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Robert Silverberg: Invasori silenziosi

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Robert Silverberg Invasori silenziosi

Invasori silenziosi: краткое содержание, описание и аннотация

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Stavano scendendo, adesso. Il tassì si abbassò in cerchi sempre più stretti sulla rampa dello Spaceway Hotel. Il maggiore Harris pagò il conducente, entrò nell’albergo e salì direttamente nella sua stanza, dove accese il comunicatore a raggio stretto: “Carver? Qui Harris.” “Harris! Hai potuto fuggire?” “Non esattamente. Mi hanno lasciato andare.” “E perchè? Come?” “E’ una lunga storia...” “Ma perchè ti hanno lasciato andare?” insistette Carver. “Sono diventato un loro agente” disse Harris in tono cordiale “La mia prima missione è quella di assassinarti.”

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«La mia stanza è in un disordine spaventoso» disse Harris, pensando che là dentro c’erano troppe cose che non voleva farle vedere. «Perché non andiamo in camera vostra?»

«Va bene. Come volete.»

Si fermarono davanti a un autobar e lui introdusse alcuni pezzi da mezza unità in una macchina lucente fino a che suonò un campanello, e una bottiglia già avvolta nella carta scivolò sul vassoio pronto a riceverla. Harris se la ficcò sotto il braccio e s’inchinò scherzosamente alla ragazza. Continuarono per la loro strada.

Il segnale arrivò proprio mentre stavano entrando nell’atrio.

Raggiunse Harris sotto forma di un improvviso pizzicorino all’addome; l’amplificatore era stato inserito lì. Tre rapidi impulsi, rasp, rasp, rasp , che, dopo una breve pausa, si ripeterono.

Quel segnale aveva un solo significato: Situazione d’emergenza. Mettersi subito in contatto col nostro agente di collegamento. Emergenza!

La mano di lei gli strinse forte il braccio. «Vi sentite male? Siete così pallido!»

Con voce tesa lui rispose: «Forse sarebbe meglio rimandare di qualche minuto la nostra festicciola, Beth. Non… non sto molto bene.»

«Oh! Posso fare niente per voi?»

Lui scosse la testa. «È un malanno che mi sono preso su Alpheratz» rispose con voce rauca. Poi si voltò, le allungò la bottiglia incartata e soggiunse: «Tra pochi minuti andrà meglio. Voi andate in camera vostra e aspettatemi là.»

«Ma se non state bene, io dovrei…»

«No, Beth. Devo fare da me, senza che nessuno stia lì a guardare. Vi spiace?»

«Come volete» disse lei, perplessa.

«Grazie. Sarò da voi appena possibile.»

Salirono in ascensore fino al 58° piano dell’albergo e ognuno s’incamminò verso la propria camera.

Il segnale nell’addome di Harris continuava a ripetersi con tranquilla urgenza. Rasp, rasp, rasp. Rasp, rasp, rasp. Rasp, rasp, rasp.

Lui neutralizzò con un rapido impulso di energia il campo di forza sulla porta e aprì. Sgattaiolò dentro, in fretta, e subito azionò di nuovo il dispositivo di disturbo del raggio-spia. Gocce di sudore freddo cominciavano a imperlargli la fronte.

Rasp, rasp, rasp. Rasp, rasp, rasp.

Aprì l’armadio, prese il piccolo amplificatore a corto raggio e lo sintonizzò sulla frequenza del segnale d’emergenza. Immediatamente i segnali dentro di lui cessarono, mentre l’amplificatore a corto raggio intercettava la lunghezza d’onda.

Trascorsero momenti interminabili. L’amplificatore captò una voce che parlava nel codice riservato ai soli agenti darruuesi.

«Fatevi riconoscere.»

Harris si fece riconoscere secondo la regolare procedura. Poi continuò: «Sono arrivato oggi sulla Terra. Avevo ordine di non mettermi in contatto con voi per circa due settimane.»

«Lo so» rispose la voce, impaziente. «Si è verificata una situazione d’emergenza.»

«Di che si tratta?»

«Abbiamo scoperto che ci sono agenti di Medlin sulla Terra. Le procedure normali dovranno essere modificate. Dovete venire da me subito.»

E diede un indirizzo. Harris lo mandò a memoria e lo ripeté. Il collegamento fu troncato.

Venite subito da me. Gli ordini andavano interpretati alla lettera. Subito voleva dire adesso, non domani pomeriggio, come avrebbe fatto comodo a lui. L’incontro con la bionda terrestre doveva essere rimandato.

Agguantò la cornetta del citofono e chiese di parlare con la stanza di Beth. Un attimo dopo udì la sua voce.

«Pronto?»

«Beth, sono Abner Harris.»

«Come state? Tutto a posto? Vi sto aspettando.»

