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Robert Silverberg: Invasori silenziosi

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Robert Silverberg Invasori silenziosi

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Stavano scendendo, adesso. Il tassì si abbassò in cerchi sempre più stretti sulla rampa dello Spaceway Hotel. Il maggiore Harris pagò il conducente, entrò nell’albergo e salì direttamente nella sua stanza, dove accese il comunicatore a raggio stretto: “Carver? Qui Harris.” “Harris! Hai potuto fuggire?” “Non esattamente. Mi hanno lasciato andare.” “E perchè? Come?” “E’ una lunga storia...” “Ma perchè ti hanno lasciato andare?” insistette Carver. “Sono diventato un loro agente” disse Harris in tono cordiale “La mia prima missione è quella di assassinarti.”

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Questa si aprì silenziosamente, e lui uscì nel corridoio. In quello stesso istante qualcuno che arrivava in gran fretta gli finì contro, facendogli fare una giravolta. Un contatto morbido e piacevole.

Una donna!

La reazione immediata che gli si scatenò dentro fu di furore, ma Harris controllò l’istinto di colpire la sconosciuta prima che l’impulso si facesse irresistibile. Su Darruu, una donna che si permettesse di urtare un Servo dello Spirito poteva solo aspettarsi una buona dose di frustate.

Ma lì non erano su Darruu.

Ricordò una frase delle istruzioni ricevute durante l’addestramento: Vi sarà utile stabilire una relazione sentimentale sulla Terra, a scopo di mimetizzazione.

I chirurghi avevano alterato il suo metabolismo anche sotto quell’aspetto, mettendolo in grado di provare attrazione sessuale verso una ragazza terrestre. Ciò faceva parte della mimetizzazione. Nessuno si sarebbe mai aspettato che uno straniero sotto false spoglie s’imbarcasse in un’avventura romantica con un’abitante della Terra e la cosa sarebbe dunque servita a disorientare gli avversari.

«Scusate!» esclamarono Harris e la donna nello stesso istante.

Lui ricordò che le esclamazioni sfuggite contemporaneamente a due persone erano motivo d’ilarità, sulla Terra. Gliel’avevano detto durante l’addestramento. Rise. E anche lei rise.

«Credo proprio di non avervi visto» disse la ragazza. «Camminavo in fretta, senza guardare.»

«È stata colpa mia» insisté Harris. «I maschi terrestri sono ostinatamente cavallereschi» gli avevano detto. «Sono uscito con troppa furia. Scusatemi tanto.»

La guardò. Era alta, quasi quanto lui, con capelli biondi, morbidi e lucenti, la pelle rosea. Indossava un abito molto aderente, che lasciava scoperte le spalle e buona parte del petto. Harris la trovò attraente.

Ora so che i chirurghi mi hanno cambiato davvero pensò. Ha dei peli sul cranio e due enormi seni rigonfi, eppure mi sento attratto da una creatura simile!

«È colpa di tutt’e due» disse la ragazza. «La maggior parte degli scontri accade proprio così. Non parliamone più.» Gli scoccò un sorriso abbagliante e soggiunse: «Mi chiamo Beth Baldwin.»

«Maggiore Abner Harris.»

«Maggiore?»

«Corpi di Espansione Interstellare.»

«Oh! Appena arrivato sulla Terra?»

Lui annuì. «Sono qui in vacanza. La mia ultima missione è stata su Alpheratz quarto.» Rise e soggiunse: «Sentite, non è il caso di starsene qui nel corridoio a chiacchierare. Stavo scendendo per ordinare qualcosa da mettere sotto i denti. Siete disposta a farmi compagnia?»

Lei rimase perplessa un attimo, uno soltanto, poi s’illuminò.

«Dispostissima» rispose.

Presero l’ascensore e mangiarono nel ristorante al terzo piano dell’albergo, un posto completamente automatizzato con speciali nastri convogliatori che portavano il cibo a ciascun tavolo. Parte dell’addestramento ipnotico di Harris gli era stato impartito appunto per metterlo in grado di affrontare situazioni come quella. Infatti, senza fare una piega, ordinò un pranzo per due, completo di vini.

La ragazza non aveva l’aria timida. Gli disse che era impiegata su Rigel XII e che era arrivata il giorno prima, per un viaggio d’affari. Era sulla trentina, nubile, ed era nata sulla Terra, proprio come lui. Viveva nel sistema di Rigel da quattro anni.

«E adesso ditemi voi» concluse, allungando la mano per afferrare la brocca del vino.

