Fritz Leiber - Scacco al tempo

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Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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La donna lasciò ricadere la mano. — Se n’è andata — disse, e cominciò a singhiozzare.

— Sai che ti dico, mamma? — disse l’uomo anziano. — Andiamo a sederci al buio per un po’. Ti farà riposare. — La sollecitò verso la veranda.

Proprio allora, dietro a Carr, il gatto soffiò e si ritrasse di alcuni gradini più in alto: la porta del vestibolo in fondo alle scale venne aperta con uno schianto, vi fu un forte rumore di passi e si levarono alcune voci litigiose.

— Vi assicuro signor Wilson, state soltanto sprecando il vostro tempo. Dris ha controllato. Ce l’ha detto.

— Ha mentito, era con la ragazza da due ore quando l’abbiamo incontrato.

— Non è vero!

— Pensate proprio di no?

La prima voce era petulante, lamentosa. La seconda fredda, allegra. Erano le voci che Carr aveva udito nella tabaccheria.

Prima che avesse il tempo di analizzare i propri timori o anche soltanto di pensare in maniera coerente, Carr era sgusciato entro la porta aperta davanti a lui, aveva attraversato la piccola anticamera con tutta la rapidità possibile (ormai i genitori di Jane avevano lasciato il soggiorno) e percorse in punta di piedi il corridoio che portava sul retro dell’appartamento dove entrò nella prima stanza che trovò e rimase in piedi con la guancia premuta contro la parete, sbirciando dietro di sé nella direzione da cui era venuto.

Non riuscì a vedere la porta d’ingresso. Ma poco dopo delle ombre oscurarono l’intonaco del corridoio, informandolo che qualcuno si trovava nell’anticamera interrompendo la luce che usciva dal soggiorno.

— Insomma, qui non c’è — sentì dire dal signor Wilson.

— Ma l’abbiamo appena sentita suonare echeggiò la voce irritata della bionda.

— Siate ragionevole, signorina Hackman — obbiettò il signor Wilson. — Sapete benissimo che questo non dimostra niente.

— Ma perché mai Dris avrebbe dovuto mentire dicendo di averla controllata?

Il signor Wilson sbuffò. — Dris mentirebbe su qualunque cosa pur di avere il tempo per quelle sue avventure da strapazzo.

— Questo non è vero! — La voce della signorina Hackman echeggiò come se fosse stata colpita sul viso. — Dris potrà anche divertirsi con le ragazze quando ce la spassiamo tutti insieme, è naturale. Ma non quando è da solo!

— Pensate che non abbia le sue voglie private? Pensate di essere voi tutto lo spettacolo?

— Sì!

— Ah!

Carr si aspettava di udire il rumore dei passi o le voci dei genitori di Jane. Dovevano essersi certamente accorti della presenza di quegli intrusi. La veranda non era totalmente isolata.

Forse avevano paura quanto lui.

O forse… no, dannazione, l’idea che aveva avuto (quando il tempo si era fermato) non poteva, non doveva essere vera.

— Non siete giusto — gemette la signorina Hackman. — È probabile che la ragazza sia da qualche parte in fondo alla casa. Diamo un’occhiata.

Carr si era già chinato e aveva disfatto i nodi dei lacci delle sue scarpe. Adesso se le sfilò. La stanza in cui si trovava conteneva due letti gemelli. Era illuminata dalla luce che proveniva da un bagno dalle piastrelle bianche. Nella camera da letto c’era la stessa confusione e abbondanza di cianfrusaglie del soggiorno. Una delle ombre nel corridoio divenne più scura. Ma proprio mentre Carr stava per nascondersi nel bagno sentì il signor Wilson che esplodeva in un ordine: — Fermi! La veranda! Ascoltate la vecchia! Cosa sta dicendo?

Nel silenzio che seguì, Carr riuscì a udire un fioco farfugliare.

— Vedete — insisté ad alta voce il signor Wilson. — Sta parlando come se la ragazza fosse là.

— Ma…

— Ascoltate!

Il farfugliare cessò.

