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Fritz Leiber: L'alba delle tenebre

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Fritz Leiber L'alba delle tenebre

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L’alba delle tenebre

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E invece Sercival aveva dato l’impressione di essere così diabolicamente sincero! “Satanas… accogli… il… mi… o spirito…” Era possibile che se Sercival credeva in quel che aveva detto, avesse una ragione per farlo? Dopo tutto, il vero scettico non ha motivo di rifiutare l’ipotesi che il cosmo sia un insieme di forze diaboliche piuttosto che di elettroni privi di anima. La mente scettica non può scartare nessuna eventualità, neppure la più fantasiosa. Tutto è subordinato alla prova, alla dimostrazione empirica.

E se Sercival avesse avuto accesso a fonti del sapere dal quale gli altri uomini erano esclusi? E se dietro l’apparato scientifico della Stregoneria, apparentemente identico a quello della Gerarchia, ci fosse stato qualcos’altro? L’impiego di un’avanzata tecnologia scientifica non provava un bel nulla. Non c’era ragione per cui le forze del male non potessero decidere di servirsene per raggiungere i propri scopi.

Ma quelle riflessioni tarlate di dubbi furono di colpo spazzate via dal sopraggiungere degli ultimi rapporti da Neodolos. La situazione stava rapidamente precipitando. Oltre la metà dei sacerdoti era incapacitata ad agire, paralizzata dal panico o da più sottili accessi di paura. Orribili fantasmi percorrevano i corridoi del Santuario come se fossero i padroni della città, mentre voci invisibili terrorizzavano preti e diaconi con spaventose minacce.

Neodolos era la prima delle città chiave della terra a giungere allo scontro finale con la Stregoneria; e perciò era anche la prima in cui sarebbero state attuate le contromisure messe a punto dal Sommo Gerarca. Insomma, una sorta di prova generale di quello che, da un momento all’altro, sarebbe potuto accadere anche a Megateopoli. Pur senza distrarsi neanche per un attimo dal loro lavoro, tutti i sacerdoti del Centro di Telecomunicazione erano consapevoli dei messaggi che balenavano a intervalli sempre più brevi sul televisore collegato al Santuario di Neodolos. E, a seconda del tenore delle notizie, il loro morale scendeva o saliva alle stelle.

— Centro di Controllo di Neodolos chiama Centro di Telecomunicazione. Problemi alla Centrale Energetica. Due tecnici non rispondono più. Chiederemo ulteriori dettagli.

— Rapporto di una staffetta: al centro di Controllo della Cattedrale si starebbero verificando strane apparizioni. Le sole notizie in nostro possesso parlano di sagome umane che accompagnano i fantasmi. I tecnici sono fuggiti.

— Ho ordinato un piccolo contrattacco, come da vostre istruzioni. Non riesco a mettermi in contatto con la Centrale Energetica. I diaconi che hanno bisogno di ricaricare le verghe dell’ira non riescono a raggiungere l’armeria.

— Calo di energia. Attivati i gruppi elettrogeni di emergenza. Una staffetta riferisce di costruzioni diaboliche atterrate all’Osservatorio numero Uno.

— La Centrale Energetica non risponde ancora. Subbuglio al Centro di Controllo. Tre arresti.

— Luci che vanno e vengono. Sta per mancare l’elettricità. Centro di Controllo invaso da sacerdoti che fuggono da qualcosa nel corridoio esterno.

— Buio completo! Stiamo lavorando alla luce delle torce portatili. Ho ordinato il contrattacco generale. Le porte del Centro di Controllo si sono aperte… Sagome grigie…

Il televisore si spense.

La tristezza e lo scoramento che quell’ultimo messaggio aveva portato al Centro di Telecomunicazione erano tangibili. Un’ondata di fatalistica rassegnazione aveva invaso la sala e, benché le operazioni continuassero senza sosta, i gesti dei sacerdoti erano diventati frenetici e nei loro occhi si leggeva un’aria di cupa disperazione.

— Il Centro di Controllo di Neodolos chiama il Centro di Telecomunicazione. Il contrattacco ha avuto esito positivo al Centro di Controllo e alla Centrale Energetica! Molti i nemici uccisi. Gli altri si stanno ritirando. Si segnalano numerosi sabotaggi alla Centrale Energetica, ma una delle batterie atomiche è ancora in funzione. Nessuna notizia ancora dal Centro di Controllo della Cattedrale, né dall’Osservatorio numero Uno. Le scaramucce continuano. Appena giungeranno altri rapporti ve li faremo pervenire.

