Dalla folla si alzò allora un applauso che scosse gli alti edifici delle fondamenta.
«Tornare a Middletown? Avete sentito? Potremo tornare a Middletown!»
Kenniston ne fu enormemente commosso. Per loro, il ridare la vita a un pianeta significava soprattutto una cosa: la possibilità di ritornare alla piccola e modesta città, al di là delle colline, la città che per loro significava ancora una casa.
Alzò le mani, nuovamente, per chiedere silenzio.
«Debbo però avvertirvi» aggiunse. «Questo esperimento non è mai stato tentato, sinora, su un mondo come la Terra. È anche possibile che non abbia successo. Se così fosse, la Terra potrebbe anche essere distrutta da terremoti.»
La folla rimase in silenzio. Kenniston poteva vedere il timore sui loro visi, vedeva che si parlavano l’un l’altro, scuotevano la testa e si guardavano ansiosi attorno.
Infine, una voce gridò: «Che cosa ne pensate, voi e il dottor Hubble? Siete scienziati. Qual è il vostro parere?»
Kenniston esitò. Poi disse, lentamente:
«Se io fossi solo, sulla Terra, tenterei. Ma non vi posso dare un consiglio. Dovete prendere da soli la vostra decisione.»
Hubble intervenne, parlando nel microfono: «Non possiamo darvi un consiglio, perché noi stessi non sappiamo valutare la fondatezza scientifica di questo esperimento. Ci troviamo di fronte a una scienza che è al di là delle nostre possibilità di comprensione. Non possiamo che accettare ciò che i loro scienziati affermano, sulla loro parola.»
Hubble fece una pausa, poi proseguì: «I loro scienziati affermano che la loro teoria è assolutamente esatta. Noi vi abbiamo avvertiti della possibilità di un insuccesso. Il rischio è grande, ma siete voi che dovete decidere se volete affrontarlo, oppure no.»
Kenniston si rivolse al sindaco Garris, e gli disse: «Avvertiteli anche voi, che debbono riflettere intensamente, prima di decidere. Poi si farà una votazione... Quelli che saranno in favore del tentativo si raggrupperanno sul lato opposto.»
E volgendosi a Hubble, aggiunse: «Occorrerebbe dare loro dei mesi, per fare una scelta del genere, invece che pochi minuti!»
Allora, il sindaco Garris esortò i cittadini a esporre la loro decisione. La folla ondeggiò e si rimescolò nella piazza, mentre si formavano gruppi e si scambiavano opinioni. Frammenti di conversazioni accalorate giungevano sino agli orecchi di Kenniston: «Quei tecnici venuti dalle stelle si sono comportati molto bene. Hanno rimesso in attività tutta la città e i suoi impianti. Sanno di sicuro ciò che stanno facendo!»
«Ma... non so. E se quell’esperimento provocasse terribili terremoti?»
«Quella gente sa il fatto suo! E dev’essere così, se sono riusciti a vivere nelle stelle!»
«Già! Proprio così! Ma preferirei rimanere qui, anche in mezzo ai terremoti, piuttosto di andarmene a zonzo per la Via Lattea!»
Alla fine, il sindaco Garris gridò: «Siete pronti per il voto?»
Erano pronti. Erano sempre stati pronti a qualsiasi eventualità, pur di non lasciare la Terra.
Kenniston attese, scrutando la folla, col cuore che gli batteva forte. Al suo fianco, anche Jon Arnol osservava ansiosamente. Kenniston gli aveva spiegato come avrebbe avuto luogo il voto. Sapeva ciò che in quel momento Jon Arnol provava, mentre attendeva che tutto il lavoro della sua vita fosse deciso da quel voto.
Per un poco, i moti della folla non furono che un caotico rimescolio. Poi, gradatamente, il movimento di separazione si accentuò.
Quelli in favore dell’esperimento, alla destra della piazza...
Quelli contro l’esperimento, alla sinistra...
Lo spazio tra le due fazioni si allargò sempre più nettamente. Kenniston vide alla fine che, a sinistra della piazza, non rimanevano che un paio di centinaia di persone circa.
Il voto si era concluso. L’esperimento era stato approvato.
