Philip Farmer - I cavalieri del salario viola ovvero La grande abbuffata

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I cavalieri del salario viola ovvero La grande abbuffata: краткое содержание, описание и аннотация

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— Come va, Chib? La banda chiede fra quanto arrivi.

— Venire con voi? Non ho ancora fatto colazione, e ho mille cose da fare per preparare la mostra. Ci vediamo a mezzogiorno!

— Ieri sera ti sei perso tutto il divertimento. Certi stronzi di egiziani cercavano di smanazzare le ragazze, ma invece siamo stati noi a fargli un bel salamelecco contro il muro.

Rousseau svanisce come l’ultimo dei mohicani.

Chib pensa alla colazione, proprio mentre il citofono fischia. Apriti, Sesamo! Compare il soggiorno. Il fumaccio che vi impera è talmente denso e rabbioso che persino il condizionatore si è arreso. In fondo all’ovoide, il fratellastro e la sorellastra dormono su un divanetto. Giocando a “mamma e l’invitato” si sono addormentati, con la bocca ancora spalancata in una posa beata perché innocente, belli come possono esserlo soltanto i bambini che dormono.

A controllarli, comunque, di fronte agli occhi chiusi di ognuno di loro, c’è un occhio che non batte mai ciglio, come quello di un ciclope mongolo.

— Non sono carini? — fa Mamma. — Quei tesori erano troppo stanchi per andare via.

Anche laggiù, la tavola è rotonda. Cavalieri e dame, attempati entrambi, si sono raccolti lì intorno per la loro più recente Cerca del Re, Regina, Fante e Asso. Come armatura portano solo strati su strati di ciccia. Le gote di Mamma penzolano come bandiere in una giornata senza vento. I suoi seni strusciano e tremolano sul tavolo, si gonfiano e sussultano.

— Si è arenata una squadra di balenottere? — si domanda lui a voce alta, guardando le facce sfatte, le pantagrueliche poppe, i gonfi glutei. Quelli inarcano le sopracciglia, chiedendosi: Cosa rompe, adesso, quel genio pazzo?

— Tuo figlio è davvero ritardato come si dice? — chiede una delle amiche di Mamma, e tutti ridono e bevono un altro gotto di birra. Angela Ninon, che non vuol perdersi la smazzata e sa che tanto Mamma deve azionare gli spruzzatori, si piscia sulla gamba. Ridono anche di questo, e Guglielmo il Conquistatore dice: — Apro.

— Io sono sempre aperta — commenta Mamma e quelli si sbellicano dalle risate.

Chib si metterebbe a piangere. Ma non lo fa, sebbene sia stato incoraggiato fin dall’infanzia a piangere tutte le volte che ne ha voglia.

Ti fa sentire meglio, e guarda i vichinghi, che razza di palle avevano, eppure piangevano come bambini quando gliene veniva il desiderio… (Per gentile concessione del Canale 202, dal programma popolare Consigli alle mamme )

Se Chib non piange, è perché è come un uomo che pensa alla madre, tanto amata e morta, ma morta molto tempo prima. Sua madre è sepolta da troppo tempo sotto uno smottamento di ciccia. Quando aveva sedici anni, Chib aveva una madre incantevole.

Poi lei l’aveva scaricato.

AH, COME LE FACEVA, MAMMÀ!

(da una poesia di Edgar A. Grist, Canale 88)

«Figliolo, non è che mi piaccia. Lo faccio soltanto perché ti amo.»

E, da quel momento in poi, grasso, grasso, grasso! Dov’era andata a finire? Era sparita nell’abisso dell’adipe. Era progressivamente scomparsa, a mano a mano che ingrassava.

«Figliolo, potresti almeno abbracciarmi, di tanto in tanto.»

«Mi hai scaricato tu, Mamma. Ed era giusto che lo facessi. Adesso sono grande. Non puoi pretendere che lo rifaccia ancora.»

«Tu non mi vuoi più bene!»

— Cosa c’è per colazione, Mamma? — chiede Chib.

— Ho una bella mano, Chibby — dice Mamma. — Come mi hai detto tante volte, adesso sei grande. Solo per stavolta, fatti tu la colazione.

— Perché mi hai chiamato, Mamma?

— Perché mi sono dimenticata dell’ora in cui si inaugura la tua mostra. Volevo dormire un po’, prima di andarci.

