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Jack Williamson: Il figlio della notte

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Jack Williamson Il figlio della notte

Il figlio della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ritorno dalla Mongolia della spedizione del celebre professor Mondrick segnerà forse l’inizio di un’era nuova nella storia dell’umanità. Perchè in una certa cassa che gli esploratori portano dal deserto di Gobi sono contenute le prove di una guerra spietata e segreta, che si combatte da innumeri millenni. E il campo di battaglie è il subcosciente stesso della razza umana, dove il Maligno sembra sferrare i suoi colpi più mortali e insidiosi. Perchè il genere umano, ha scoperto Mondrick, è un ibrido: il sangue dell’Homo sapiens è, ormai, contaminato da quello dell’Homo lycanthropus, l’antichissima razza caina… Ma la scoperta di Mondrick esige le sue vittime e un orrendo pericolo minaccia di nuovo l’umanità. Le forze del male sono scatenate e gli angeli ribelli tentano ancora una volta di rialzare il capo. Metapsichica e psicocinesi sono le strane scienze a cui questo romanzo senza precedenti nella letteratura del “soprannaturale” sembra ispirarsi. E’ un romanzo che non si dimentica!

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«Noi siamo rivali, dolcezza», le ricordò, cercando di fare il severo. L’occhia­ta ferita di lei non andò perduta, ma il giovane mantenne il tono ruvido della sua voce. «E poi April Bell sembra un nome finto.»

«Mi chiamo Susan, in realtà», e i verdi occhi della ragazza divennero quasi neri tanto era intensa l’implorazione che vi si leggeva. «Ma April m’è parso molto più adatto al mio primo servizio firmato. Ti prego... dimmi qualcosa sulla spedizione... quel Mondrick dev’essere un pezzo grosso davvero, se tutti i giornali vogliono articoli su di lui...»

«È uno studioso veramente in gamba. La sua spedizione si compone soltan­to di quattro uomini, e non ho dubbi che devono avere visto cose incredibili in quelle regioni sconosciute, in mezzo al deserto, in tempi come questi. È già un mistero come abbiano fatto ad arrivare fin là e a tornare indietro. Ma Sam Quain ha amici cinesi, e questi devono averli molto aiutati.»

Con una minuscola stilografica, lei intanto prendeva appunti rapidissimi sul taccuino nero.

«Amici cinesi», mormorò la ragazza scrivendo. Poi alzò gli occhi imploranti: «Davvero non hai idea di che cosa portino di là?».

«Nemmeno la più pallida ombra di un’idea. Qualcuno della Fondazione ha telefonato oggi allo Star per informarci che sarebbero arrivati stasera in ae­reo. Ha anche detto che la spedizione aveva novità sensazionali da annuncia­re. Pare che si tratti di una grande scoperta scientifica. Ci ha consigliato di mandare fotografi e i nostri redattori scientifici, ma lo Star non è giornale che prenda troppo sul serio i problemi della scienza. Secondo il direttore basto io tanto per il servizio su Walraven quanto per quello sulla spedizio­ne.»

Intanto cercava di ricordarsi il nome di un certo personaggio mitologico, affascinante e desiderabile, senza dubbio, quanto lo era April Bell, ma dedita alla brutta abitudine di tramutare gli uomini invaghiti di lei in bestie ripu­gnanti. Come si chiamava... Circe?

Non aveva pronunciato quel nome a voce alta... ma l’improvviso incurvarsi ironico delle labbra, e un certo scintillìo malizioso negli occhi verdi, gli fece­ro pensare per un istante di averlo fatto. Ed era strano, perché non capiva che cosa l’avesse fatto pensare alla mitica maga.

Il disagio durò un istante, che impiegò per cercar di scoprire i motivi di quella strana associazione mentale. Aveva letto Menninger e Freud, cono­sceva il Ramo d’oro di Frazer. Sapeva che i simboli delle antiche leggende entrate nel folklore esprimevano le paure e le speranze dell’uomo primitivo: perciò, l’immagine lampeggiata nei suoi pensieri doveva riportare a qualcosa nel suo inconscio. E non voleva nemmeno sapere a che cosa.

Rise improvvisamente e disse:

«Va bene, ti dirò tutto quello che so, anche se rischierò il licenziamento in tronco quando Preston Troy leggerà il mio servizio anche sul Call. O preferi­sci che te lo scriva io?».

«Grazie, ma la mia stenografia è abbastanza buona.»

