Il vecchio Governatore, tuttavia, non aveva finito. Si rivolgeva ora, direttamente, a Varn Allan.
«Al disopra delle circostanze principali, rimane la condotta dei funzionari che ne avevano la responsabilità. Siamo quindi costretti a esprimere una censura ufficiale per ciò che appare una imperdonabile incomprensione di un problema psicologico da parte dell’amministratrice in carica, e...» a questo punto si rivolse direttamente a Norden Lund «e, da parte del viceamministratore, per gli evidenti e imperdonabili tentativi di menomare l’autorità di un superiore in carica, per scopi puramente egoistici.»
La voce fredda del vecchio Governatore terminò brevemente, in tono aspro: «Abbiamo perciò proposto, al Centro dei Governatori, per l’amministratrice Allan: retrocessione, di un grado. Per il viceamministratore Lund: retrocessione, di un grado. L’udienza è tolta.»
Kenniston guardò, attraverso la vasta sala, Varn Allan. Il viso di lei non era mutato. In silenzio si volse per andarsene.
Gorr Holl gli dava ora grandi manate sulla schiena, e Magro stava dicendo qualcosa, eccitato, ma Kenniston si liberò di loro e seguì Varn Allan. Lei lo vide avvicinarsi e lo attese. Ma Norden Lund sorse come un fantasma fra di loro.
Lund aveva il viso pallido di rabbia repressa, e la sua voce era roca, mentre si rivolgeva a Kenniston: «Così, voi primitivi avete rovinato la mia carriera!»
Varn Allan lo interruppe, con disprezzo: «Ve la siete rovinata voi stesso, Norden, coi vostri ambiziosi complotti.»
Lund si volse e si allontanò, livido in volto per l’ira. Varn Allan, guardandolo andar via, sospirò e disse: «Vi siete fatto un mortale nemico, Kenniston.»
«Mi siete nemica anche voi, per quello che vi ho fatto?»
Lei scosse il capo.
«No!» disse. «Non è stata colpa vostra. Di fronte a una situazione nuova e confusa, ho sbagliato. Ecco tutto.»
«Al diavolo ciò che pensate! Sono stati ingiusti con voi, invece! Voi avete fatto del vostro meglio, e...»
«E non è stato abbastanza» terminò per lui Varn Allan. Poi gli sorrise: «Non è una tragedia, del resto. Il compito di un amministratore non è cosa facile. Non ne sono del tutto addolorata.»
Kenniston non aveva mai ammirato come in quel momento il coraggio di quella donna. Avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto dirle molte cose, ma lei si allontanò un poco da lui, e disse: «Questo è un gran giorno per voi, Kenniston. Perché proprio oggi hanno permesso, a quelli del vostro popolo che lo desiderano, di ritornare alla loro vecchia città.»
«Sì, me ne hanno informato. So che è oggi.»
«E tornerete là anche voi, con la vostra Carol. Ne sarà molto lieta, quella ragazza.»
Kenniston disse: «Varn...»
Ma lei non lo guardava più in viso. Disse, calma: «Questo non è il nostro addio. Ritornerete qui, prima che lasciamo la Terra.»
Kenniston rimase muto, oppresso da emozioni che non poteva definire. Infine disse: «Sì! Sì! Ritornerò qui, prima che ve ne andiate.»
Ella lo lasciò, e Kenniston rimase a guardarla, finché abbandonò la sala. Poi, lentamente, anche lui uscì nella strada.
Un tremendo clamore lo colpì al viso. La piazza era affollata, ma un grande passaggio era aperto tra la folla, lungo il viale che conduceva alla porta della città. E la banda di Middletown, impettita e rigida nella sua uniforme scarlatta, fra un rullo alto di tamburi e un clamore di trombe, marciava, in testa a un lungo corteo, verso la porta.
Dietro la banda veniva una grossa macchina verde, scoperta, col sindaco che ritto sul sedile posteriore, il faccione di nuovo aperto al sorriso, sventolava il cappello, gioiosamente, alla folla acclamante. E dietro quella macchina ne venivano molte altre, le vecchie macchine di un tempo, piene di uomini eccitati e di donne che piangevano, le prime macchine della lunga carovana che si stava formando, per ritornare alla vecchia Middletown.
