Fritz Leiber - Scacco al tempo

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Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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Davanti a loro la strada faceva un gomito. Le macchine parcheggiate a zig zag, come le sbarre d’una stalla modello, facevano sì che fosse impossibile alla loro macchina e a quella dei pompieri riuscire a passare insieme.

Sogghignando ancora di più, l’ometto dalla pelle scura diede un’altra accelerata. La macchina dei pompieri restò un po’ indietro, mantenendosi però tenacemente appiccicata a loro, poi perse altro terreno, quel tanto che consentì all’ometto di schizzare a tutto gas nella strettissima corsia libera mentre i pedoni, impietriti, lo fissavano a bocca aperta. La paura lasciò Carr. Non serviva a niente.

— Voi e Jane siete pazzi tutt’e due, non è vero? — urlò.

— Sarebbe bello — disse l’ometto.

La strada si fece ancora più stretta, i suoi lati più scuri. Dietro di loro la macchina dei pompieri affrontò una curva con grande stridio di freni.

Davanti a loro si alzò turbinando un vortice d’aria fresca e d’olio lubrificante. I grattacieli ammiccavano contro il cielo, ma proprio tra due di essi uno squarcio si andava ampliando. D’un tratto davanti a loro si profilò una scheletrica struttura nera.

Cominciò un rapido sferragliare. Le torri che fiancheggiavano la struttura nera cominciarono ad ammiccare rosseggianti.

Senza preavviso, Carr afferrò l’occasione e cercò di premere il freno. — Stanno aprendo il ponte! — urlò.

L’ometto gli sferrò un calcio alla caviglia, spinse via con un pugno la mano di Carr dal cruscotto e accelerò. Davanti, c’erano alcune macchine ferme; comparve la superficie zebrata d’una barriera. Spostandosi tutto sulla sinistra, l’ometto ne urtò con la macchina l’estremità flessibile. Questa raschiò lungo il fianco della macchina come un bastone contro una palizzata e venne strappata via con un violento suono metallico. Schizzarono in avanti nel tratto buio. Su entrambi i lati la solidità si dileguò. Molto più in basso le finestre dei grattacieli disegnavano riflessi irregolari sull’acqua. Sulla sinistra spiccava la sagoma scura d’un battello da trasporto lacustre con alcune figure che si agitavano sul ponte fiocamente illuminato. A Carr parve d’intravedere accanto a esso un altro scafo molto più piccolo e il minuscolo pallido ovale d’un singolo volto rivolto all’insù.

Avevano superato tre quarti del percorso quando, nel mezzo della loro terrificante velocità, Carr percepì un tocco carezzevole, come la piuma d’un titano. Sotto di loro, metà del ponte aveva cominciato a sollevarsi. Davanti a loro comparve un nastro di tenebra là dove le due lame di quel gigantesco coltello a serramanico si stavano staccando l’una dall’altra.

L’ometto dalla pelle scura pigiò al massimo sull’acceleratore. Vi fu un urto da spaccare la spina dorsale e un violento sobbalzo, i grattacieli beccheggiarono, poi un altro urto, e la macchina atterrò… sulle ruote.

L’estremità della seconda barriera si spezzò con un titanico schiocco. Il ponte aperto aveva sgomberato la strada più oltre dal traffico che proveniva dalla loro stessa direzione. L’ometto dalla pelle scura filò via per quattro isolati come il vincitore d’un circuito automobilistico, poi d’un tratto frenò, slittando intorno a un angolo. Le due ruote sul suo lato morsero la cordonatura del marciapiede e la macchina si arrestò oscillando.

Carr lasciò il cruscotto e la maniglia della portiera ai quali si era aggrappato presagendo una morte entro pochi istanti, serrò una mano a pugno e si girò di scatto, questa volta senza nessun rimorso relativo agli occhiali.

Ma l’ometto era saltato fuori dalla macchina e stava correndo con passo leggero su per i gradini di un edificio che, Carr adesso se ne rese conto, era la Biblioteca Pubblica. Mentre a sua volta metteva piede sul marciapiede per inseguirlo, vide l’ometto profilarsi per un attimo contro il rettangolo giallo di una porta oscillante. Quando a sua volta Carr l’attraversò scostandola col braccio irrigidito, l’ometto stava scomparendo in cima a una rampa di scale marmoree, sotto un’arcata cromata da un vivido mosaico decorato con i nomi di Whittier, Emerson e Longfellow.

