O meglio, la persona.
Giacché appena all’interno della corsia successiva, con un vestito marrone dai bottoni dorati quasi esattamente della stessa sfumatura delle rilegature in tela rigida che formavano lo sfondo, le labbra atteggiate a un’ellisse sconcertata che non riuscì ad evitare di diventare un sorriso, c’era Jane.
Carr superò d’istinto l’ometto dalla pelle scura come se quest’ultimo facesse parte d’un sogno che si stava dissolvendo. A ogni nuovo passo il suolo sotto i suoi piedi pareva diventare sempre più consistente.
L’espressione di Jane non cambiò e le sue labbra mantennero la stessa piega. Si limitò a piegare la testa all’indietro quando lui la cinse fra le braccia e la baciò.
— Vera, vera, vera — era l’unico pensiero che gli turbinava nella testa. Vera come il Maestro di scacchi di R. RETI, subito dietro i suoi capelli, o Il mio sistema di NIMZOWITH accanto a esso.
Lei infine lo allontanò da sé levando lo sguardo incredulo su di lui. I suoi nervi, placati per un attimo, si ridestarono con un sussulto. Fece a sua volta un passo indietro.
— Dov’è finito? — chiese.
— Chi?
— Quel piccolo pazzo scuro con gli occhiali. — Si mosse in fretta esplorando tutte le corsie vicine.
— Non so — rispose Jane. — Ha un modo di dileguarsi…
— Direi proprio di sì! — Carr si rivolse a lei. — Anche se in genere prima tenta di ucciderti.
— Cosa!
— Forse pensava che tra noi ci fosse un patto di suicidio. — Carr disse questo con un sorriso legnoso e le mani ancora gli tremavano. Sentiva emergere nella coscienza tutte le reazioni ritardate a quella pazzesca corsa in macchina, al suo doloroso risveglio di qualche tempo prima, all’esasperante lettera di lei.
— Jane — chiese brusco — cos’è tutta questa storia?
Lei arretrò di un passo scuotendo la testa.
Lui la seguì. La sua voce era aspra: — Senti, Jane — proseguì. — L’altro ieri il tuo amico è scappato davanti a me. Ieri sera mi ha fatto perdere i sensi con un colpo in testa. Questa sera ha tentato di farci fuori tutti e due. Cos’è questa storia? Voglio saperlo.
Lei non rispose. La paura negli occhi di Jane portò l’esasperazione di Carr al punto d’ebollizione.
— Cosa avete fatto voi due? Chi sono quelle persone che vi cercano? Cos’è che non va con tuo padre e tua madre? Perché mi hai condotto in quella casa vuota? Cosa ci fai qui? Me lo devi dire Jane! Devi!
L’aveva costretta ad arretrare a ridosso degli scaffali e le stava quasi gridando in faccia. Ma lei si limitava soltanto a fissarlo terrorizzata e a scuotere la testa. Carr l’afferrò per le spalle e la scosse con violenza.
Era in preda a un parossismo di esasperazione. Gli pareva di scuotere gli ultimi suoi due giorni con tutti i loro enigmi e frustrazioni. Quella molle bambola marrone fra le sue mani rappresentava per qualche motivo l’ometto scuro, la sua automobile, la signorina Hackman, il signor Wilson, l’uomo con una mano sola, tutta la città scompigliata di Chicago.
Ma malgrado la violenza con cui la sua testa oscillava avanti e indietro, le labbra di Jane rimasero ostinatamente chiuse. D’un tratto Carr la lasciò e si staccò da lei, appoggiando i gomiti su uno scaffale, nascondendosi il viso tra le mani, respirando affannosamente.
Quando alzò di nuovo gli occhi e si guardò intorno, lei era ancora addossata allo scaffale, intenta a lisciarsi il vestito. Si morse il labbro quando la mano di lui le toccò la spalla. Lo guardò fisso. — Mi scuoto in modo accettabile? — chiese. — Sai, è piuttosto rilassante.
— Mi spiace molto — replicò lui con voce alquanto rauca. — Mi sto comportando da matto, ma devo saperlo.
— Non posso dirtelo.
Carr la fissò, esasperato e infelice. — Jane!
— No, non posso.
Si arrese, stanco. — E va bene. Ma… — Si guardò intorno, incerto. — Dobbiamo uscire da qui! — esclamò allontanandosi con un balzo dagli scaffali ai quali era appoggiato.