Kenniston vide la popolazione inneggiante che circondava Jon Arnol, e Hubble, e Gorr Holl, e Magro, poco lontano. Sapeva che sarebbe stato trascinato in quel gruppo, e allora, rientrato nella sala e uscito da un’altra porta, si avviò, per strade temporaneamente deserte, all’alloggio di Carol e di sua zia.
Carol lo accolse con un festoso saluto, quand’egli entrò.
«Oh, Ken, allora sei libero? Avevano detto che sarebbe stato oggi, e ti aspettavo...»
«Sì, è tutto finito» disse Kenniston.
«Allora possiamo partire, come gli altri?» domandò la signora Adams. «Possiamo ritornare a Middletown?»
«Non appena avrete preparato le vostre cose e io avrò condotto qui la jeep.»
«Ma ho preparato tutto da giorni» ribatté la vecchia signora. «Non vorrei rimanere in questo posto un minuto più del necessario. Ma immaginate! Mi hanno detto che molti, di quelli più giovani, vogliono rimanere qui. Di loro volontà, pensate: dicono che a loro questa città piace più di Middletown, ora!»
Kenniston provava un curioso senso d’irrealtà mentre caricava tutto nella jeep e si accodava alla grossa colonna di automezzi che si snodava verso l’uscita della città.
Era proprio vero che finiva tutto così? Era proprio vero che ritornava alla vecchia città, alla vecchia vita, dopo quello che aveva fatto e veduto?
Avanti, lungo il grande viale, tra gli altissimi e bianchi edifici, e poi attraverso la grande porta, fuori, nella vasta pianura... Il sole, rossastro, brillava sempre, opaco; ma ora un vento più caldo di quanti la Terra avesse mai sentito da milioni di anni soffiava attraverso la pianura, facendo ondeggiare i primi e timidi fili della nuova erba, portando dovunque un caldo soffio di vita nuova.
Ora oltrepassavano il piccolo incrociatore spaziale di Jon Arnol, e poi le grosse masse titaniche delle grandi astronavi della Federazione, adagiate sulla pianura.
Kenniston guardò le gigantesche navi e pensò ai vasti spazi, cosparsi di mondi e di stelle, che avrebbero percorso, poi tornò a guardare davanti a sé.
E alla fine, le macchine oltrepassarono la cresta delle colline e discesero, gioiosamente, verso la vecchia Middletown.
Lungo tutte le vecchie strade familiari, le case cominciavano a riaprirsi alla vita. Le imposte venivano spalancate, le doppie finestre tolte, le porte spalancate al vento tiepido, le donne si affaccendavano già con le scope sotto i portici invasi dalla polvere. Le grida dei bambini e l’abbaiare dei cani si mescolavano al suono delle trombe delle macchine.
Avanti, lungo la Mill Street, lungo la Main Street, e avanti ancora. E infine, ecco la vecchia casa grigia, proprio come l’avevano lasciata.
Kenniston fermò la jeep accanto al marciapiede. La signora Adams scese. Salì lentamente i pochi gradini, e aprì con la chiave la porta. Rimase ferma un istante, guardando nell’interno.
«Niente è cambiato» mormorò. «Ma tutta questa polvere! Dovrò mettermi a fare pulizia...»
Poi, improvvisamente, sedette sulla sua poltrona, accanto alla finestra, e si mise a piangere.
Carol non entrò subito. Facendo forza su se stesso, con uno strano imbarazzo, Kenniston domandò: «Sei contenta anche tu, Carol?»
«Sì, Ken» rispose la ragazza, sorridendo.
«Bene...» disse Kenniston. «Ora debbo ritornare a Nuova Middletown per vedere Gorr e gli altri, prima che partano. Ma tornerò presto.»
Carol lo guardò, e scosse il capo: «No, Ken. Non devi tornare.»
Kenniston la guardò sorpreso.
«Carol, cosa vuoi dire?»
Ma il viso di Carol era fermo.
«Voglio dire che tu non appartieni più a questo posto, Ken. Sei cambiato, quando sei andato lassù, fra le stelle. E cambierai ancora di più, nei giorni che verranno. Ti volgerai sempre più a quella nuova e strana vita. Mentre io non posso cambiare, Ken. Non a quel punto. Passeresti una vita infelice, con me, attaccata come sono alle vecchie cose.»
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