Kenniston si sentì tremare le ginocchia. Guardò Arnol. Il suo viso era contratto dal sollievo e dalla gioia. Egli stesso provava un’eccitazione selvaggia... eppure, anche ora, persino ora, non riusciva a soffocare i timori.
Ora tutto dipendeva da lui, da Arnol e dai suoi uomini. La vita o la morte dipendevano da loro.
Afferrato il microfono, gridò ancora: «Dobbiamo procedere all’esperimento il più presto possibile. Abbiamo pochissimo tempo davanti a noi, prima che le navi spaziali della Federazione vengano a impedirci di agire. Prego tutti voi di prepararvi a lasciare la città immediatamente, con un preavviso di pochi minuti. Per precauzione, nessuno deve rimanere sotto la cupola della città quando la bomba verrà fatta esplodere. Quelli di voi che hanno votato contro, potranno lasciare la Terra prima che l’esperimento abbia luogo. L’incrociatore spaziale col quale siamo venuti ne potrà trasportare lontano solo una parte, perciò tirerete a sorte, fra voi, coloro che dovranno salirvi.»
Si volse di scatto verso il sindaco.
«Volete incaricarvi voi del resto?» disse. «Organizzate voi l’evacuazione della città e la partenza... Noi avremo bisogno di ogni minuto che ancora ci resta!»
«Credo» osservò Hubble «che faremo bene a mostrare subito ad Arnol il pozzo che immette nelle profondità della Terra.»
Il personale tecnico di Arnol era frattanto giunto sul posto. I tecnici studiarono il grande pozzo, insieme ad Arnol, Gorr Holl e Magro, mentre Kenniston e Hubble attendevano il loro giudizio.
«Va benissimo!» disse infine Arnol. «Giunge proprio fino alle profondità desiderate. Ma i pozzi analoghi, delle altre città a cupola esistenti sulla Terra, dovranno essere fatti saltare ed essere sigillati prima dello scoppio.»
Kenniston ne fu colpito. Non aveva pensato a una cosa simile.
«Ma ci vorrà tempo...»
«No, non molto tempo. Alcuni miei uomini possono raggiungerli in breve tempo, con l’incrociatore spaziale, e far tutto molto in fretta. Ho portato con me, naturalmente, delle carte della Terra... e le città a cupola non sono più di una mezza dozzina.»
«Quanto tempo servirà per i preparativi, qui?» domandò Kenniston.
«Se facciamo un miracolo» rispose Arnol «potremmo essere pronti domani, a mezzogiorno.»
«Benissimo!» disse Kenniston. «Farò del mio meglio per aiutarvi, e tutti, qui, faranno come me. Ho bisogno solo di dieci minuti, ora.»
Dieci minuti non erano molti. Non erano molti per passarli con la propria ragazza, dopo avere attraversato metà dell’universo. Ma tempo non ce n’era. E anche quel poco tempo che egli si prendeva per andare da Carol era un tempo prezioso, sottratto al bisogno comune.
Eppure, di fronte a quella terribile decisione che era stata presa, di fronte a quella cosa sovrumana che stavano facendo alla Terra, doveva assolutamente vederla, per acquietare i suoi timori e rassicurarla nel modo migliore. Pensava che, forse, Carol avrebbe voluto all’ultimo momento rifugiarsi sull’incrociatore spaziale e pregava il cielo di poterglielo nel caso concedere.
Carol lo attendeva, come se avesse saputo della sua visita. Ma, con grande sorpresa di Kenniston, non era affatto spaventata. Era, al contrario, piena di ansia e di speranza, con gli occhi che le brillavano come egli non aveva mai visto fin dai giorni lontani in cui erano stati così felici.
«Ken, potrà veramente riuscire?» gridò. «Riuscirà davvero? Renderà davvero la Terra più calda?»
«Ne siamo così sicuri, che giochiamo il tutto per tutto» disse Kenniston. «Naturalmente, c’è sempre la possibilità di un insuccesso...»
Ma Carol non voleva nemmeno udire una cosa simile. Gli stringeva le braccia, e aveva il viso tutto eccitato, mentre esclamava: «Ma questo non importa, non importa affatto! Vale la pena di correre qualsiasi rischio, pur di avere una possibilità di riuscita... pur di poter tornare nella vecchia Middletown!»
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