Raggiunta la cima della rampa, Carr provò un impeto di selvaggio piacere nel rendersi conto che stava guadagnando terreno. Davanti a lui si apriva una grande sala a cupola con scaffali aperti su un lato, banchi e cabine di lettura sull’altro, completamente vuoti salvo per un paio di ragazze dietro a una parete di vetro e un uomo calvo in cappotto, con una valigetta stretta goffamente sotto un braccio mentre si sollevava in punta di piedi per prelevare un libro.

L’ometto dalla pelle scura stava attraversando di corsa un altro arco che commemorava i poeti inglesi Scott, Burns, Tennyson e Gray.

Carr si precipitò nella sua scia passando davanti a un tavolo dietro al quale sedeva una donna dai capelli grigi con un’aria famelica, la quale parve troppo timida per sollevare lo sguardo o troppo fragile per permettersi riflessi fulminei. L’ometto si stava precipitando verso una parete che ostentava grandi caratteri dorati e dei geroglifici egiziani: infilò uno stretto corridoio… e con uno shock Carr si rese conto che stavano correndo ambedue su una superficie di vetro smerigliato.

Per un istante Carr pensò che l’ometto dalla pelle scura l’avesse costretto a quella lunga caccia soltanto per farlo precipitare attraverso un lucernario. Poi si rese conto di trovarsi su una delle numerose passerelle translucide che fungevano da corsie tra le scaffalature della biblioteca. Si lanciò nuovamente in avanti guidato dal rumoroso trepestio dei passi che si allontanavano di corsa.

Si trovò in un mondo silenzioso all’interno d’un mondo pieno di frastuono: un mondo alto parecchi piani che copriva buona parte dell’isolato. Un mondo stranamente privo di sostanza, fatto di sottili travature metalliche, strette scale, passerelle translucide e innumerevoli libri. Un mondo di buchi, fessure e spazi vuoti.

Finora Carr aveva guadagnato terreno. Ma adesso, come un animale che avesse raggiunto il suo ambiente nativo, l’ometto dalla pelle scura manteneva le distanze cambiando più e più volte direzione, sfrecciando d’un tratto su e giù per rampe di scale i cui gradini echeggiavano d’un clangore da antica guerra. Carr intravedeva di tanto in tanto un impermeabile sbattente. Agitò il pugno con rabbia nel vedere un balenio di denti e un sogghigno, quasi rubati per frazioni di secondo attraverso gli spazi merlettati creati dalle file successive dei libri; cercò di agguantare un paio di piccole scarpe basse e costose che scomparivano su per una scala dai gradini metallici con irrisoria agilità.

Carr ansimava e cominciava a provare un lancinante dolore al fianco, qualcosa nel suo soprabito stava diventando sempre più pesante. Cominciò a sembrargli che la caccia non sarebbe mai finita, che loro due avrebbero continuato a saltare e correre per un tempo indefinito, sempre alla stessa distanza l’uno dall’altro. Tutta quell’esperienza stava assumendo per lui dei contorni da incubo. Erano sorci che s’inseguivano attraverso le circonvoluzioni d’un gigantesco cervello metallico d’un lontano futuro le cui pareti erano costituite dai fatti. Erano esemplari umani destati troppo presto in una gigantesca trappola temporale, alla frenetica ricerca d’una via di fuga.

Carr svoltò un angolo barcollando e là, a non più di tre metri di distanza, con la schiena rivolta verso di lui, in piedi accanto a una fontana d’ottone antico d’acqua potabile che gorgogliava allegra, c’era la sua preda. Carr quasi esplose in una risata singultante fra un rantolo e l’altro per riprendere il fiato. Adesso, decise Carr, avrebbe tirato un bel pugno a quel tizio.

Mentre avanzava, però, fu inevitabile che guardasse oltre l’ometto dalla pelle scura… verso la cosa che questi stava fissando.

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