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Edmond Hamilton: Agonia della Terra

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Edmond Hamilton Agonia della Terra

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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«Prendete i vostri apparecchi, subito» disse Kenniston. «Andiamo! Vi è ancora altro da fare!»

Uscì con Hubble, Arnol e tutti gli altri. La città era come l’aveva vista la prima volta: vuota, silenziosa, senza vita. La popolazione se ne era andata. Mentre usciva dalla porta della cupola, poté vedere la massa scura degli abitanti di Middletown che si moveva, già lontana, nella pianura. L’avanguar­dia attaccava già la salita delle colline lontane.

Ansiosamente Kenniston esaminò il cielo, come se temes­se di vedersi piombare addosso, da un momento all’altro, la squadra di navi spaziali della Federazione.

Arnol mandò avanti i tecnici, verso le colline, con gli stru­menti e gli apparecchi di comando a distanza. Gorr Holl, Ma­gro e Hubble seguirono i tecnici. Poi Kenniston e Arnol si av­viarono di corsa verso l’incrociatore spaziale.

Attorno a esso vi era un piccolo gruppo di persone: gli abi­tanti che dovevano lasciare la Terra.

Kenniston li guardò stupefatto. Da circa duecento che era­no, si erano ora ridotti ad appena una ventina.

Arnol disse loro, brevemente: «Potete salire, ora.»

Alcuni di essi rimasero irresoluti, guardando i loro com­pagni e Kenniston, come se volessero dire qualcosa, ma non dissero nulla. Infine salirono e scomparvero nell’incrociato­re spaziale.

Kenniston li contò. Due uomini, due donne e un bambino.

«Ebbene» urlò agli altri «che aspettate? Salite!»

«Credo» disse uno del gruppetto rimasto «che... pre­ferirei rimanere con gli altri.»

Detto questo, si mise a correre per raggiungere la folla or­mai lontana.

A uno a uno, anche gli altri lo seguirono, finché non furo­no che piccoli punti neri che si allontanavano di corsa, nella pianura desolata.

Arnol sorrise.

«Fra la vostra gente, Kenniston» commentò «anche i vigliacchi sono coraggiosi. Dev’essere una cosa anche più du­ra, in certo modo, per coloro che hanno deciso di andarsene.»

Entrarono nell’incrociatore e liberarono Mathis, Norden Lund e Varn Allan dalle cabine nelle quali erano rinchiusi. Varn Allan non parlò, ma il Coordinatore disse, gelido: «Co­sì, volete realmente farlo?»

«Sì» rispose Arnol. «Il mio capo pilota si allontanerà con l’incrociatore spaziale. Sarete salvi, comunque vada.»

«Spero» disse Norden Lund, amaramente «che finia­te in frantumi! Ma anche se non fosse così, anche se riusciste, non vincerete egualmente. Avrete ancora di fronte la legge della Federazione. Ci penseremo noi!»

«Non ne dubito» ribatté Arnol. «Ma ora dobbiamo andarcene.»

Arnol gli volse le spalle, ma Kenniston si fermò ancora, guardando Varn Allan. Il viso di lei era un poco pallido, ma non vi era in esso alcuna traccia d’ira, come in quello di Lund.

Ella lo guardava con occhio attento, indagatore.

Kenniston avrebbe voluto parlare, liberarsi da un peso che si sentiva dentro, ma non riusciva a trovare le parole. Infine, poté soltanto dire: «Mi spiace infinitamente, Varm, che le cose siano andate così. Addio...»

«Aspettate, Kenniston.»

Egli si fermò di nuovo, ed ella gli si avvicinò, pallida e cal­ma, con gli occhi azzurri che lo fissavano in viso.

«Rimarrò qui» disse «mentre farete quella cosa.»

Kenniston la guardò, muto per la sorpresa. Udì Mathis esclamare: «Allan, siete pazza? Che vi salta in mente, ora?»

Ma Varn Allan disse, lentamente, a Mathis: «Sono l’amministratrice di questo settore. Se i miei errori hanno causa­to questa crisi, non ne eviterò le conseguenze. Rimarrò qui!»

Lund si rivolse a Mathis, infuriato.

«Non pensa affatto alla sua responsabilità! Pensa solo a questo selvaggio primitivo, a questo Kenniston!»

Varn Allan si volse verso di lui, come per dargli una furiosa risposta. Ma non parlò. Guardò invece Kenniston, col viso pallido, teso, stanco.

