Nel suo ufficio, Dom disse alla segreteria che era disponibile solo per i membri dello staff e per il capo, ovvero J.J. Si versò un po’ di caffè e si sedette nella sua sedia, che aveva voluta apposta scomoda. Il lavoro a tavolino non gli piaceva. Se avesse temuto la solita poltrona girevole comoda e bene imbottita che era di prammatica negli uffici, avrebbe finito per dormirci sopra un mucchio di volte.
L’ufficio era nell’area di massima. sicurezza. Era protetto quanto i laboratori e la principale sala di controllo. I laboratori erano adiacenti ad esso e contenevano tutto il necessario per il lavoro preliminare, che era soprattutto teorico. Dom poteva chiedere un pasto completo scegliendolo in un menù variato a qualsiasi ora del giorno e della notte, e poteva farselo portare o in ufficio o nel suo appartamento, che era contiguo all’ufficio. Ufficio e appartamento erano piccoli ma confortevoli. Erano così bene aerati e illuminati che era facile dimenticarsi che si trovavano più di cento metri sotto il livello del suolo. Nel suo appartamentino Dom aveva varie bottiglie della sua marca preferita di bourbon, uno schermo sul quale poteva vedere i programmi trasmessi in superficie e anche una varietà di drammi, documentari e film scientifici registrati, e una serie di cassette con i pezzi musicali che preferiva.
L’intero complesso dei laboratori e degli uffici era protetto da uno schermo isolante. Le comunicazioni con l’esterno erano difficili, a parte quelle con l’ufficio di J.J., che disponeva di una linea privata. In generale l’organizzazione era ottima, dal punto di vista del lavoro.
Dom esaminò la relazione riguardante il collaudo effettuato da Neil. Il motore nucleare non aveva deluso le aspettative, e adesso Neil lo riportava indietro, vicino alla Luna, dov’era in attesa lo staff dei costruttori che si accingevano a lavorare attorno all’astronave per Giove. Lo scafo non era stato ancora progettato, ma l’équipe dei costruttori era già sul luogo. Dom aveva lavorato altre volte in gran fretta, ma mai fino a quel punto.
Lesse i dati del collaudo un centinaio di volte, e si rese conto che stava facendo così solo per allontanare dalla mente l’immagine di Doris che entrava nel laboratorio con i vestiti sgualciti e impolverati a causa del viaggio in macchina attraverso il deserto. Continuavano a tornargli in mente Cape Canaveral e le sere che avevano passato insieme camminando a braccetto, tutti e due un po’ sbronzi, sotto la luna della Florida. E soprattutto gli tornava in mente quella sera in cui lei aveva stretto le labbra e si era rifiutata di rispondere al suo bacio.
E c’erano altri ricordi, perché quel bacio sotto la luna della Florida non era stato il primo. Dom aveva baciato Doris tante volte, quando frequentavano insieme l’Accademia. Si erano anche fidanzati e avevano fatto dei progetti. Era stata un’epoca piena di baci e finita in lacrime. Lei aveva pianto apertamente, lui invece aveva pianto in segreto quando aveva deciso di venir meno ai suoi legami con lei e di imbarcarsi su un’astronave diretta verso Marte. Aveva colto immediatamente l’occasione che gli offrivano con quel viaggio, e aveva anteposto all’amore per Doris l’amore per lo spazio. Al suo secondo viaggio aveva detto a Doris il più gentilmente possibile che il suo primo amore era lo spazio, e che lei avrebbe dovuto accettare di essere il secondo. Poco tempo dopo, Doris aveva sposato Larry Gomulka.
Doris non era tipo da accontentarsi di essere il numero due in nessuna situazione, ed era felice con Larry, o almeno così pareva.
Dom riusciva a capire che lei non avesse voluto fare la moglie dello spaziale, una moglie part-time, ma non riusciva a capire come potesse essere felice con Larry. Larry era di due palmi più basso di Doris e tendeva al grasso. Era un ometto informe, con una gran pancia e un debole per le birre di cattiva marca. Era anche un tipo facile al riso. In generale, era tutto quello che Gordon non era. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che sarebbe diventato il marito di Doris, e invece, quando Dom era tornato dal suo secondo viaggio, Larry era già sposato con lei.