— Alle due e mezzo, Mamma. Ma non sei obbligata ad andarci.

Le labbra verdi, coperte di make-up, si schiudono come una ferita in cancrena. Mamma si gratta un seno, coperto di rossetto anch’esso. — Oh, ci tengo a venire. Non voglio perdermi il successo artistico di mio figlio. L’avrai, la borsa di studio?

— Se no, finiamo in Egitto — conclude lui.

— Quegli arabi fetenti! — dice Guglielmo il Conquistatore.

— È il governo che decide, non gli arabi — dice Chib. — Gli arabi li hanno trasferiti per la stessa ragione per cui forse dovremo andarcene noi.

Dal manoscritto inedito del Nonno: Chi l’avrebbe mai pensato che Beverly Hills diventasse antisemita?

— Non voglio andare in Egitto! — piagnucola la Mamma. — Devi assolutamente avere quella borsa di studio, Chibby. Non voglio lasciare la mia zona. Sono nata e cresciuta qui… be’, al decimo livello, almeno, e quando mi sono trasferita qui, tutti gli amici mi hanno seguito. Non voglio andare!

— Non piangere, Mamma — dice Chib che, nonostante tutto, prova compassione per lei. — Non piangere. Il governo non può costringerti, lo sai. Hai i tuoi diritti.

— Se vuoi continuare ad avere tutte le tue belle cose, ti toccherà andare — dice il Conquistatore. — A meno che Chib non vinca la borsa, naturalmente. E io non mi sentirei di dargli torto, se non ci desse dentro per vincerla. Non è colpa sua, se non puoi dire di no allo Zio Sam. Hai il tuo salario purpureo e quello che Chib guadagna vendendo i quadri. Eppure non ti basta. Tu spendi più di quanto incassi.

Mamma strilla infuriata contro Guglielmo; parte la lite. Chib spegne il fideo. Al diavolo la colazione: mangerà più tardi. L’ultimo quadro per il Festival deve essere finito entro mezzogiorno. Preme un pulsante, e la stanza nuda a forma d’uovo si apre qua e là, e il necessario per dipingere salta fuori come un dono degli dèi dell’elettronica. Zeusi ci rimarrebbe secco e Van Gogh darebbe in ismanie, se potessero vedere la tela e la tavolozza e il pennello che usa Chib.

Il processo del dipingere richiede di piegare e torcere migliaia di fili, facendo loro assumere forme diverse a seconda delle varie profondità. I fili sono così sottili che si possono vedere solo con la lente d’ingrandimento e si possono manipolare solo con pinzette estremamente minute.

Ecco spiegati gli occhialoni che lui porta e il lungo strumento, simile a un pizzo, a una trina, che Chib tiene in mano durante le prime fasi della creazione di un quadro. A capo di centinaia di ore di lente e pazienti fatiche (amorose), i fili sono finalmente al loro posto.

Chib si toglie gli occhialoni per valutare l’effetto complessivo. Poi usa lo spruzzatore per coprire i fili con i colori e le sfumature che desidera. La tinta si asciuga e s’indurisce in pochi minuti. Chib collega i cavi elettrici al recipiente e preme un bottone per trasmettere ai fili un voltaggio minimo. I fili risplendono sotto il colore e, come valvole lillipuziane, spariscono lasciando solo una nuvoletta di fumo azzurrognolo.

Il risultato è un’opera tridimensionale composta di duri gusci di colore a parecchi strati, sotto l’involucro esterno. I gusci hanno vario spessore e sono tutti così sottili che la luce si insinua da quello più esterno a quello più interno, quando il quadro viene ruotato di un certo angolo. Alcune parti dei gusci sono soltanto riflettori che hanno la funzione di intensificare la luce, in modo che si possano vedere le immagini che stanno all’interno.

Quando viene esposto, il quadro è montato su un piedestallo semovente che lo fa girare di 12 gradi sulla sinistra e poi di 12 gradi sulla destra.

Il fideo suona. Chib, bestemmiando, si chiede se non sia il caso di staccarlo. Fortuna che non è il citofono, con sua madre che lo chiama istericamente. Non ancora, comunque. Chiamerà di sicuro, se comincerà a perdere forte a poker.

Apriti, Sesamo!

CANTO L’ALI GLORIOSE E IL CAPITANO

Il Nonno scrive, nelle sue Eiaculazioni private :

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