— Avremo tutta l’energia che vorremo — disse Dom.
— Metteremo le giunzioni lungo lo scafo, anziché attorno ad esso nel senso della larghezza — disse Larry.
Dom dimenticò la prima colazione. L’idea di mettere le giunzioni per il lungo era terribilmente sciocca, ma Larry stava prendendo carta e penna. Dom tirò da parte il vassoio e si chinò sopra le spalle di Larry.
— Le giunzioni scivoleranno l’una sull’altra quando saranno compresse — disse Larry. — Più grande è la pressione che si applica allo scafo, più forte è la connessione.
— Qual è il limite?
— Non chiederlo a me, sei tu l’esperto della pressurizzazione — disse Larry.
— Larry, fila via di qui — disse Dom. — Fammi avere tutte le informazioni possibili sull’incollaggio porridge. Preparami una sintesi, poi parlane con Art e vedi se la tecnica può essere applicata ai metalli degli scafi.
— Avevo una mezza idea di portare Doris a Los Angeles — disse Larry.
— Non ci pensare nemmeno.
— Negriero.
— Fuori.
— Che razza di gratitudine. Risolvi un problema a uno, e quello ti caccia via — brontolò Larry.
Dom non stava più ascoltando. Si mise subito a disegnare e non sentì nemmeno la porta che si chiudeva alle spalle di Larry. Due ore dopo fornì dati al computer, perché nel frattempo Larry gli aveva portato le informazioni essenziali sull’incollaggio porridge. Lavorò al suo tavolo, comunicando con Doris e Art attraverso un circuito video interno. I computer di Doris ronzando e schioccolando elaboravano ipotesi. Art fumò una sigaretta dietro l’altra e cominciò a tossire.
Venne fuori un disegno di nave con la classica forma cilindrica, ma sarebbe stata una nave diversa da tutte quelle costruite fino ad allora. Lo scafo sarebbe stato composto di sezioni longitudinali mono-saldate, unite tramite l’incollaggio porridge. Più pressione fosse stata applicata allo scafo, più le sezioni unite dall’incollaggio porridge si sarebbero compresse, diventando così sempre più forti. A tremila atmosfere di pressione, lo scafo si sarebbe come avvolto su se stesso, comprimendo la nave in una massa compatta tenuta da massicce travi poste attraverso la maledetta stiva di J.J. Sarebbe costata un numero enorme di miliardi. Sarebbe stata immensa, ma se l’incollaggio porridge avesse funzionato sarebbe riuscita ad assolvere i suoi compiti.
Dopo quarantott’ore quasi senza sonno, Dom gettò sul tavolo di J.J. l’elenco delle indicazioni preliminari. Si aspettava un’esplosione di lamentele per il costo e la grandezza, ma non fu così.
— Incollaggio porridge? — disse J.J.
— Ci basiamo su dati insufficienti — disse Dom. — La tecnica richiede molte prove sperimentali.
— Falle.
— Prima ho bisogno di dormire un po’.
— Prendi un eccitante.
— L’ho già preso — disse Dom.
— Prendine un altro.
— Non ho voglia di diventare uno spiritato imbottito di anfetamine — disse Dom.
— Ti pagheremo il soggiorno in un centro di disintossicazione.
— Io voglio farmi una dormita.
— Bene, metti la tua équipe al lavoro.
— L’équipe è già a letto — disse Dom. — Voglio far fare alcuni test preliminari al Caltech, dove stanno lavorando all’incollaggio porridge.
— No, non va — disse J.J. — In un campus universitario è impossibile avere la garanzia della sicurezza.
— Possiamo trovare una scusa. Non è mica necessario che sappiano che i risultati della ricerca servono alla costruzione di un’astronave.
— D’accordo, ma fa’ le cose alla luce del sole. Se cercassi di tenere segreta la faccenda, ben presto avresti alle calcagna tutti i pazzi del paese. Fai le cose alla luce del sole, e nessuno si accorgerà di niente.
— La lettera rubata — disse Dom.
— Sbriga la tua corrispondenza al momento opportuno — disse J.J. che aveva afferrato la battuta.
