Zach Hughes - Segnali da Giove

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Segnali da Giove: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che nella bassa atmosfera di Giove è entrato qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un Ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile dal momento che nessuna astronave terrestre è ancora mai penetrata laggiù. Ma Zach Hughes — autore dell’indimenticabile Il campo degli Ufo e specialista di fantascienza spaziale non può certamente accontentarsi di una spiegazione così semplice…

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Si accorse ben presto che era tutta fatica sprecata, perché l’intero progetto si basava su premesse illogiche. Era un esempio eccellente della Prima Legge di Gordon: — Se cominci con la merda, finisci con la merda.

La Legge del Rimescolamento di Gordon era anch’essa applicabile al caso: — Più rimesti la merda, più puzza.

Dom odorava merda da parecchi giorni quando arrivò Larry Gomulka, un po’ giallo per via delle cure conto la malaria, ma sorridente. Il suo viso tondo sprizzava allegria, gli occhi erano sempre svegli, e il suo cervello si era messo già al lavoro su quel problema.

Larry Gomulka era un fenomeno. Era un fisico, ma non era il più bravo nel suo campo. Doris era la più brava nel suo campo, Art lo era nel proprio, e Dom era un’indiscussa autorità quando si parlava di scafi pressurizzati. Ma Larry non sapeva, o non voleva, condurre un esperimento con metodo e precisione. Larry odiava i lavori metodici e noiosi. Si annoiava molto facilmente. Durante le conversazione saltava da un argomento all’altro sbalordendo e confondendo i tipi lenti e pignoli.

Una volta un editore di libri di testo gli aveva offerto di firmare un contratto molto vantaggioso per scrivere una serie di libri intitolati: La guida azzurra alla fisica, La guida azzurra alla chimica, La guida azzurra all’astronomia, e così via. Lui aveva rifiutato perché sosteneva che dopo i primi due libri sarebbe stata sempre la stessa solfa. Era un tipo pigro, gli piaceva scherzare, si stancava facilmente di un argomento, beveva troppa birra, e ogni volta che c’erano problemi per un progetto, di qualunque campo si trattasse, la sua presenza era richiestissima.

Larry Gomulka era uno che sapeva un po’ di tutto. Era onnivoro nei suoi interessi. Lo incuriosiva tutto quello che c’era sotto il sole, dentro il sole e nei buchi neri dello spazio. Era un tipo versatile, che conosceva ogni possibile argomento. Se avesse scelto un campo dello scibile e vi si fosse applicato, molto probabilmente sarebbe diventato un vero genio. Avendo invece disperso i suoi interessi in varie direzioni, non era il migliore in nessun campo, ma era un maestro nella sintesi. Larry era il più bravo risolutore di problemi del mondo. Spesso, quando un progetto era arrivato a un’impasse, veniva richiesto il suo intervento. Lui arrivava, cominciava a parlare di sciocchezze con scienziati sbalorditi che si domandavano cosa ci facesse lì quel pagliaccio, li confondeva con le sue brutte barzellette e i suoi continui cambiamenti di argomento, discuteva con i fisici delle proprietà dell’antimateria e dell’impulso sessuale delle falene, poi, senza nemmeno stare a fare prove, risolveva il problema con un semplice commento, lasciando gli scienziati a strapparsi i capelli per la rabbia di non averlo capito prima. Larry sapeva mettere in relazione un argomento con l’altro e operava la sintesi.

Quando c’era in giro Larry, era impossibile dedicarsi al lavoro di routine. Quando Larry arrivò in laboratorio, Art e Doris smisero di lavorare e si recarono con lui nell’ufficio di Dom. Dom gli strinse la mano e guardando la sua faccia tonda e raggiante si chiese ancora una volta cosa Doris trovasse in lui.

Larry ordinò una birra di marca infima, e condusse la conversazione raccontando cose folli sull’India, dove il governo l’aveva pagato molto bene perché suggerisse un metodo anticoncezionale efficace e aiutasse a diffonderlo. Tra un racconto e l’altro fece qualche domanda sul progetto in corso, e più di una volta non aspettò la risposta, ma con un bel rutto passò ad altro argomento.

