Philip Farmer - I cavalieri del salario viola ovvero La grande abbuffata

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I cavalieri del salario viola ovvero La grande abbuffata: краткое содержание, описание и аннотация

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Bela era finita riversa, sul pavimento dell’atrio, la testa infilata nelle pieghe morbide del divano.

Chib si era alzato lentamente ed era restato fermo per un momento, guardandosi intorno furibondo, con le ginocchia piegate, pronto a schizzare lontano dal pericolo: ma augurandosi di non essere costretto a farlo perché senza dubbio sarebbe scivolato.

«Fermo, lurido figlio di puttana!» aveva ruggito Papà. «Ti ammazzo! Non puoi far questo a mia figlia!»

Chib lo aveva guardato rigirarsi come una balena nel mare agitato e tentare di alzarsi in piedi. Era ricaduto di nuovo, grugnendo come se fosse stato colpito da un arpione. Mamma non aveva ottenuto risultati migliori.

Vedendo che la via era libera (Benedectine era sparita chissà dove) Chib aveva attraversato l’atrio, fino a raggiungere un tratto non coperto di schiuma presso l’uscita. Con gli abiti sul braccio, e stringendo ancora il defissante, si era avviato orgogliosamente verso la porta.

In quel momento Benedectine lo aveva chiamato per nome. Lui si era voltato e l’aveva vista arrivare scivolando dalla cucina. Teneva in mano un grosso bicchiere. Lui si era chiesto che cosa intendesse farsene. Certamente, non voleva offrire il bicchiere della staffa all’ospite.

Poi lei era arrivata sul tratto asciutto del pavimento, ed era crollata bocconi con un urlo. Tuttavia, aveva lanciato con buona mira il contenuto del bicchiere.

Chib aveva gridato nel sentire l’acqua bollente: era come se l’avessero circonciso senza anestesia.

Benedectine, sul pavimento, era scoppiata a ridere. Chib, dopo aver saltellato e urlato lasciando cadere la bomboletta e i vestiti, stringendosi con le mani le parti scottate, era riuscito a riprendere l’autocontrollo. Aveva smesso di agitarsi, aveva afferrato Benedectine per la mano e l’aveva trascinata fuori, per le vie di Beverly Hills. C’era parecchia gente in giro, quella notte, e tutti avevano seguito i due. Chib si era fermato solo quando era arrivato al lago, ed era sceso in acqua per alleviare la scottatura, trascinando con sé Benedectine.

La folla aveva avuto parecchie cose di cui parlare, più tardi, dopo che Benedectine e Chib furono usciti dal lago e poi furono corsi alle rispettive case. Gli spettatori avevano parlato e riso parecchio, mentre gli addetti della nettezza urbana ripulivano dalla schiuma la superficie del lago e le strade.

— Mi ha fatto così male che non sono riuscita a camminare per un mese! — urla Benedectine.

— Te la sei cercata tu — dice Chib. — Non ti puoi lamentare. Dicevi che volevi il mio bambino, e parlavi come se lo pensassi veramente.

— Dovevo essere impazzita! — dice Benedettine. — Anzi, no, non lo ero! Non ho mai detto una cosa del genere! Mi hai mentito! Mi hai costretto!

— Non costringerei mai nessuno — dice Chib. — Lo sai. Smettila di far scenate. Sei libera, e hai accettato liberamente. Hai il libero arbitrio.

Omar Runic, il poeta, si alza dal suo posto. È un giovanotto alto e magro, dalla pelle color rosso-bronzo, naso aquilino e rosse labbra carnose. I suoi capelli crespi sono lunghi, e adesso sono acconciati in modo da costituire un modellino del Pequod , la mitica baleniera che portò il pazzo capitano Achab e il suo equipaggio di scoppiati (nonché l’unico superstite, Ishmael), alla caccia della balena bianca. L’acconciatura ha il ponte di prua, la chiglia e tre alberi e i pennoni, e persino una scialuppa agganciata ai ramponi.

Omar Runic batte le mani e grida: — Bravo! Un filosofo! Evviva il libero arbitrio, la libertà di cercare le verità eterne… se ci sono… o la morte e la dannazione! Bevo al libero arbitrio! Un brindisi, signori! In piedi, Giovanni Radicchi, un brindisi al nostro capo!

E così ha inizio

LA FESTA DA S.-BALLO

Madame Trismegista esclama: — Ti leggo la sorte, Chib! Vediamo cosa dicono le stelle per mezzo delle carte!