Harris si strinse nelle spalle con diffidenza. «Temo proprio che non ci sia molto da raccontare. Sono ufficiale di carriera, un tipo piuttosto noioso, ho appena passato i quaranta e questo è il primo giorno che trascorro sulla Terra da dieci anni a questa parte.»

«Deve sembrarvi strano.»

«Infatti.»

«Quanto potete trattenervi?»

«Da sei a otto mesi. Posso chiederne di più, se voglio. Quando tornate su Rigel, voi?»

Lei gli rivolse uno strano sorriso. «Può darsi anche che non ci torni del tutto. Dipende se riuscirò a trovare quello che cerco sulla Terra.»

«E che cosa state cercando?»

Lei rise ancora, con civetteria. «Questo è affar mio» disse maliziosamente.

«Scusate.»

«Lasciate perdere le scuse. Beviamo un altro goccetto di vino.»

Quando Harris ebbe pagato il conto, lasciarono l’albergo e uscirono per fare una passeggiata. Le strade erano affollate. Un orologio in cima a un edificio lontano segnava le sette e qualche minuto.

Harris, ora che l’impianto di regolazione era a posto, aveva caldo. I cibi e i vini ai quali non era abituato gli davano una strana sensazione di nausea. E questo, nonostante avesse gustato il pasto.

La ragazza gli infilò una mano sotto braccio, stringendolo affettuosamente. Harris le sorrise.

«Ho paura che dovrò trascorrere una vacanza piuttosto solitaria» disse Harris.

«Anch’io. Si può essere spaventosamente soli, sopra un pianeta dove vivono venti miliardi di persone.»

«Specialmente quando si è diventati stranieri nel proprio mondo, dopo un’assenza di dieci anni» dichiarò lui con disinvoltura.

Continuarono a camminare. In mezzo alla strada, una compagnia di acrobati intratteneva i passanti, servendosi di dispositivi antigravità per rendere ancora più spettacolari le acrobazie. Harris rise e lanciò una moneta. Una ragazza abbronzata lo salutò dalla sommità della piramide umana.

Scendeva la notte. Harris pensò che era assurdo passeggiare così, con una ragazza terrestre e il ventre pieno di cibi terrestri. E di goderne, oltretutto.

Darruu sembrava incredibilmente lontano, ora. Millecento anni-luce dalla Terra. La sua stella si confondeva in una massa di punti luminosi dai confini indefiniti.

Però lui sapeva che era là. E ne provava nostalgia.

«Sembrate preoccupato» disse la ragazza, al suo fianco.

«È un mio vecchio difetto.»

Intanto pensava: Sono nato Servo dello Spirito, perciò mi hanno scelto per venire sulla Terra. Può darsi che a Darruu non tornerò mai più.

Il cielo imbruniva. Continuarono a camminare sopra un ponte dorato, sospeso con leggerezza su di un fiume buio dove brillavano miriadi di puntolini luminosi. Guardarono insieme l’acqua e le stelle che vi si specchiavano. Lei gli si avvicinò, e il tiepido contatto della sua figura gli fece stranamente piacere.

Millecento anni-luce da casa.

Perché sono qui?

Naturalmente sapeva la risposta. Un titanico conflitto andava addensandosi nell’Universo. Gli Indovini ritenevano che il cataclisma si sarebbe scatenato tra meno di due secoli. Darruu avrebbe affrontato il suo antico avversario, Medlin, e tutti i mondi dell’Universo si sarebbero schierati da una parte o dall’altra.

Lui era andato sulla Terra in qualità di ambasciatore. La Terra era una forza possente nella galassia. Tanto possente che si sarebbe rifiutata di recitare il ruolo che le avevano assegnato: quello di pedina tra Darruu e Medlin. Darruu voleva, aveva bisogno dell’aiuto terrestre nel prossimo conflitto. Ottenerlo, strappare questo consenso, era impresa estremamente importante e delicata.

Un gruppo di Darruuesi trapiantato sulla Terra e che influenzasse gradatamente l’opinione pubblica in favore di Darruu, mettendo in cattiva luce Medlin… Questo era il piano, e il maggiore Abner Harris, nato Aar Khiilom, era uno degli agenti scelti per attuarlo.

Camminarono per la città fino a tardi, poi tornarono sui loro passi verso l’albergo. Harris si sentiva sicuro di avere ormai avviato con la ragazza il tipo di relazione che probabilmente lo avrebbe messo al riparo da ogni sospetto sulle sue vere origini.

«Che si fa ora?» chiese.

«E se comprassimo una bottiglia di qualcosa e organizzassimo una festicciola nella vostra camera?» suggerì lei, con prontezza.

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