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Jack Vance: I signori dei draghi

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Jack Vance I signori dei draghi

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— Non posso fare nient’altro.

Phade trasse un profondo respiro tremulo e fissò intontita lo schermo. — Li combatterai?

— Naturalmente.

— E come speri di contrastare un potere così miracoloso?

— Faremo ciò che possiamo. Non hanno ancora incontrato i nostri draghi.

La nave si posò su un campo di viti verdi e purpuree dall’altra parte della valle, presso l’imboccatura del Crepaccio Clybourne. Il portello rientrò; calò una rampa. — Guarda — disse Joaz. — Eccoli là.

Phade guardò le bizzarre figure pallide che si erano affacciate sulla rampa. — Mi sembrano strani, contorti, come certi rompicapi d’argento per i bambini.

— Sono i Basici. I nostri draghi sono discesi dalle loro uova. Loro hanno selezionato gli uomini altrettanto bene. Guarda, ecco la loro Fanteria Pesante.

Dalla rampa, in fila per quattro e in cadenza precisa, marciavano i Fanti: si fermarono circa venticinque braccia più avanti. Erano tre squadre di venti uomini bassi e tozzi, dalle spalle massicce, con i colli taurini e le facce cupe tenute chine. Portavano corazze foggiate di scaglie sovrapposte di metallo azzurro e nero, alte cinture da cui pendevano spada e pistola. Le spalline nere, molto ampie, reggevano un corto mantello nero che scendeva sul dorso. Gli elmi erano muniti di creste appuntite. Gli stivali, alti fino al ginocchio, erano armati di lame.

Poi uscirono numerosi Basici. Le loro cavalcature erano esseri che solo lontanamente somigliavano a uomini. Correvano sulle mani e sui piedi, con i dorsi inarcati. Avevano teste lunghe e glabre, dalle labbra pendule e tremule. I Basici li comandavano con tocchi negligenti di frustino; e quando furono al suolo li lanciarono al galoppo fra le bellegarde. Intanto, una squadra di Fanti fece scendere dalla rampa un meccanismo a tre ruote, e ne puntò il muso complicato verso il villaggio.

— Non si erano mai preparati così meticolosamente, prima d’ora — mormorò Joaz. — Ecco i Battitori. — Li contò. — Soltanto due dozzine? Forse è difficile allevarli. Le generazioni umane passano lentamente; i draghi, invece, depongono le uova ogni anno…

I Battitori si portarono su un lato e si fermarono, in un gruppo disordinato e irrequieto: erano magrissimi, alti sette piedi, con gli occhi neri sporgenti, i nasi adunchi, bocche minuscole protese come per baciare. Dalle spalle strette pendevano le lunghe braccia, dondolando come corde. Mentre attendevano, flettevano le ginocchia, scrutando con occhi acuti la valle, senza star fermi un istante. Dietro di loro venne un gruppo di Armieri, uomini non modificati, che portavano camici sciolti e berretti di stoffa, verdi e gialli. Trainavano altri due congegni a tre ruote, che subito cominciarono a regolare.

L’intero esercito divenne silenzioso e teso.

I Fanti Pesanti avanzarono con andatura ponderosa, le mani pronte sulle pistole e sulle spade. — Ecco, arrivano — disse Joaz. Phade emise un gemito soffocato di disperazione, s’inginocchiò e ricominciò a compiere i gesti del culto teurgico. Irritato, Joaz le ordinò di uscire dallo studio. Si avvicinò a un quadro con una serie di sei apparecchi di comunicazione a filo diretto, dei quali aveva controllato personalmente la costruzione. Parlò in tre di quei telefoni, assicurandosi che le sue difese fossero pronte, poi tornò agli schermi di vetro molato.

I Fanti avanzavano attraverso il campo di bellegarde, con i volti duri e massicci segnati da rughe profonde. Ai loro fianchi gli Armieri trascinavano i meccanismi a tre ruote, ma i Battitori rimanevano in attesa accanto alla nave. Dieci o dodici Basici cavalcavano dietro la Fanteria Pesante, portando sul dorso armi sferiche.

Arrivati a cento braccia dal portale della Via di Kergan, fuori della portata dei moschetti di Banbeck, gli invasori si fermarono. Un Fante corse accanto a uno dei carri degli Armieri, infilò le spalle in un’imbracatura e si raddrizzò. Adesso portava una macchina grigia, da cui sporgevano due globi neri. Il Fante corse verso il villaggio come un ratto enorme, mentre dai globi neri si irradiava un flusso che doveva bloccare le correnti neurali dei difensori di Banbeck, immobilizzandoli.