Lui allora si siede al tavolino di Madame Trismegista, mentre i suoi amici gli si affollano attorno.

Okay , Madame. Come faccio a tirarmi fuori da questo casino?

Lei mischia e scopre la prima carta.

— Gesù! L’asso di picche!

— Farai un lungo viaggio.

— L’Egitto! — grida Rousseau Falco Rosso. — Oh, no, non andarci, Chib! Vieni con me là dove pascola il bisonte e…

Un’altra carta.

— Presto incontrerai una bellissima donna bruna.

— Una maledetta araba! Oh, no, Chib, dimmi che non è vero!

— Presto avrai grandi onori.

— Chib avrà la borsa di studio!

— Se avrò la borsa di studio, non dovrò andare in Egitto — dice Chib. — Madame Trismegista, con tutto il dovuto rispetto, stai dicendo un sacco di stronzate.

— Non farti beffe di me, giovanotto. Non sono un computer. Sono sintonizzata sulle vibrazioni della psiche.

Carta. — Correrai un grande pericolo, fisico e morale.

Chib dice: — Questo mi capita almeno una volta al giorno.

Carta. — Un uomo che ti è molto vicino morirà due volte.

Chib impallidisce, si riprende, e dice: — Un vigliacco muore di mille morti.

— Viaggerai nel tempo, ritornerai al passato.

— Cribbio! — dice Falco Rosso. — Non esagerare, Madame. Ti verrà un’ernia psichica, e dovrai portare un cinto di ectoplasma!

— Ridete pure quanto volete, voialtri stronzoni — dice Madame. — Ci sono molti mondi, non soltanto il nostro. Le carte non mentono, quando le faccio io.

— Gambrinus! — grida Chib. — Un altro boccale di birra per Madame.

I Giovani Radicchi tornano al loro tavolo, che è un disco senza gambe, tenuto sospeso in aria da un campo gravitazionale. Benedectine lancia loro occhiatacce, e va a imbrancarsi con le altre ragazze. A un tavolo vicino siede Pinkerton Legrand, agente governativo, rivolto verso di loro, in modo che il fideo nascosto sotto la finestra a falso specchio della giacca li inquadri. Tutti sanno quel che sta facendo. Lui sa che lo sanno, e l’ha riferito al suo superiore. Si acciglia quando vede entrare Falco Accipiter. Legrand non ama che un agente di un altro dipartimento si immischi nel suo caso. Ma Accipiter non degna Legrand di un’occhiata. Ordina un tè e poi finge di lasciar cadere nella teiera una delle pillole che si combinano con l’acido tannico per formare l’S.

Rousseau strizza l’occhio a Chib e attacca: — Credi davvero che sia possibile paralizzare tutta Los Angeles con un’unica bomba?

— Tre bombe! — lo corregge a voce alta Chib, in modo che il fideo di Legrand colga bene le parole. — Una per il quadro di comando dell’impianto di dissalazione, la seconda per i comandi di riserva, la terza per la tubazione che porta l’acqua alle cisterne del ventesimo livello.

Pinkerton Legrand impallidisce. Trangugia tutto il whisky del bicchiere e poi ne ordina un altro, sebbene ne abbia già bevuto fin troppo. Preme il tasto del suo fideo per trasmettere un allarme a triplice priorità. Al Quartier Generale lampeggiano le spie rosse; un gong echeggia ripetutamente; il capo si sveglia così all’improvviso che cade dalla sedia.

Anche Accipiter ha ascoltato le parole di Chib, ma resta seduto rigido, cupo come la statua in diorite di un falco dei faraoni. Monomaniaco com’è, non lascia che il progetto di inondare Los Angeles lo distragga, neanche se dovesse realizzarsi davvero. Segue le tracce del Nonno, e adesso è qui perché spera di usare Chib come chiave. Un “topo” (così chiama i criminali) corre sempre nella tana dell’altro.

— Quando pensi che potremo entrare in azione? — dice Huga Wells-Erb Heinsturbury, la scrittrice di fantascienza.

— Tre settimane — dice Chib.

Al Quartier Generale, il capo maledice Legrand perché lo ha chiamato. Sono migliaia i giovani, maschi e femmine, che si sfogano inventando simili trame di distruzione, assassinii, rivolte. Non capisce perché quei giovani teppisti parlino così, poiché tutto gli viene dato gratis. Se potesse fare a modo suo, li sbatterebbe in galera, a calci nel culo.

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