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Jack Williamson: Il figlio della notte

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Jack Williamson Il figlio della notte

Il figlio della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ritorno dalla Mongolia della spedizione del celebre professor Mondrick segnerà forse l’inizio di un’era nuova nella storia dell’umanità. Perchè in una certa cassa che gli esploratori portano dal deserto di Gobi sono contenute le prove di una guerra spietata e segreta, che si combatte da innumeri millenni. E il campo di battaglie è il subcosciente stesso della razza umana, dove il Maligno sembra sferrare i suoi colpi più mortali e insidiosi. Perchè il genere umano, ha scoperto Mondrick, è un ibrido: il sangue dell’Homo sapiens è, ormai, contaminato da quello dell’Homo lycanthropus, l’antichissima razza caina… Ma la scoperta di Mondrick esige le sue vittime e un orrendo pericolo minaccia di nuovo l’umanità. Le forze del male sono scatenate e gli angeli ribelli tentano ancora una volta di rialzare il capo. Metapsichica e psicocinesi sono le strane scienze a cui questo romanzo senza precedenti nella letteratura del “soprannaturale” sembra ispirarsi. E’ un romanzo che non si dimentica!

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La sua faccia plumbea s’era trasformata ora in una maschera di dolore.

«Non v’è parso a volte di scorgere una deliberata volontà malefica dietro le avversità? Non vi siete mai chiesti che cosa si nasconda sotto l’inguaribile discordia che divide il genere umano? Sotto le guerre, le lotte civili, l’oppres­sione? Leggendo le cronache dei giornali, non vi ha mai atterrito l’inesplica­bile, inutile mostruosità dell’uomo? Non vi siete mai soffermati a riflettere, talvolta, sulla tragica divisione entro voi stessi, scoprendo nel vostro subco­sciente abissi d’orrore?»

Seguì un altro violentissimo attacco di tosse. Come spezzato in due, Mondrick s’era fatto cianotico. Infine, si passò nuovamente il fazzoletto sulla fronte e riprese, con voce stridula, quasi squarciata.

«Non ho il tempo d’enumerare tutti i tenebrosi enigmi che caratterizzano la nostra vita, individuale e collettiva», ansimò, «ma una cosa ancora voglio dirvi!»

Scosso dalla sensazione di una mostruosa e velata tensione che s’andava acuendo, Barbee si guardò intorno con ansia. Un fotografo stava inserendo un nuovo rullino nella macchina. L’uomo della radio era tutto intento alla registrazione. Meccanicamente, gli sbalorditi cronisti stenografavano sui loro taccuini.

Al suo fianco, April Bell sembrava tramutata in una statua di ghiaccio. Pal­lidissima, stringeva con forza la cerniera della borsetta. I lunghi occhi fissava­no con le verdi pupille dilatate il volto tormentato di Mondrick. La loro in­tensità era impressionante. E in una frazione di secondo, Will Barbee capì con chiarezza una cosa che fino a quell’istante aveva più o meno inconscia­mente avvertito: April Bell gli faceva paura.

Dimentica di lui, la ragazza continuava a fissare Mondrick, movendo lenta­mente le labbra, stringendo la borsetta con una specie di convulsa ferocia, tanto che le dita sottili parevano artigli laceranti.

Mondrick pareva aver ritrovato abbastanza fiato da poter riprendere.

«Vi prego di credere, signori, che il mio non è un capriccio, un umore del momento. Ho cominciato a sospettare i fatti terribili che intendo portare a vostra conoscenza circa una trentina d’anni fa, quando una dolorosa espe­rienza mi fece pensare che tutta l’opera di Freud, con le sue rivelazioni sulla psicologia dell’inconscio, era soltanto una descrizione più o meno perfetta della mente e della condotta umane, più che una spiegazione del male che vediamo.

Svolgevo allora la mia attività di psichiatra, a Glennhaven. Abbandonai la professione, perché la verità che cominciavo a sospettare si faceva beffe di tutto ciò che m’era stato insegnato e mi faceva dubitare di tutti i miei sforzi per aiutare le menti turbate. Sfortunatamente, ebbi una discussione molto vivace col vecchio dottor Glenn, padre del Glenn che oggi dirige Glennha­ven, a proposito della dolorosa esperienza accennatavi prima. Mi volsi allora ad altri campi, alla ricerca di qualcosa che dimostrasse la fallacia di quanto sospettavo. Non trovai nulla. Continuai i miei studi all’estero, e infine accet­tai una cattedra all’Università di Clarendon. Cercai di penetrare il più pro­fondamente possibile nei segreti dell’antropologia, dell’archeologia, dell’et­nologia, ogni ramo della scienza che studiasse la vera natura del genere umano. A poco a poco, le mie ricerche mi rivelarono fatti che mi hanno dato la conferma della cosa più orrenda che l’uomo abbia mai dovuto temere.»

