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Jack Vance: I signori dei draghi

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Jack Vance I signori dei draghi

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Anche pubblicato come “Uomini e draghi”, “I padroni dei draghi”, “Il Signore dei draghi”.

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Perciò i Fanti ripiegarono sul fondovalle, lasciando venti dei loro compagni morti sulla Via di Kergan. Di nuovo, gli uomini di Banbeck aprirono il fuoco, ma ancora una volta senza particolari risultati.

Dal suo studio, Joaz osservava, chiedendosi quale tattica avrebbero adottato i Basici. La rivelazione non tardò molto.

I Fanti si raggrupparono e si fermarono ansimando, mentre i Basici cavalcavano avanti e indietro, ricevendo informazioni, ammonendo, consigliando, rimproverando.

Dalla nave nera scaturì un fiotto d’energia che colpì lo strapiombo sopra la Via di Kergan. Lo spostamento d’aria fece tremare lo studio.

Joaz si scostò dagli schermi. E se un raggio avesse colpito una lente? Non poteva darsi che l’energia venisse guidata e riflessa direttamente verso di lui?

Uscì dallo studio mentre una nuova esplosione lo squassava.

Percorse correndo una galleria, scese una scala e uscì in uno dei corridoi centrali: vi trovò una grande confusione. Donne e bambini pallidissimi, che si ritiravano nelle viscere della montagna, si spingevano tra le file dei draghi e degli uomini in assetto da battaglia che entravano da una delle gallerie nuove. Joaz si soffermò a guardare per qualche istante, assicurandosi che in quella confusione non ci fosse panico, poi raggiunse i suoi guerrieri nella galleria che portava a nord.

In un’era antica un’intera sezione della parete rocciosa, all’inizio della valle, era franata, creando una giungla di pietre e macigni: il Labirinto dei Banbeck. Là sfociava la nuova galleria, attraverso una fenditura artificiale; e là Joaz si recò con i suoi guerrieri. Dietro di loro, nella valle, risuonava il rombo delle esplosioni, mentre la nave nera incominciava a demolire il Villaggio dei Banbeck.

Affacciandosi dietro un macigno, Joaz assistette esasperato alla scena, mentre grandi lastre di roccia si staccavano dalla parete perpendicolare.

Poi spalancò gli occhi, perché le truppe dei Basici avevano ricevuto rinforzi inaspettati: otto Giganti, alti il doppio di un uomo normale: mostri dal torace ampio, braccia e gambe nodose, occhi pallidi, ciuffi di capelli rossicci. Portavano corazze brune e rosse con le spalline nere, ed erano armati di spade, mazze e cannoni legati sul dorso.

Joaz rifletté. La presenza dei Giganti non gli dava motivo di modificare la sua strategia fondamentale, che era comunque vaga e basata sull’intuizione. Doveva prepararsi a subire perdite, e poteva solo sperare di infliggerne di più gravi ai Basici. Ma che importava, a quelli, delle vite delle loro truppe? Meno ancora di quanto a lui importasse dei suoi draghi. E se quelli distruggevano il Villaggio dei Banbeck, rovinavano la Valle, come poteva sperare di causare loro danni equivalenti?

Girò la testa e guardò l’alta parete di roccia bianca, chiedendosi se aveva stimato con precisione l’ubicazione della grotta dei sacerdoti. Ormai doveva agire: era venuto il momento.

Fece un segnale a un bambino, uno dei suoi figli, che trasse un profondo respiro, si lanciò all’impazzata fuori dal riparo delle rocce e corse verso il fondovalle. Dopo un attimo, sua madre lo rincorse, lo agguantò e ritornò precipitosamente nei meandri del Labirinto.

— Ben fatto — li elogiò Joaz. — Ben fatto, veramente. — Tornò a spiare guardingo tra le rocce. I Basici stavano scrutando attenti nella sua direzione.

Per un lungo attimo, mentre Joaz fremeva per la tensione, parve che i Basici non badassero alla sua esca. Conferirono tra loro e presero una decisione, percossero con i frustini le natiche coriacee delle loro cavalcature, che zampettarono di sbieco, e poi si buttarono a corsa verso nord, risalendo la valle. I Battitori li seguirono, e poi si mosse la Fanteria Pesante, a passo svelto. Gli Armieri procedettero con i loro meccanismi a tre ruote, e ponderosamente, alla retroguardia, avanzarono gli otto Giganti.