Be’, si era detto Dom, un vero spaziale doveva amoreggiare solo con la nave, tranne quando era in licenza sulla Terra. Aveva pensato di poter sopportare quel colpo fino a quando, una sera in Florida, aveva tentato di baciare Doris e lei gli aveva resistito.
Questo era successo nei primi tempi del progetto sottomarino. Il MINES aveva bisogno di un batiscafo che esplorasse le profondità dell’oceano, e Dom era l’uomo adatto per quel progetto. Aveva radunato la sua squadra, e Doris era stata la prima ad arrivare. Si erano trovati con molto tempo libero. Larry era via, come al solito, in qualche posto inaccessibile dell’Asia o dell’Africa. Art Donald stava terminando un lavoro a Seattle.
Doris l’aveva respinto, aveva rifiutato di rispondere al suo bacio. C’erano ancora persone che ritenevano il matrimonio un’istituzione rispettabile. C’erano persone, come Doris, che pensavano che l’impegno di fedeltà andasse rispettato. In un mondo in cui la stragrande maggioranza delle donne si prendeva quello che voleva quando voleva, Doris restava attaccata a quella che scherzosamente definiva l’etica della classe media.
Dom non era uno cui andasse di insistere, se una ragazza diceva di no. Magari il suo interesse si sarebbe risvegliato in seguito, e se ciò non fosse successo, ci sarebbe stata un’altra ragazza a sostituirla. Non era egoismo o sciovinismo da parte sua, era semplicemente che le cose stavano così. Quando Doris gli aveva detto di no, lui avrebbe dovuto fare marcia indietro, ma si era accorto di essere ancora innamorato di lei, e aveva cercato con delicatezza di forzarla, di stringerla di nuovo a sé. Ma lei era forte, e gli aveva resistito in silenzio.
— Ehi, sono Dom — le aveva detto lui. — Mi conosci, no?
— È acqua passata, Dom — aveva risposto lei.
— Cosa c’entra?
— C’entra eccome.
— Tu mi amavi — aveva insistito lui. — Ci siamo baciati tante volte, in passato.
— Ma adesso sono sposata, Larry — aveva detto lei. Sì, Dom capiva il suo punto di vista, ma aveva il suo orgoglio da difendere. Era rimasto lì a riflettere su cosa dire, anche se sapeva benissimo cos’avrebbe dovuto dire.
Avrebbe dovuto dire: — Ti capisco, Doris. È così che ti ho conosciuto quando eri la mia ragazza, all’Accademia. Ed è perché sei così che ti ammiro.
Invece si era lasciato trascinare dalla passione, aveva implorato Doris come un mendicante senza orgoglio, e aveva visto il rispetto scomparire nello sguardo di lei. Tutto questo lo aveva amareggiato, e indotto a peggiorare la situazione dicendo cose cattive.
— Dom, tu non mi costringerai a ritirarmi da questo progetto — gli aveva detto Doris. — È un progetto che m’interessa, e che interessa anche Larry.
— Scusa — aveva detto lui. — Mi sono comportato male. Facciamo conto che sia colpa di un bicchiere di troppo, e dimentichiamo la faccenda.
— Mi sta bene.
— Non succederà più.
— Grazie, Dom.
— Non sarebbe successo nemmeno stavolta — aveva voluto aggiungere Dom per ferirla — se tu non fossi venuta a passeggio con me.
— Non succederà più — aveva detto lei.
Ci sarebbero voluti un computer e un buon operatore per calcolare i chilometri che Dom aveva percorso dall’epoca di quel progetto in Florida. Agli spaziali le ragazze non mancavano mai, ma era bastato che Doris entrasse in quel laboratorio perché Dom si sentisse balzare di nuovo il cuore in petto. E dire che non era nemmeno bella. Aveva i seni troppo piccoli e i fianchi troppo larghi, e per di più era un’intellettualoide; perché diavolo non riusciva a togliersela dalla testa?
«Ragazzo mio» si disse Dom «è solo questione di autocontrollo.»
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