«Sto bene, adesso» rispose lui, esitante. «Ma, Beth… non so come spiegarvi… mi credete se vi dico che un mio amico mi ha telefonato in questo momento per dirmi che ha bisogno d’incontrarsi subito con me, in centro?»

«Adesso? Ma sono passate le undici!»

«Lo so. È un tipo strano. Ha orari particolari. Non posso fare a meno di andare.»

«Credevo che non ne aveste di amici, sulla Terra, maggiore Harris. Dicevate di sentirvi solo.» La voce era brusca, col sarcasmo tagliente della delusione.

«Non è proprio un amico» disse Harris, impacciato. «È un collega… del CEI.»

«Ecco… non sono abituata a farmi piantare in asso dagli uomini. Ma a quanto pare non ho possibilità di scelta, no?»

«Siate buona. Diamoci appuntamento per domattina, alla prima colazione.»

«Un cambio poco vantaggioso, ma farò di necessità virtù. A che ora?»

«Alle nove.»

«D’accordo. Arrivederci alle nove, maggiore Harris.»

3

Si fermò nell’atrio e ficcò la testa nella guardiola del portiere. Il portiere era un tipo dagli zigomi sporgenti e dal naso aquilino, con uno sguardo velato in cui però luccicava tutto quello che aveva appreso durante cent’anni di servizio. Gli sorrise, ossequiente.

«Sì?»

«Vorrei sapere qual è la via più breve per arrivare all’undici-cinque-quattro-tre di Narvon Boulevard.»

La faccia incartapecorita si raggrinzì in un altro sorriso. «A voi maggiore interessa la vita notturna, eh? Avete prenotato? I circoli di Narvon Boulevard generalmente hanno pochi posti vuoti.»

«Devo incontrarmi là con un amico» disse Harris. «Suppongo che abbia pensato lui a tutto. Posso andarci a piedi?»

«A piedi? No, no! Non è affatto consigliabile. È un tratto molto lungo. E per niente sicuro. Ora vi chiamo un elitassì. Si fa prestissimo con quello.»

Harris annuì e lasciò scivolare una banconota nella guardiola. Il vecchio alzò una cornetta e disse poche parole. «L’elitassì sarà qui tra un momento, maggiore. Siate tanto gentile da aspettare presso l’entrata nord dell’albergo…»

Harris uscì. Un altro inserviente in uniforme gli indicò la rampa degli elitassì, che si curvava in salita, a destra. Harris salì e un momento dopo sopraggiunse un veicolo luccicante che si posò, con un ronzio sordo. Un portello si aprì nel fianco.

Harris salì.

«Narvon Boulevard, maggiore?» chiese il pilota.

«Sì.»

Harris si appoggiò allo schienale ricoperto di morbido tessuto. Il suono di una musica sommessa filtrava da un piccolo altoparlante. Si udì il pulsare improvviso dei possenti rotori, e subito furono in alto, sollevandosi verticalmente a una quota notevole.

Fu un volo breve, in direzione est, via dal centro della città. Passarono da una zona di luci splendenti a una in penombra, quindi sorvolarono di nuovo un quartiere fortemente illuminato, ma questa volta in modo sfarzoso e sgargiante.

L’elitassì scese a spirale fino a una rampa d’atterraggio pubblica.

«Tre e cinquanta» disse il pilota.

Harris gliene diede quattro e scese. L’elitassì si sollevò nella notte mite, lasciandolo solo.

L’altro agente operativo aveva indicato con esattezza l’angolo di una certa strada come punto d’incontro. Harris si avvicinò a piedi alla cantonata, dove un’insegna stradale luminosa brillava di un verde scintillante sul fianco di un edificio, e scoprì che quello era il 105° isolato di Narvon Boulevard. Doveva andare al 115°. Qualcuno aveva informato male il pilota dell’elitassì. Si sentì seccato: farsi dieci isolati a piedi, al buio, non era una prospettiva entusiasmante.

Si avviò. Era un quartiere di locali notturni, tutto luci violente e musica chiassosa. Di tanto in tanto, scorgeva figure furtive allontanarsi e sgattaiolare giù per i vicoli bui tra i vari night, ma lui tirò innanzi, tranquillo, sapendo di essere armato e in grado di sostenere qualsiasi aggressione che non fosse proprio del tutto imprevista.

Sorpassò gli isolati uno dopo l’altro: 106°, 109°, 113°. Ciascuno era identico a quello precedente, una processione senza fine di luoghi di divertimento e di locali equivoci. A giudicare dalle radiose insegne che invitavano all’esterno, ciascuno aveva la propria specialità: spogliarelliste in uno, gioco d’azzardo nell’altro, liquori esotici in quello seguente, e cose forse meno pulite in altri.

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