— Perché? — Lei mostrava di non comprendere le sue parole, proprio come prima, ed era molto più calma.
— Siamo nel deposito. — La sua voce assunse automaticamente una nota sommessa. — Nessuno può venire qui senza un permesso. Abbiamo fatto un baccano da svegliare i morti. È inevitabile che vengano a cercarci.
— Ma davvero? — Jane sorrise. — Non l’hanno ancora fatto.
— E poi… Buon Dio! La polizia stradale e chissà chi altro… devono arrivare, per forza! — Guardò con apprensione lungo le corsie.
Lei sorrise di nuovo. — Ma non l’hanno fatto.
Carr si girò verso di lei scoccandole una lunga occhiata interrogativa. Qualcosa di quell’affascinante ostinazione dell’altra sera pareva esserle improvvisamente tornata. Carr sentì nascere dentro di sé uno spirito affine.
E gli parve il massimo delle sciocchezze preoccuparsi di essere sorpreso a violare i regolamenti della biblioteca dopo essere sfuggito a una morte assurda e imprevedibile una dozzina di volte.
— D’accordo — disse. — In questo caso, beviamo qualcosa. — E tirò fuori dalla tasca la bottiglia di whisky da una pinta ancora sigillata.
— Magnifico — disse lei e gli occhi le si illuminarono. — La fontana è proprio qui accanto. Vado a prendere due bicchieri di carta.
Carr abbassò il suo bicchiere mezzo vuoto.
— Ascolta — disse. — Sta venendo qualcuno.
Spinse in tutta fretta Jane nella corsia successiva che era al buio.
Il rumore di passi si fece più intenso, echeggiando sul vetro.
— Andiamo più indietro bisbigliò Carr. — Qui potrebbe vederci.
Ma Jane rifiutò di muoversi. Carr sbirciò da sopra la sua spalla. — Dannazione! — alitò. — Ho dimenticato là la bottiglia, la vedrà.
Jane scrollò le spalle.
Il “lui” si rivelò per una “lei”, come Carr riuscì a distinguere a sprazzi attraverso i varchi degli scaffali. E una lei molto notevole: un volto ampio, da figlia del teatro, i capelli lunghi e lisci tagliati con una vistosa frangetta lungo la fronte e un abito attillato rosso scuro. Camminava frusciando, ma staccando i passi.
E stava facendo delle smorfie. Qui, nell’intimità del deposito… ma certamente il suo viso doveva essersi mantenuto dignitoso là dietro i banchi della sala. Qui stava esibendo un’intera gamma: odio, orrore, sorriso, disprezzo, una viva angoscia, gioia incosciente, tragica rassegnazione, il magnetismo del sesso. E non soltanto quelle espressioni fugaci che qualunque nevropatico avrebbe potuto lasciarsi sfuggire, ma anche le smorfie crudeli, sanguigne e meditate, degne d’una qualche principessa russa che stesse camminando avanti e indietro nella sua camera da letto intenta a elaborare le più complicate vendette contro i suoi diciassette amanti infedeli.
Le espressioni si succedevano l’una all’altra con un ritmo regolare, senza una sosta. A Carr parvero piuttosto un esercizio di recitazione.
La donna passò davanti alla loro corsia e si fermò alla successiva. Sollevò lo sguardo.
— Eccoci qua, ragazzi e ragazze — la sentirono declamare rivolta a se stessa, con voce modulata e squillante. — Oh, in sei volumi, vero? E per questo si aspetta l’ora di chiusura? — Scribacchiò qualcosa in fretta su un foglio di carta che aveva in mano. — Mi spiace, Baldy ma… via! Dovrai imparare i segreti del sesso qualche altro giorno.
E facendo un’ultima smorfia all’apparenza rivolta direttamente a Jane e a Carr, tornò nella direzione dalla quale era venuta.
Carr recuperò la bottiglia. — Credi che abbia pensato che stessimo facendo un lavoro di ricerca?
Jane replicò in tono leggero: — Mi è parsa tollerante.
Andò nella corsia accanto e tornò con un paio di sgabelli. Carr spinse il suo impermeabile militare sopra una fila di libri. Ridacchiò. — Ha recitato proprio bene.
Читать дальше