«Mi avevi detto che avevi un piccolo incrociatore spaziale di tua proprietà, con relativo equipaggio, non è vero?» gli domandò.
«Sì» confermò Arnol. «Lo tengo, di solito, nelle mie officine al di là delle montagne.» Poi aggiunse, amaramente: «Avevo avvertito i miei uomini, l’altra sera, di preparare l’incrociatore spaziale per un viaggio alla Terra. Ero così sicuro che il nostro momento era venuto, che...»
Kenniston gli domandò allora, a voce bassa: «Dimmi una cosa, Arnol. Credi veramente nel tuo procedimento?»
Arnol balzò in piedi. Aveva gli occhi sbarrati e sembrava quasi che volesse colpire Kenniston.
Ma Kenniston, imperterrito, aggiunse: «Ci credi abbastanza, voglio dire, ci credi tanto da sfidare un ordine del Comitato dei Governatori?»
Arnol si irrigidì. Dopo un momento, disse: «Spiegati, Kenniston!»
E Kenniston spiegò ciò che aveva in mente. Tutto tremante, parlò a lungo. E, gradualmente, gli occhi di Arnol risplendettero febbrili.
«È una cosa che si potrebbe sbrigare molto in fretta, là sulla Terra» mormorò. «Quelle antiche perforazioni, fatte per trarre il calore dal sottosuolo, eliminerebbero la necessità di eseguirne di apposite...»
Ma poi scosse il capo, con una specie di terrore dipinto sul viso.
«No! Significherebbe l’espulsione dal Collegio degli scienziati, l’esilio per tutto il resto della vita. Non posso farlo, Kenniston, non posso.»
«Hai lavorato e sperato per tanti anni» gli ricordò allora crudelmente Kenniston. «Un bel giorno rinuncerai anche a sperare, e il tuo procedimento sarà dimenticato e perduto.»
Arretrò di un passo, e aggiunse: «Non ti dirò altro... solo questo: che qui c’è un’occasione per te, se hai il coraggio di afferrarla. C’è la possibilità di tentare sulla Terra il tuo procedimento di ringiovanimento dei pianeti!»
Attese in silenzio, Gorr Holl e gli altri guardavano ansiosi, essi pure in silenzio. Gorr Holl aveva gli occhi scintillanti.
Arnol si mise le mani nei capelli, gemendo.
«Non posso, non posso! Eppure... non consentiranno mai lo so. Il lavoro di tutta una vita, perduto...»
Kenniston lo guardava soffrire in silenzio, tormentato fra il desiderio e la paura. Alla fine, Arnol si decise. Esitante, disse: «Dovrebbe essere il tuo popolo a decidere, Kenniston. Dovranno acconsentire ad accettare il rischio.»
«Li conosco, e so che acconsentiranno!» esclamò Kenniston. «E se acconsentono?»
Gocce di sudore imperlavano la fronte di Arnol.
«Se acconsentono, lo farò» disse infine, con voce ferma.
Una grande eccitazione invase Kenniston. Una possibilità... un’ultima possibilità, dopo tutto!
Guardò Gorr Holl, Magro, e Lal’lor, e domandò: «Siete con noi, in tutto questo?»
Gorr Holl scoppiò in una grossa risata.
«Se siamo con voi?» Si avvicinò a Kenniston, e disse: «Noi, umanoidi, abbiamo combattuto questa battaglia per lungo tempo. Credi che vogliamo ritirarci ora?»
Gli occhi felini di Magro scintillavano. Non parlò nemmeno, ma si limitò a fare un cenno di assenso col capo.
Jon Arnol disse allora, eccitato: «Il mio incrociatore spaziale è ora attraccato al porto Sud, qui vicino. Non ci vorrà molto per giungere alle mie officine, nelle montagne.»
«Verrò anch’io...» disse Lal’lor.
«No» lo interruppe Gorr Holl «tu, vecchio mio, rimarrai qui a fare da copertura. Dirai a chiunque che siamo andati a far visitare la città a Kenniston.»
«Benissimo, Gorr» sospirò Lal’lor. «Ma cercate di essere prudenti... tutti voi.»
Lasciarono così l’alloggio di Kenniston. Mezz’ora più tardi, l’incrociatore spaziale di Arnol fendeva la notte, diretto all’altra faccia di Vega Quattro.
