle della retina, erano state controllate le sue caratteristiche fisiche e le sue dimensioni, presumibilmente per confrontarle con quelle contenute negli schedari dell’FBL; lo stesso era stato fatto con le impronte vocali e con la scrittura. Gli avevano esaminato il fiato e il sangue per verificare la presenza di germi e virus. Il suo tasso di radioattività era stato accuratamente misurato. Gli occhi erano stati bombardati con lampi di luci, mentre veniva sottoposto a un fuoco di fila di domande. Un paio di volte gli sembrò che l’avessero fatto addormentare. Era stato passato ai raggi X e controllato con un rivelatore magnetico per scovare bombe innestate chirurgicamente nel corpo. Durante tutte queste operazioni, aveva provato un’indignazione futile quanto avvilente.

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