Freddamente, Mathis le stava dicendo: «Non vi ordinerò di venire con noi. Ma siate sicura che questa vostra condotta verrà tenuta nel debito conto.»

Varn Allan chinò il capo, senza una parola, in cenno di as­senso; si volse, e abbandonò l’incrociatore spaziale. Kenni­ston, che la seguiva, sentiva dentro di sé una meravigliosa, incredibile emozione.

Uscirono così nella luce rossastra del sole. Con un lieve ronzio, l’incrociatore spaziale si innalzò, dileguandosi nel cielo.

Gli ultimi abitanti di Middletown stavano scomparendo sulle colline quando Kenniston, Varn Allan e Arnol s’incam­minarono in quella direzione.

«Presto!» li sollecitò Arnol. «Anche ora può essere troppo tardi...»

Quando raggiunsero le colline, Gorr Holl, Magro e Hubble li attendevano coi tecnici e i loro apparecchi. Quando li vide giungere, Gorr Holl emise una esclamazione.

«Me l’ero immaginato, che sareste rimasta, Varn!»

Vam Allan rialzò il capo e disse, un poco adirata: «Ma perché mai...?» Ma improvvisamente si interruppe, e rima­se silenziosa per un attimo. Poi domandò: «Quanto manca?»

«Siamo tutti pronti, ora» rispose Gorr Holl.

Kenniston si avvide che i comandi a distanza e tutti gli al­tri strani apparecchi erano già stati montati ed erano a pun­to. Diede allora un’occhiata ad Arnol.

Il viso dello scienziato era bagnato di sudore. Era pallidis­simo e gli tremavano le mani. In quel momento stava tirando le somme di tutta la sua vita, era vicino alla conclusione di tutte le pene e gli sforzi che aveva dovuto sopportare.

Disse, con una voce stranamente inespressiva: «Sarà be­ne che tu li avverta, Kenniston. Ora!»

Sotto di loro, sul versante della collina sulla quale Kenni­ston e i suoi compagni si trovavano, attendevano ormai le migliaia di abitanti di Middletown.

Kenniston scese verso di loro. Parlò loro gridando, e la sua voce parve lieve e irreale, nel vento gelido, attraverso le rocce nude, la polvere soffocante, la terra arida.

«Riparatevi dietro la collina! Passate parola! Riparatevi dietro la collina! Fra poco, avverrà l’esplosione!»

Tutti guardarono verso di lui. Una massa di visi mortal­mente pallidi nella fosca luce del sole... quel sole morente che li guardava tutti, come un grande occhio indifferente.

Un grande silenzio calò sulla folla. Dapprima isolatamen­te, poi a centinaia s’inginocchiarono a pregare. Altri, a centi­naia, rimasero ritti, immobili, muti, con gli occhi fissi sulla cresta della collina, dove si trovavano i tecnici.

Qua e là, qualche bambino piangeva.

Lentamente, Kenniston risalì nel punto dove stavano Ar­nol e gli altri. Lontano, al di là della folla, vedeva la cupola della città, ancora scintillante di luci come l’avevano lasciata, vuota e solitaria, nella vasta desolazione della pianura.

Pensò a quella cosa nera, quella cosa nera e terribile, che attendeva, sola nella città, il momento di compiere il suo sal­to d’incubo nel cuore della Terra, e un violento tremito lo scosse.

In quell’ultimo minuto, prima che le dita tremanti di Arnol premessero i contatti degli apparecchi che aveva davanti a sé, Varn Allan guardò, oltre Kenniston, verso quella folla si­lenziosa di migliaia e migliaia di persone in trepida attesa, ultimi sopravvissuti di tutte le razze della vecchia Terra.

«Capisco ora» bisbigliò «che, malgrado tutto ciò che noi abbiamo guadagnato in questi milioni di anni, abbiamo tuttavia perso qualcosa... qualcosa di coraggioso, di cieca­mente fiducioso, di supremamente bello... Sono lieta di esse­re rimasta!»

Arnol emise un profondo e penoso sospiro.

«È fatta!» disse.

Per un lungo, eterno minuto, la Terra morta rimase immo­bile. Poi, Kenniston sentì la cresta della collina sobbalzare violentemente ai suoi piedi... Una volta, due, tre, quattro vol­te. Le secche esplosioni delle bombe di copertura che sigilla­vano per sempre il grande pozzo.

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