«Questa è un’aggiunta recente,» le spiegò Sonny. «Le pergole sono sull’altro lato, quello da cui si può ammirare il panorama.» Salì i due scalini di pietra con un solo passo, poi passò Cleo a Delanna in modo da potere aprire la porta della casa. «Devo accendere la luce,» annunciò, entrando prima di lei. «Anche l’interno non ti sembrerà più lo stesso, perché, quando vivevamo con tua madre, abbiamo aggiunto una vera cucina alla casa, dunque adesso è più grande di prima.»
Non sembra più grande , pensò Delanna quando la luce si accese, ma solo strana. Anche se la cucina in cui era entrata non le era familiare, riconobbe il tavolo di legno con le gambe che terminavano in zampe di leone. Ormai era quasi bianco per tutti gli anni in cui era stato pulito con la candeggina, e il suo ripiano portava le cicatrici provocate da infinite pile di verdure che erano state pulite o tagliate a dadini sulle sue assi semplici ma robuste. Al di là del tavolo, gli scaffali di ceramica azzurra scheggiata che occupavano la parete più lunga della casa, andando dal pavimento al soffitto, erano gli stessi che Delanna ricordava di avere visto sopra il camino; riconobbe anche le grandi pentole e le padelle della madre e perfino il motivo floreale che decorava i piatti. La parete in cui si apriva il grande camino era stata sfondata e adesso Delanna poteva vedere quella che, in precedenza, era stata l’unica stanza della casa. Quella che era stata la zona cucina quando la casa aveva avuto un’unica camera adesso era stata arredata con qualche sedia e un tappeto e formava un piccolo salotto di fronte al camino; il letto e il baule della madre erano lungo la parete opposta, accanto alla porta. Senza dubbio il portico che Delanna ricordava si trovava oltre quella parete.
«È rimasta più o meno uguale a come l’aveva lasciata tua madre,» spiegò Sonny. «Io e i ragazzi ci siamo limitati a ripulirla un pochino.»
La casa era immacolata. Avevano perfino pulito i pavimenti con la candeggina e il tappeto davanti al camino, anche se aveva un’aria consunta, sembrava essere stato sbattuto da poco. Nell’aria non c’era neppure l’odore di stantio che avrebbe dovuto caratterizzare una casa rimasta chiusa per quasi un anno. «C’è un bagno?» chiese Delanna in tono speranzoso. Vedeva che il vecchio lavandino era stato dotato di una pompa e di un tubo di scarico. Forse avevano sostituito anche il gabinetto esterno.
«Be, sì, una specie,» rispose Sonny, mostrandole una stanzino dietro la cucina, costruito con le stesse mattonelle, solo che la maggior parte di esse erano fatte di frammenti incollati insieme. «C’è solo una doccia a gravità, ma puoi riscaldare l’acqua usando questa piccola stufa.»
La stufa era fatta di ceramica annerita dalla fuliggine ed era molto fredda al tocco. La doccia non era che un piatto di ceramica protetto da una tendina e dotato di un foro di scolo. La tazza era di un tipo che Delanna aveva visto solo in vecchie fotografie, ma, considerando l’alternativa, era felice che ci fosse.
Sonny stava fissando accigliato la doccia, come se fosse insoddisfatto. Ma quando si accorse che Delanna lo stava osservando, si affrettò a dire, «Posso accendere il fuoco nella stufa prima di andare via. So quanto ci tenevi a fare un bagno, ma forse per stasera una doccia andrà bene. Domani tenterò di immaginare qualcosa…» Era entrato nella minuscola stanza da bagno e osservava la doccia come se stesse prendendo delle misure. «Ho un vecchio tino che potrei pulire, forse entrerà…»
Delanna toccò la spalla di Sonny per richiamare la sua attenzione. «Me la caverò benissimo, Sonny. Mi preoccuperò della doccia domani. Va tutto bene.»
«Quando aggiungemmo il bagno, tua madre riutilizzò tutto il possibile per risparmiare denaro,» spiegò Sonny. «Io penso che lei… Be’, penso che avesse tutto il diritto di riutilizzare quello che voleva.»