Dom notò che Doris aveva uno sguardo di adorazione quasi materno quando Larry parlava. Dom bevve moltissimo e rise, finché gli fecero male i muscoli dello stomaco, ai racconti penosi di Larry. Quando finalmente si ritirò nel suo appartamento si lasciò cadere sul letto con un gemito di autocompatimento, disgustato dalla propria intemperanza.

Fu svegliato l’indomani da Larry, che lo chiamava con allegri fischi dall’ufficio. Ripeté il gemito della sera prima, chiese che gli portassero la colazione in ufficio, si rasò e si vestì. Non fece in fretta, sapendo che Larry era seduto alla sua scrivania e stava esaminando il progetto. Entrò in ufficio giusto in tempo per prendere il vassoio della colazione dalle mani del cameriere. Larry teneva i piedi sulla scrivania, e c’erano carte sparse dappertutto.

— Un progetto assurdo — disse.

— Folle — disse Dom.

— Sembra proprio impossibile.

— Lo è.

— Per l’impossibile ci si mette un po’ più di tempo — disse Larry.

Una delle sue abitudini più irritanti era il ricorrere a vecchi e triti modi di dire. Se si lavorava con Larry, quella era una delle molte cose che bisognava disporsi a sopportare.

— Cosa deve portare, il carbone a Newcastle? — disse Larry.

— L’acqua su Marte — disse Dom.

— Si possono trasportare acqua e fosfati nello stesso scafo?

— Se si usa un sacco d’acqua qui sulla Terra per pulirlo bene — disse Dom. — Oppure si potrebbero usare i carichi successivi di acqua per l’agricoltura su Marte, o si potrebbero far passare per un depuratore.

— Questo scafo è fatto per trasportare un bel campione di atmosfera di Giove, eh? — chiese Larry.

— Migliaia di tonnellate — disseDom.

— È chiaro che J.J. non ti ha detto tutto.

— Non lo so. Dice che i finanziatori hanno dato i soldi per la costruzione di un’astrocisterna, e che se verrà costruita, dovrà poter fungere appunto da astro-cisterna.

— E allora immagino che dovremo costruirgli un’astrocisterna — disse Larry.

— A quanto pare.

— Maledetti sottomarini — disse Larry.

Consumando la prima colazione,Domcominciò a sentirsi meglio. — Il progetto preliminare non è né economico né realizzabile — disse.

— Il progetto preliminare è una cazzata — disse Larry. — Se ci mettessi l’intera industria a lavorarci sopra impiegherebbero anni solo per costruire la carenatura esterna.

— E di industrie aerospaziali ne sono rimaste poche.

— Le industrie sono troppo occupate a fabbricare spirali intrauterine e tostapane — disse Larry. — È troppo grande. Ci vorrebbe un mucchio di tempo solo per farla stare in piedi sotto il suo peso nella gravità della Luna, figuriamoci in quella di Giove. La missione è incompatibile con un simile progetto. Quello che occorre è uno scafo piccolo e affusolato, costruito solidamente intorno agli spazi riservati d’un equipaggio ridotto al minimo e al motore. Invece si sta parlando di costruire uno scafo pressurizzato intorno a un grande volume di spazio.

— Che dovrà essere pressurizzato.

— In che rapporto? — chiese Larry.

— Ventimila quattrocento chili per pollice quadrato.

— Cristo! — disse Larry. Poi, dopo un attimo, aggiunse: — Ehi, un modo c’è. Sai, ti sei lasciato fuorviare dalla foresta nel suo insieme, senza pensare che è composta da alberi. Stai guardando alla nave come a un’unità.

— Perché, non lo è, forse? — disse Dom.

— Perché dovrebbe esserlo?

— Ma… è una nave. È autosufficiente, quindi è un’unità.

— Perché?

— Perché la pressione esercitata sulla porzione più grande di scafo viene distribuita tra tutte le altre parti dello scafo stesso — disse Dom.

— Allora noi facciamo in modo che quella forza lavori per noi, anziché contro di noi.

— In che modo?

— Hai mai sentito parlare di incollaggio porridge?

— No — disse Dom.

— Ci stanno lavorando al Caltech. Incollaggio porridge. Aumenti la distanza tra le molecole e inietti atomi collanti. Tutta la roba si comprime rapidamente.

— Sono tutt’orecchi.

— La tecnica utilizza il surriscaldamento. Ci vuole un mucchio di energia.

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