Ufficialmente era la John F. Kennedy, perché era una buona trovata pubblicitaria chiamare la più grande astronave mai costruita col nome del Presidente che per primo aveva speso i soldi per piazzare il primo americano su un candelotto di dinamite e lanciarlo nello spazio. La decisione di chiamarla così era stata presa ai vertici del MINES.
Quelli che ci lavoravano attorno, però, la chiamavano Follia di J.J. o semplicemente Follia.
Fin dall’inizio la Follia fu un vero e proprio pachiderma. Era un buco gigantesco contornato da uno scafo. Era uno dei più grandi esempi dell’assurdità delle convenienze politiche. Chi ci lavorava attorno diceva che si stavano sciupando buoni tecnici, buoni soldi e buon materiale per una nave che non sarebbe mai stata in grado di uscire dall’orbita della Luna.
Dom fece un ultimo tentativo per cambiare il progetto. Costruì il modellino di uno scafo pressurizzato per resistere a seimila atmosfere, uno scafo semplice e affusolato fatto per trasportare un equipaggio di quattro persone, motori nucleari, e un cavo d’aggancio. Una nave così avrebbe potuto addentrarsi nell’atmosfera di Giove, agganciare la nave aliena e trainarla. E avrebbe avuto ancora un sacco di energia di riserva. Pur essendo studiata per resistere al doppio della pressione prevista, sarebbe venuta a costare un terzo della Follia.
J.J. disse che era un ottimo progetto, ma che non era un’astrocisterna. La Follia invece lo era. Naturalmente lui non la chiamò Follia, ma John F. Kennedy, nome che pronunciava sempre con un senso di profonda reverenza. Ma sapeva benissimo che gli uomini la chiamavano in quell’altro modo.
— So che pensi che è una follia — disse sottolineando significativamente quella parola, — ma non hai idea di quali difficoltà abbiamo avuto per convincereifinanziatori, Dom. Finché avremo più sostenitori dietro le quinte di quanto la gente non pensi, e molti burocrati eletti dal popolo favorevoli alla cosa, nessuno si arrischierà a dire apertamente che si tratta di una follia. Se lo facessero, i terroristi e i salvamondo metterebbero i loro pazzi al posto degli attuali burocrati, perché l’uomo della strada vuole burro, non ufo provenienti da Giove, Ilfatto stesso che la John F. Kennedy sia la nave più grande e più costosa che sia mai stata costruita è a nostro favore, perché la situazione è così brutta che solo le soluzioni drastiche appaiono affascinanti. Il Congresso ha votato il finanziamento perché l’astrocisterna può portare un’enorme quantità d’acqua e di fertilizzanti. Non saremmo riusciti a costruirla senza finanziamenti straordinari. Anche ci fossero bastati i soldi tenuti in serbo per le occasioni speciali, non avremmo potuto costruirla in segreto, perché per costruirla occorre lo sforzo concentrato di tutta quanta l’industria. Il finanziamento è stato concesso perché la nave aiuterebbe a incrementare la produzione di cibo, e i politici pensano di potersela cavare perché giustificherebbero l’enorme spesa con l’utilità dei fini. Solo una dozzina di uomini al di fuori del MINESPOV conoscono il vero scopo per cui la costruiamo.
— E quanti uomini degni di fiducia? — chiese Dom.
— Come facciamo a saperlo? — disse J.J. facendo un gesto con la mano. — Ci sono cinquanta probabilità su cento che uno di loro faccia una soffiata ai terristi prima che la nave sia terminata. Se succederà questo, i terristi cercheranno prima o poi di distruggerla. Ecco perché, a parte il fatto che si costruisce meglio nello spazio, la stiamo costruendo vicino alla Luna. Siamo in grado di proteggere abbastanza bene le squadre dei tecnici, perché c’è un solo modo per arrivare lassù: usare una nave del MINES.
— C’è nessun segno che faccia pensare che i contestatori sospettino qualcosa?
— È difficile a dirsi — disse J.J. — Al Congresso non fanno più baccano del solito contro i finanziamenti per lo spazio, ma ci sono stati alcuni editoriali su giornali che in passato si erano mostrati più o meno neutrali. La settimana scorsa c’è stato un raduno di salvamondo a New York.
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