Delanna annuì in modo incerto. Sua madre le aveva scritto di avere avuto una discussione con Sonny perché lui non voleva riutilizzare della ceramica perfettamente buona, solo perché poche mattonelle erano rotte. Ma non erano state così poche: la gran parte di quelle mattonelle erano rotte. Doveva esserci voluta molta pazienza per disporre i loro frammenti sulla parete e fissarli con il cemento… davvero molta pazienza.
«È tutto molto più arrangiato di quello a cui sei abituata,» si scusò Sonny.
«Me la caverò benissimo con le cose di mia madre,» gli assicurò Delanna.
Sonny sembrò sollevato. Delanna sorrise e si aspettò che le augurasse la buonanotte e andasse via, ma Sonny rimase lì a guardarla.
«Cosa c’è?» gli chiese Delanna. «C’è qualche problema?»
«Problema? No. Um, le notti sono molto fredde. Ti accenderò il fuoco, se vuoi.» La sfiorò quando si avvicinò alla cassetta della legna e iniziò ad accendere il fuoco nel grande camino che separava le due stanze.
Delanna poggiò i fior-di-rosa sul tavolo, poi andò nell’altra stanza per mettere Cleo su un cuscino. Lo scarabeo non aprì neppure un occhio: si stava abituando a essere sistemato in posti strani come un cappello sformato, oppure un cuscino imbottito di piume. Il vecchio baule da spaziale della madre di Delanna era ai piedi del letto; era ben misera cosa se paragonato a quello di Delanna, ma le serrature funzionavano ancora e il coperchio si aprì abbastanza facilmente. All’interno c’erano lenzuola impilate ordinatamente su un lato e libri mastri sull’altro, mentre in mezzo c’erano alcuni pacchi. Delanna fece per chiudere il baule, pensando che lo avrebbe esaminato meglio la mattina seguente, quando si rese conto che tra i libri mastri c’erano numerosi altri libri, di dimensioni più piccole. Li tirò fuori, ansiosa di vedere che tipo di libri sua madre avesse deciso di conservare in forma cartacea. La maggior parte delle persone usavano lettori portatili o addirittura i loro terminali vega per leggere libri di intrattenimento, dunque si tendeva a conservare i vecchi libri rilegati solo quando erano ricordi cari, oppure oggetti da collezione. Prese il primo libro della pila. Aveva una copertina rossa, senza graziose lettere dorate; un titolo scritto a mano con inchiostro nero diceva Diario di Serena Milleflores.
«Mia madre teneva un diario?» si chiese Delanna, aprendo il libro a caso. La carta era molto sottile, ma liscia e opaca.
«Sì, i vari volumi sono nel suo baule,» rispose Sonny, sporgendo il volto oltre il camino. «Oh, vedo che li hai trovati.»
«Non sapevo che mia madre tenesse un diario,» commentò Delanna, sedendosi sull’orlo del letto. Aprì il libro a caso: la madre aveva scritto usando la stessa calligrafia piccola e stretta delle lettere che aveva spedito a Delanna.
Oh, mamma! pensò Delanna, provando un improvviso tuffo al cuore. Chiuse il diario e rimase seduta lì, con il libro in grembo, pensando alle lettere della madre e poi alla lettera ricevuta dall’avvocato su Rebe Primo. «Siamo dolenti di informarla del decesso di sua madre…»
«Penso che li leggerò più tardi,» affermò poi, ricacciando indietro le lacrime.
Sonny la guardò, ma non disse nulla. Aveva accesso un fuoco che crepitava allegramente nel camino ed era venuto in salotto per tirare la tenda. Le luci tremolarono.
«Qui non abbiamo una batteria molto grande,» si scusò. «Le luci si spegneranno tra dieci minuti, che tu lo voglia oppure no. Laggiù, accanto alla radio, c’è un’ottima lanterna, ed entrambe useranno automaticamente la batteria di riserva se ne hai bisogno durante la notte. Ma tutto il resto funziona sfruttando le cellule principali per l’immagazzinamento dell’energia.»
«Tutto il resto?» si stupì Delanna, guardandosi intorno. A parte la radio e le luci, non riuscì a vedere nulla che consumasse energia elettrica: nessun terminale vega, nessun rinfresca-vestiti e nessun sistema computerizzato. Perfino la coperta sul letto era fatta con pezze di flanella cucite insieme, non era una di quelle coperte dotate di sensori di temperatura e unità di risposta.
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