Si udirono diverse esplosioni. Dalle fenditure delle rocce spuntarono sbuffi di fumo. Le pallottole si piantarono nel suolo, accanto al Fante; parecchie rimbalzarono sulla sua corazza.

Subito i raggi termici irradiati dall’astronave colpirono le pareti dello strapiombo. Nel suo studio, Joaz Banbeck sorrise. Gli sbuffi di fumo erano soltanto esche: gli spari provenivano da altre direzioni. Il Fante, schivando e sobbalzando, evitò una gragnuola di pallottole e corse sotto il portale, sul quale stavano in agguato due uomini. Colpiti dal flusso, vacillarono, s’irrigidirono, ma lasciarono cadere una grossa pietra, che colpì il Fante nel punto in cui il collo s’innestava sulle spalle, e lo scagliò a terra.

Il fante agitò freneticamente le braccia e le gambe, rotolando. Poi, scattando in piedi, tornò correndo nella valle, a salti e balzi, e finalmente incespicò, piombò lungo disteso al suolo e restò lì, scalciando e sussultando.

L’armata dei Basici assistette alla scena senza mostrare preoccupazione o interesse.

Vi fu un momento d’inattività. Poi dalla nave venne un campo invisibile di vibrazioni che passò lungo la parete di roccia.

Dove il raggio colpiva, si alzavano sbuffi di polvere e si staccavano frammenti di roccia. Un uomo che era disteso su una cengia balzò in piedi, torcendosi e saltellando, e precipitò per settanta braccia, uccidendosi. Quando investì uno degli spioncini di Joaz Banbeck, la vibrazione penetrò nello studio, con un ululato da straziare i nervi. La vibrazione passò oltre, lungo lo strapiombo. Joaz si massaggiò la testa indolenzita.

Gli Armieri, intanto, lanciarono una scarica con uno dei loro congegni. Vi fu prima un’esplosione soffocata, poi una sfera grigia descrisse una curva nell’aria. La mira era imprecisa: colpì la parete di roccia ed esplose in un grande sbuffo di gas biancogiallo. Il meccanismo sparò di nuovo, e questa volta lanciò esattamente la bomba nella Via di Kergan… che adesso era deserta. La bomba non fece alcun effetto.

Nel suo studio, Joaz attendeva, fosco in volto. Finora i Basici avevano compiuto solo i primi tentativi, quasi per gioco. Poi sarebbero venuti senza dubbio sforzi più impegnati.

Il vento disperse il gas: la situazione restò immutata. Finora, le perdite erano rappresentate da un Fante e da un fuciliere di Banbeck.

Dalla nave uscì una lingua di fiamma rossa, cruda, decisiva. La roccia del portale si infranse. Le schegge volarono sibilando; la Fanteria Pesante avanzò.

Joaz parlò nel telefono, ordinando ai suoi capitani di essere prudenti, per evitare che, contrattaccando una finta, si esponessero a un’altra bomba a gas.

Ma la Fanteria Pesante irruppe a precipizio sulla Via di Kergan: per Joaz, era un atto di sprezzante avventatezza. Impartì un brusco ordine.

Dalle gallerie e dagli anfratti uscirono a branchi i suoi draghi: Orrori Azzurri, Diavoli, Rissosi.

I tozzi Fanti li guardarono a bocca aperta. Erano antagonisti inaspettati. La Via di Kergan risuonò di richiami e di ordini. Prima arretrarono e poi, con il coraggio della disperazione, combatterono furiosamente. La battaglia infuriò su e giù per la Via di Kergan.

Divennero presto evidenti certe relazioni. Nella stretta gola, né le pistole dei Fanti né le code ferrate dei Diavoli potevano venire usate con efficacia. Le corte sciabole erano inutili contro le scaglie dei draghi, ma le chele degli Orrori Azzurri, i pugnali dei Rissosi, le asce, le spade, le zanne e gli artigli dei Diavoli facevano strage della Fanteria Pesante.

Un Fante e un Rissoso si equivalevano, approssimativamente, anche se il Fante, afferrando il drago con le braccia poderose, strappandogli le branchie, spezzandogli il collo, aveva più spesso la meglio sul Rissoso. Ma se si trovava di fronte due o tre Rissosi, la sua sorte era segnata. Non appena si impegnava contro uno di essi, un altro gli stritolava le gambe, lo accecava o gli squarciava la gola.

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