Per i sacerdoti del Centro di Telecomunicazione fu come se fosse stata sospesa la pena capitale che pendeva sulle loro teste. All’improvviso, sembrò che la sala fosse stata inondata da stimolazioni parasimpatiche. E sulla carta geografica il grande punto che rappresentava Neodolos da nero ritornò rapidamente rosso.

Goniface era moderatamente soddisfatto. Le contromisure da lui ideate si stavano dimostrando efficaci. Erano molto semplici e si basavano su un unico, incontrovertibile, dato di fatto: fino a quando la Gerarchia riusciva a controllare i centri nevralgici dei principali Santuari, soprattutto le centrali energetiche, la vittoria era assicurata. Analogamente, se voleva vincere, la Stregoneria non poteva limitarsi a far ricorso alle armi psicologiche, anche se rappresentavano la sua principale risorsa tattica, ma doveva cercare di espugnare fisicamente i centri del potere. Ed era proprio in quella fase dello scontro che streghe e stregoni si dimostravano vulnerabili alle azioni di contrattacco o alle imboscate tese da un’insospettata seconda linea di difesa, nei cui confronti la Stregoneria non era preparata ad attuare alcuna strategia di terrore.

A Neodolos quel piano sembrava aver funzionato.

Eppure, se si guardava attorno e scrutava i volti dei sacerdoti del Centro di Telecomunicazione, Goniface aveva la sgradevole sensazione che i conti non tornassero. Nonostante, come ovvio, l’esito della battaglia di Neodolos li avesse rinfrancati, il Sommo Gerarca percepiva nel fondo dei loro cuori una certa delusione; come se, sotto sotto, avessero preferito vedere la città cadere in mano ai nemici, come se, cedendo a uno scuro moto di paura e di stanchezza, avessero auspicato la disfatta stessa della Gerarchia.

Confusamente, nei recessi della sua mente, Goniface intuì che quello a cui aveva assistito era l’ultimo vero trionfo della Gerarchia.

Adesso la fortuna sembrava dalla loro parte, la vittoria era a portata di mano, ma non aveva più alcuna importanza. Dopo un’esordio incerto e infausto, la Gerarchia era finalmente riuscita a rovesciare le sorti dello scontro, ma anche quello non aveva più importanza. Che vincesse o che perdesse, il suo momento di splendore era passato. Da quel giorno, la più perfetta forma di governo che il mondo avesse mai conosciuto sarebbe entrata in una fase di inesorabile declino. Forse altri uomini ambiziosi avrebbero calpestato la terra e la lotta per il potere si sarebbe riaccesa. Ma sarebbero state ambizioni di second’ordine e lotte di second’ordine.

L’ultimo grande atto si era compiuto davanti ai suoi occhi, e anche in quello il Sommo Gerarca aveva percepito un sussulto disperato e spasmodico, un guizzo subito svanito nel nulla: come l’ultima corsa di un carnivoro morente o l’ultimo sforzo fisico che un uomo compie prima di soccombere alla vecchiaia e rassegnarsi a una più parca amministrazione delle proprie energie.

Inesorabilmente, nei recessi della sua mente, Goniface fu costretto a prendere atto dell’analogia fra la sua carriera e quell’ultimo capitolo della storia della Gerarchia. Perché anche la sua ascesa al potere era stata un’avventura disperata e spasmodica. E adesso, ripercorrendone a ritroso le tappe, gli appariva anche incredibilmente irreale. Un ragazzo disgraziato, figlio di una Sorella Perduta e di un prete, costretto a portare il cognome della madre, bandito per sempre dalla Gerarchia, il più miserabile dei miserabili. Knowles Satrick: un ragazzo apparentemente senza nerbo, che si segregava dal mondo, quanto era concesso a un figlio del popolo; che odiava ciecamente la sua famiglia, e soprattutto sua madre che lo aveva tradito nel momento stesso in cui lo aveva messo al mondo, e che dalla sua famiglia riceveva, a sua volta, soltanto disprezzo. Ma nell’animo di quell’infelice ragazzo covavano un’ambizione e un risentimento così forti che avevano agito nella sua vita come forze del destino. Aveva ucciso molte persone per celare il proprio passato, ma non erano stati crimini comuni i suoi… Era stato come se la mano stessa del fato avesse somministrato il veleno alle sue vittime o brandito il coltello contro i suoi nemici. La sua ambizione gli aveva consentito di fare molta strada. Da quando era entrato come novizio nella Gerarchia a Megateopoli, la sua scalata al potere era stata straordinariamente rapida: dal Primo al Secondo Circolo, poi dal Secondo al Quarto, dal Quarto al Settimo e infine l’elevazione ad arciprete del Sommo Concilio. E, dopo ogni nuova conquista, la sua ambizione e il suo risentimento si placavano un po’, ma non morivano mai.

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