Un’altra notte era sopraggiunta. Sotto vivide, ignote stelle, i picchi neri delle montagne sembravano guardare accigliati la scena di febbrile attività che si svolgeva sul piccolo altopiano.
Luci accecanti illuminavano il piccolo gruppo di bassi e lunghi fabbricati, il magazzino con le sue gru, e l’oscura massa metallica di un piccolo incrociatore spaziale dalle lamiere logorate dal lungo uso.
Verso una grande apertura sul fianco dell’incrociatore, Kenniston e i suoi tre compagni stavano spingendo con cura un grosso ordigno ovale, nero e massiccio, adagiato su di un grosso carrello.
«Non dovete aver paura... non vi è alcun pericolo di scoppio, perché manca l’elettrofusore» diceva Jon Arnol, in tono rassicurante.
«Se questa bomba atomica cambierà la faccia a un pianeta, debbo trattarla con molto rispetto!» bofonchiò Gorr Holl.
A Kenniston pareva di agire come in un sogno. Tutti quegli avvenimenti, che si susseguivano, gli sembravano frutto della fantasia di un cervello malato. Quella grossa massa nera che la sua mano toccava... come poteva cambiare il futuro di un mondo?
Cercò di allontanare quei dubbi. Gli scienziati di quell’assurdo mondo del futuro, maestri di una scienza che andava al di là della sua comprensione, avevano confermato la fondatezza della teoria di Arnol. Era questo che lo aveva spinto a formulare quel progetto, e a ciò doveva attenersi. Era troppo tardi, ormai, per avanzare altri dubbi.
Era stanco, stanco morto. Avevano lavorato senza tregua per tutta la giornata, lui, Gorr Holl e Magro, aiutando Arnol e i suoi tecnici a caricare masse di materiale e i misteriosi apparecchi necessari all’esperimento.
Il piccolo incrociatore spaziale era l’officina volante di Arnol. Lo aveva portato in molti voli spaziali scientifici attraverso tutta la Galassia. E i giovani tecnici delle officine, che avevano lavorato e sognato tanto a lungo a fianco di Arnol, non avevano fatto alcuna domanda. Kenniston non riusciva nemmeno a capire se sapessero cosa stavano facendo e quale fosse la loro missione.
Il capo pilota si avvicinò ad Arnol, mentre questi, aiutato dagli altri tre, stava caricando il suo pericoloso fardello.
«L’incrociatore è già stato messo a punto, ed è pronto a partire in qualsiasi momento.»
Arnol fece un cenno affermativo col capo. I tecnici stavano ora innescando la grossa bomba atomica, l’avevano assicurata nel suo alveolo, all’interno dell’incrociatore spaziale, in modo che fosse protetta da qualsiasi urto.
«Non appena pronti, partiremo» annunciò Arnol. Guardò Kenniston e gli altri, con un sorriso stanco e trionfante. «Fra circa venti minuti, credo.»
Fu in quel momento che Kenniston vide la striscia luminosa di una nave spaziale attraversare il cielo dirigendosi verso l’altopiano.
Anche gli altri la videro. Rimasero fermi in attesa, mentre i tecnici proseguivano rapidamente nel loro lavoro, e Kenniston diceva: «Deve essere Lal’lor con qualche messaggio.»
«Sì» concordò Arnol. «Nessun altro può sapere che ci troviamo qui.»
Eppure la loro ansietà aumentò, mentre la nave spaziale toccava l’altopiano. Kenniston pensava, disperatamente: “No, nessun altro poteva sapere! Non possiamo essere stati seguiti!”.
Senza nemmeno accorgersene, seguì gli altri, correndo attraverso il piccolo spiazzo, verso il punto di atterraggio.
Vide la persona che scendeva dalla nave spaziale. No, non era Lal’lor. Era un uomo che non aveva mai visto... un uomo imponente, dai capelli grigi e dal portamento austero.
Dietro quello sconosciuto veniva Varn Allan, e con lei, il viso sorridente e trionfante, c’era anche Norden Lund.
Kenniston si fermò, col cuore stretto da una fredda disperazione. Il grosso sconosciuto si fermò anch’egli, guardando con occhi stupiti e increduli i tecnici affaccendati intorno all’incrociatore spaziale.
«Non avrei mai creduto una cosa simile!» disse con voce attonita. «Lund, avevate ragione. Volevano farlo senza consenso.»
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