Gli invasori vennero attraverso i campi di bellegarde e di veccia, tra viti, siepi, cespugli di bacche e filari di piante da olio, distruggendo tutto con una certa cupa soddisfazione.

I Basici si arrestarono prudentemente davanti al Labirinto dei Banbeck, mentre i Battitori correvano avanti come segugi, inerpicandosi sui primi macigni, alzandosi per fiutare l’aria, ascoltando, indicando, pigolando incerti tra loro. La Fanteria Pesante avanzava cautamente, e la sua vicinanza spronò i Battitori.

Abbandonando ogni prudenza, balzarono nel cuore del Labirinto, emettendo squittii d’inorridita costernazione quando tra loro piombarono dodici Orrori Azzurri. Impugnarono le pistole termiche, e nell’agitazione ustionarono amici e nemici, senza distinzione. Con guizzante ferocia gli Orrori Azzurri li fecero a pezzi. Invocando aiuto a gran voce, scalciando, agitando le braccia, dibattendosi, coloro che ne avevano la possibilità fuggirono precipitosamente com’erano venuti.

Di ventiquattro che erano, soltanto dodici riguadagnarono il fondovalle; e in quel momento, proprio quando i Battitori gridavano di sollievo per essere scampati alla morte, una squadra di Assassini dal Lungo Corno irruppe su di loro, e anche i Battitori superstiti vennero abbattuti, dilaniati, straziati.

I Fanti caricarono con rauche grida di rabbia, mirando con le pistole e roteando le spade: ma gli Assassini corsero a ripararsi dietro i macigni.

Nel Labirinto, gli uomini di Banbeck si erano impadroniti delle pistole termiche lasciate cadere dai Battitori. Avanzando guardinghi, tentarono di bruciare i Basici. Ma, poiché non conoscevano quelle armi, gli uomini non riuscirono a regolare il fuoco o a condensare la fiamma. I Basici se la cavarono con qualche strinatura. In tutta fretta, frustarono le cavalcature, portandosi fuori tiro. I Fanti, fermandosi a meno di trenta braccia dal Labirinto, lanciarono una gragnuola di pallottole esplosive, che uccisero due cavalieri di Banbeck e costrinsero gli altri a indietreggiare.

XI

A distanza prudenziale, i Basici valutarono la situazione. Gli Armieri si avvicinarono e, mentre attendevano istruzioni, conferirono a bassa voce con le cavalcature.

Uno degli Armieri venne chiamato per ricevere gli ordini. Si liberò di tutte le armi e, tenendo alzate le mani vuote, marciò verso il Labirinto. Scegliendo un varco tra un paio di grossi macigni, entrò risolutamente nel meandro.

Un cavaliere di Banbeck lo accompagnò da Joaz. Per caso, lì c’era anche mezza dozzina di Rissosi. L’Armiere si soffermò incerto, compì una sorta di adattamento mentale e si avvicinò ai Rissosi. Si inchinò rispettosamente e cominciò a parlare. I Rissosi lo ascoltarono senza interesse, poi uno dei cavalieri gli disse di rivolgersi a Joaz.

— Su Aerlith, i draghi non regnano sugli uomini — disse seccamente. — Quale messaggio porti?

L’Armiere lanciò un’occhiata di dubbio ai Rissosi, poi tornò a guardare Joaz. — Sei autorizzato ad agire per tutta la conigliera? — Parlava lentamente con voce asciutta e blanda, scegliendo le parole con cura scrupolosa.

Joaz ripeté bruscamente: — Quale messaggio porti?

— Porto un’integrazione da parte dei miei padroni.

— “Integrazione”? Non ti capisco.

— Un’integrazione dei vettori istantanei del destino. Un’interpretazione del futuro. Essi desiderano che il suo significato ti venga comunicato in questi termini: “Non sprecate vite, nostre e vostre. Voi siete preziosi per noi, e verrete trattati secondo tale valore. Arrendetevi al Dominio. Cessate questa rovinosa distruzione d’iniziativa”.

Joaz aggrottò la fronte. — Distruzione d’iniziativa?

— È un riferimento al vostro patrimonio genetico. Il messaggio è finito. Vi consiglio di acconsentire. Perché sprecare il vostro sangue, perché farvi annientare? Venite con me. Tutto andrà per il meglio.

Joaz proruppe in una risata tesa. — Tu sei uno schiavo. Come puoi giudicare cosa va bene per noi?

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