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Jack Vance: I signori dei draghi

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Jack Vance I signori dei draghi

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Anche pubblicato come “Uomini e draghi”, “I padroni dei draghi”, “Il Signore dei draghi”.

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Quando attraversarono il Burrone Azzurro, il vento quasi onnipresente si spense. Il silenzio accentuò l’oppressione.

I Rissosi, come gli uomini, cominciarono a scrutare il cielo. Joaz si chiese come potevano sapere, come potevano percepire i Basici. Esplorò anch’egli il cielo, e mentre il suo esercito scendeva dalla scarpata, gli parve di scorgere in alto, sopra Monte Gethron, un piccolo rettangolo nero che poco dopo scomparve dietro una vetta.

IX

Ervis Carcolo e i resti del suo esercito corsero all’impazzata giù dallo Skanse, attraverso la desolazione di strapiombi e di canaloni alla base di Monte Disperazione, sul terreno spoglio a occidente della Valle Beata. Ogni finzione di precisione militaresca era stata abbandonata.

Carcolo precedeva tutti, in sella al suo Ragno che singultava per la stanchezza. Dietro di lui, in disordine, venivano prima gli Assassini e gli Orrori Azzurri, seguiti frettolosamente dai Rissosi. Poi i Diavoli, che correvano bassi sul terreno, sbatacchiando le mazze ferrate sulle rocce e facendo volare scintille. Lontano, alla retroguardia, procedevano pesantemente i Massacratori e i loro attendenti.

L’esercito giunse precipitosamente sull’orlo della Valle Beata e si arrestò, tra scalpitii e strilli. Carcolo balzò dal suo Ragno, corse sul ciglio dello strapiombo e guardò la valle.

Si aspettava di vedere la nave, tuttavia la realtà fu così immediata e intensa da sconvolgerlo. Era un cilindro affusolato, lucente e nero, posato su un campo di legumi non lontano dalla squallida Città Beata. Alle due estremità, dischi di metallo levigato brillavano di un velo mutevole di colore. C’erano tre portelli, uno anteriore, uno posteriore e uno centrale: e da quello centrale era stata calata al suolo una rampa.

I Basici avevano lavorato con feroce efficienza. Dalla città veniva una fila sparsa di persone, sorvegliate dalla Fanteria Pesante. Nell’avvicinarsi alla nave, passarono attraverso un apparecchio d’ispezione controllato da un paio di Basici. Una serie di strumenti e gli occhi dei Basici valutavano ogni uomo, donna e bambino, li classificavano secondo un sistema che non appariva immediatamente evidente; poi i prigionieri venivano caricati a bordo della nave, o spinti in una vicina cabina.

Stranamente, per quante persone vi entrassero, la cabina pareva non riempirsi mai.

Carcolo si passò sulla fronte le dita tremanti e abbassò gli occhi al suolo. Quando li rialzò, Bast Givven gli stava al fianco. Insieme, scrutarono la valle.

Alle loro spalle si levò un grido d’allarme. Carcolo si girò di scatto e vide un nero velivolo rettangolare che scendeva silenziosamente dalla direzione di Monte Gethron.

Agitando le braccia, Carcolo corse verso le rocce, urlando l’ordine di mettersi al coperto. Draghi e uomini risalirono correndo il canalone. Il velivolo li sorvolò. Si aprì una botola, lanciando un carico di proiettili esplosivi. Caddero in una grandine scrosciante, e nell’aria volarono sassi, schegge di roccia, frammenti d’ossa, scaglie, pelle e carne. Tutti quelli che non erano riusciti a mettersi al coperto finirono sbrindellati.

I Rissosi se la cavarono discretamente. I Diavoli, sebbene ammaccati e scalfiti, erano sopravvissuti tutti quanti. Due dei Massacratori erano rimasti accecati, e non avrebbero potuto combattere fino a quando fossero loro ricresciuti gli occhi.

Il velivolo tornò indietro. Parecchi uomini spararono con i moschetti… un gesto di sfida apparentemente futile, ma l’apparecchio fu colpito e danneggiato. Deviò, virò, salì in una curva rombante, si rigirò sul dorso, piombò verso il fianco della montagna ed esplose in una vampa di brillante fiamma arancione. Carcolo lanciò un urlo di folle allegria, saltò avanti e indietro, corse sul ciglio dello strapiombo, agitò il pugno in direzione della nave. Poi si calmò in fretta e si fermò, fosco e tremante.