— Avete bisogno di altre prove? — chiese il signor Wilson. E un attimo dopo proseguì, con voce tranquilla: — Conosco i vostri teneri sentimenti per Dris signorina Hackman. In quanto sentimenti, per me non hanno alcun significato. Come influenze che distorcono la vostra capacità di giudizio, significano moltissimo. Dris è molto intelligente a volte, ma è indolente. Sapete che i nostri piaceri, i nostri piani, la nostra stessa esistenza dipendono da una vigilanza costante. Potremmo venir rovinati da una singola persona, come questa ragazza, o dall’ometto con gli occhiali.

— È morto — interloquì la signorina Hackman.

— È un pio desiderio. Supponete che lui o la ragazza diventino attivamente ostili. Cosa ancora peggiore, supponete che informino un altro gruppo come il nostro, ma più forte (ce ne sono, credetemi!), della nostra esistenza. Voi e io sappiamo , signorina Hackman, che quella ragazza sa di noi…

— Credo che sia rientrata nel suo vecchio solco — l’interruppe la signorina Hackman — e non dobbiamo più preoccuparci di lei. Può succedere. La maggior parte di loro vogliono tornare indietro.

Cercando d’intravedere quelli che parlavano Carr cominciò ad avvicinarsi di più alla porta senza far rumore, con le sole calze ai piedi.

— Ma la madre… — stava replicando il signor Wilson.

— Pazza. Al punto da credere che la ragazza sia là.

L’ombra del signor Wilson annuì. — Ve lo concedo… come possibilità. Forse la ragazza è rientrata nel solco. O forse no. Forse si è messa con Dris, o lui con lei, in segreto.

— Oh no! È indecente! Se ripetesse a Dris quello che avete appena detto…

— Comunque, non vorreste avere delle prove che non è così?

— Non mi abbasserei mai a coltivare un simile spregevole sospetto!

— No, eh? Non mi date l’impressione… Cos’è stato?

Carr s’irrigidì. Abbassando lo sguardo s’accorse di aver rovesciato un piccolo stupido fermaporte dalla forma di un pechinese seduto in posizione implorante sulle zampe posteriori. Fece per dirigersi verso la porta del bagno ma non aveva ancora fatto il primo passo, penosamente cauto, quando udì da quella stessa direzione, debole ma inequivocabile, il lieve rumore di qualcun altro che si muoveva. S’immobilizzò, poi si girò verso il corridoio. Sentì un ticchettio di tacchi alti, un’esclamazione gutturale, di sorpresa, da parte del signor Wilson, un morbido picchiettio affrettato, il miagolio d’un gatto inferocito, un agitarsi di ombre, uno schianto e un tonfo come se un bastone fosse stato calato con violenza su un tavolo e l’esclamazione del signor Wilson: — Dannazione!

Poi Carr intravide la signorina Hackman. Indossava un abito da sera grigio perla che le lasciava scoperte le spalle e reggeva una stola di visone sul braccio. Stava avanzando lungo il corridoio, ma lei non lo vide.

Nel medesimo istante qualcosa le si scagliò addosso da dietro. Il gatto Gigolò atterrò fra i suoi impeccabili capelli biondi lacerandole la pelle con gli artigli. La signorina Hackman urlò.

La battaglia che seguì fu troppo rapida e confusa perché Carr riuscisse a seguirla con chiarezza e si svolse quasi tutta nella piccola anticamera fuori della sua vista salvo per il gioco delle ombre. Due volte ancora il bastone o l’ombrello furono calati con violenza, il signor Wilson e la signorina Hackman urlarono e si gridarono l’uno all’altro nello stesso tempo, il gatto miagolava e soffiava in continuazione. Infine il signor Wilson urlò: — La porta! — Al che arrivò un ultimo colpo rimbombante seguito, sempre lanciato dal signor Wilson, da un: — Dannazione!

Nei pochi istanti che seguirono dal corridoio giunse soltanto il suono d’un respiro affannoso, poi la voce si levò in un gemito gravido di vendetta: — Brutto bastardo! Guardate cos’ha fatto alla mia guancia. Oh, perché devono esistere i gatti?

Poi la voce del signor Wilson, sinistramente pratica: — Non è scappato. È intrappolato sulle scale. Possiamo pigliarlo.

E la signorina Hackman: — Questo non sarebbe successo se avessimo portato la bestia!

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