Mondrick fece una nuova pausa, per riprender fiato.

«Per anni ho tentato di lavorare da solo. Capirete tra poco che cosa signifi­casse questo, e quanto mi fosse difficile trovare chi potesse aiutarmi. Ho accettato la collaborazione della mia carissima moglie, perché era già a parte del mio segreto. Ciò le è costato la vista, e il suo immenso sacrificio mi ha provato che tutti i nostri timori erano giustificati. Ma alla fine ho trovato uomini degni della mia fiducia.» Il volto terreo di Mondrick tentò di sorride­re, e i suoi occhi ancora una volta si volsero a guardare Sam Quain, Nick Spivak e Rex Chittum con espressione affettuosa. «E li ho allenati a poco a poco a dividere...»

Spezzato nuovamente in due dai colpi di tosse e dalla difficoltà di respira­zione, il vecchio scienziato dovette essere sorretto da Sam Quain, finché il parossismo non si fu calmato.

«Perdonatemi, signori, sono purtroppo soggetto a queste crisi... Ma tutti questi preliminari sono necessari alla piena comprensione da parte vostra di ciò che devo dirvi.»

Sam Quain gli mormorò qualche parola all’orecchio, e Mondrick annuì stancamente.

«Ormai la nostra teoria era formulata», riprese lo scienziato, cercando pale­semente di affrettarsi. «Ma avevamo bisogno di prove, per avvertire e prepa­rare alla difesa l’autentico genere umano. La prova che cercavamo poteva esistere solo tra le ceneri del più remoto passato. Dieci anni fa abbandonai la cattedra, per frugare nelle antiche culle delle razze umane e semi-umane e trovare così la prova irrefutabile.

Vi lascio immaginare le difficoltà e i pericoli che abbiamo dovuto affronta­re: il tempo non mi consente di descriverveli. I mongoli Torgod hanno assali­to e saccheggiato più volte il nostro accampamento. Siamo stati sul punto di morire di sete prima e congelati poi. Quindi la guerra ci ha costretti a parti­re, proprio quando avevamo appena trovato i primi insediamenti pre-umani. Si sarebbe detto che i cacciatori delle tenebre sapessero che noi li sospetta­vamo, e cercassero di annientarci prima che potessimo accusarli. Il Diparti­mento di Stato non voleva farci ritornare laggiù. Il Governo cinese ha fatto di tutto per tenerci lontani. I Russi ci credevano spie... insomma, gli uomini e la natura ci sono stati avversi. Ma noi siamo riusciti a trovare ciò che cerca­vamo. E a portarlo in America da quei remoti nascondigli preumani.» Toccò ancora con la punta del piede la cassa. «È tutto qui», disse.

Per un istante Barbee incontrò gli occhi di Mondrick, e vi lesse l’angoscia di una gran fretta e di una paura mortale. Aveva capito il motivo di quel lungo preambolo; sapeva che Mondrick ardeva dal desiderio di parlare, di esporre i suoi fatti terribili l’uno dopo l’altro, ma che il timore di non essere creduto lo costringeva alla prolissità.

«Perdonatemi se tutte queste precauzioni possono sembrarvi inutili. Capire­te quando avrete saputo. E ora che siete in certo qual modo preparati a udire il resto, dovrò parlare con brutale precipitazione, esporvi i fatti alla rinfusa prima che me lo si impedisca.»

Il suo volto si contorse, percorso da un tremito.

«Perché un terribile pericolo ci minaccia, signori. Ognuno di voi... chiunque ascolti in questo momento le mie parole... si trova sotto la minaccia di un pericolo mortale. Pure, devo pregarvi di ascoltare... perché io spero ancora... che, diffondendo la verità... così largamente che non riescano più a uccidere tanto da soffocarla... sia ancora possibile sconfiggere la spaventosa congiu­ra.»

Mondrick ansimò ancora, piegandosi, rabbrividendo.

«Fu centomila anni fa...»

Soffocava. Le sue mani si levarono tremanti verso la gola, come per aprire una via al respiro. Un gorgoglio cupo gli risuonò nella strozza. La faccia stravolta, le mani ripiegate ad artiglio si fecero d’un azzurro cianotico. Cadde in ginocchio, afferrandosi alle braccia di Sam Quain, farbugliando parole inintelligibili.

«Ma è impossibile!» Barbee udì l’atterrito bisbiglio di Sam Quain. «Non ci sono gatti, qui!»

Barbee lanciò un’occhiata perplessa ad April Bell. La ragazza fissava anco­ra l’esploratore ansimante, che anelava una boccata d’aria. Dilatati nella luce ambigua del crepuscolo, i suoi occhi sembravano del tutto neri. Bianca come la sua pelliccia, la sua faccia era completamente priva di espressione.

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