Poi, volgendosi verso il gruppo disordinato di uomini e di draghi che erano usciti nuovamente dal canalone, gridò con voce rauca: — Cosa dite? Dobbiamo combattere? Dobbiamo caricarli?

Vi fu silenzio.

Bast Givven rispose con voce incolore: — Non possiamo far nulla. Perché suicidarci?

Carcolo gli volse le spalle, con il cuore troppo gonfio per poter parlare. Givven diceva la verità. Sarebbero stati uccisi o trascinati a bordo dell’astronave, e poi su un mondo estraneo, inimmaginabile, per venire usati nel modo più ignobile.

Strinse i pugni e guardò verso occidente, con odio rabbioso. — Joaz Banbeck, tu mi hai portato a questo! Mi hai trattenuto quando avrei potuto battermi per la mia gente!

— I Basici erano già qui — disse Givven, con sgradita razionalità. — Non avremmo potuto far nulla, perché non avevamo armi.

— Avremmo potuto batterci! — urlò Carcolo. — Saremmo potuti scendere dalla Gruccia e avventarci in forze su di loro! Cento guerrieri e quattrocento draghi… sono da disprezzare?

Bast Givven ritenne inutile continuare a discutere. Tese il braccio, indicando. — Ora esaminiamo i nostri vivai.

Carcolo si voltò a guardare e proruppe in una risata frenetica. — Sono sbalorditi! Sono sgomenti! E ne hanno ben donde!

Givven dovette dargli ragione. — Immagino che la vista di un Diavolo o di un Orrore Azzurro, per non parlare di un Massacratore, possa dar loro motivo di riflessione.

Nella valle, l’attività era terminata. I Fanti ritornarono marciando a bordo della nave. Ne uscirono due uomini enormi, alti dodici piedi: sollevarono la cabina, la portarono su per la rampa. Carcolo e i suoi uomini osservavano con occhi sgranati. — Giganti!

Bast Givven ridacchiò seccamente. — I Basici si sbalordiscono dei nostri Massacratori, e noi dei loro Giganti.

Poco dopo, i Basici tornarono alla nave. La rampa venne ritirata, i portelli si chiusero. Da una torretta a prua scaturì un raggio d’energia, che sfiorò uno dopo l’altro i tre vivai, facendoli esplodere tra grandi getti di mattoni neri.

Carcolo gemette sottovoce, ma non disse nulla.

La nave vibrò, si sollevò. Carcolo urlò un ordine; uomini e draghi si precipitarono al coperto. Rannicchiati tra i macigni, videro il cilindro nero alzarsi dalla valle e dirigersi verso occidente. — Vanno verso la Valle dei Banbeck — disse Bast Givven.

Carcolo rise, una sghignazzata priva di gaiezza. Bast Givven gli lanciò un’occhiata di straforo. Ervis Carcolo era impazzito? Gli voltò le spalle. Non era molto importante.

Carcolo prese una decisione fulminea. Si avvicinò a uno dei Ragni, montò in sella, si girò verso i suoi uomini. — Vado alla Valle dei Banbeck. Joaz Banbeck ha fatto di tutto per rovinarmi; io farò di tutto per rovinare lui. Non vi do ordini: venite o restate, come preferite. Ma ricordate! Joaz Banbeck non ci ha permesso di combattere i Basici!

Si allontanò al galoppo. Gli uomini guardarono la valle devastata, poi si voltarono verso Carcolo. L’astronave nera stava sorvolando Monte Disperazione. Nella valle non c’era più nulla che stesse loro a cuore. Borbottando e mugolando, chiamarono i draghi esausti e risalirono le squallide pendici della montagna.

Ervis Carcolo lanciò il suo Ragno in una corsa pazza attraverso lo Skanse. Ai lati si levavano vette enormi, il sole sfolgorante era librato al centro del cielo nero. Dietro di lui c’erano i Bastioni dello Skanse; davanti, il Dosso di Barch, la Guglia di Barch e la Catena della Guardia del Nord.

Dimentico della stanchezza del suo Ragno, Carcolo lo frustò, obbligandolo a proseguire. Il muschio verde-grigio schizzava via sotto le zampe scalpitanti, la testa sottile penzolava, la bava colava dalle branchie. Carcolo non se ne curava. Nella sua mente c’era posto solo per l’odio… odio per i Basici, per Joaz Banbeck, per Aerlith, per l’uomo, per la storia umana.

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