«Bene, Mondrick era già un antropologo di fama alla Clarendon University, prima di dimettersi una decina di anni fa per creare la sua Fondazione An­tropologica. Oggi è considerato, malgrado la sua straordinaria modestia, il più grande studioso, forse, in tutto il mondo, della specie umana. Biologo, psicologo, archeologo, sociologo, etnologo... Insomma, sembra che sappia tutto quello che val la pena di sapere sul suo argomento favorito: il genere umano. Ha diretto tre spedizioni nel deserto di Gobi, prima che la guerra lo costringesse a sospendere le ricerche; poi, appena ha potuto, vi si è precipita­to di nuovo. Gli scavi si trovano nella regione di Ala-shan, nel Gobi sud-occidentale, dove il deserto è più arido, ostile, torrido...»

«Avanti», lo spronò la ragazza, la punta della penna ferma sul taccuino. «Hai un’idea di che cosa cercasse la spedizione?»

«È il loro grande mistero. Ma è certo che, di qualunque cosa si tratti, Mon­drick se ne occupa da almeno vent’anni. Ha organizzato la Fondazione esclu­sivamente per trovare quello che cerca, lasciando la cattedra universitaria. È il lavoro di tutta la sua vita: e, dato l’uomo, non può che essere una cosa importante.»

La piccola folla di persone in attesa presso la barriera d’acciaio si agitò e un bimbo indicò eccitatissimo il cielo grigio. Il vento saturo di umidità vibrava al rombo di motori possenti. Barbee guardò l’orologio.

«Cinque e quaranta», disse alla ragazza. «L’aereo è atteso per le sei, di modo che se questo è l’apparecchio di Mondrick, evidentemente è in antici­po.»

«Di già?» Con gli occhi verdi pieni di luce, April pareva emozionata almeno quanto il bimbo che aveva indicato il cielo. «E gli altri? I collaboratori di Mondrick, intendo, li conosci?»

Un’onda di ricordi fece indugiare Barbee, che annuì, con un po’ di tristezza. Nella sua mente balenarono tre volti un tempo familiari, e il brusio della piccola folla in attesa si trasformò nell’eco remota di voci venute dal passato.

«Oh, certo che li conosco», disse.

«Allora, parlamene.»

La voce di April Bell interruppe la sua breve fantasticheria. La ragazza at­tendeva, la penna puntata sul taccuino. Will sapeva perfettamente che non si deve mai rivelare al collega di un giornale concorrente il materiale che fa da sfondo a un servizio speciale, ma quei capelli erano d’un rosso fiamma trop­po rabbioso e quegli occhi bizzarramente allungati così misteriosi, che la sua riluttanza si sciolse come neve al sole.

«I tre uomini che nel ’45 sono tornati in Mongolia con Mondrick sono Sam Quain, Nick Spivak e Rex Chittum. Sono i miei più vecchi amici. Eravamo tutti colleghi all’università, quando ancora Mondrick insegnava alla Claren­don University. Sam e io siamo stati due anni a pensione in casa di Mon­drick, e poi tutti e quattro ci siamo trasferiti in un appartamento per studenti dell’università. Seguivamo i corsi di Mondrick e... insomma... sai...»

Barbee cominciò a balbettare e infine tacque, timido e impacciato. Un anti­co dolore che non s’era mai spento si era ridestato di colpo, gli palpitava in gola, stringendola in un nodo.

«Continua», disse April Bell con voce sommessa. Il sorriso di affettuosa comprensione che gli rivolse lo spinse a riprendere:

«Mondrick stava già cercando i suoi collaboratori più fidati, capisci. Doveva avere già in mente di fondare il suo istituto di ricerche antropologiche, seb­bene non gli abbia dato vita che quando io m’ero già laureato. Credo che scegliesse gli uomini da addestrare per le sue ricerche nel Gobi».

Inghiottì a fatica.

«A ogni modo, tutti noi seguivamo le sue lezioni... su quelle che lui chiama­va “scienze dell’uomo”. Lo adoravamo. Lui ci aveva procurato delle borse di studio, ci dava tutto l’aiuto che poteva e ci conduceva con sé ai suoi campeg­gi scientifici, d’estate, in America Centrale e nel Perù.»

Gli occhi della ragazza erano penetranti fino a sconvolgere.

«E tu, Barbee?»

«Io alla fine sono stato escluso», confessò a disagio. «Non ho mai saputo bene perché... dato che avevo anch’io la loro passione, e i miei voti erano superiori a quelli dello stesso Sam, e i miei risultati migliori. Avrei dato il braccio destro per poter essere con loro, quando Mondrick avviò la Fonda­zione e li condusse con sé nella prima spedizione nel Gobi.»

«Che cosa accadde?»

«Non l’ho mai saputo, ma qualcosa mi voltò Mondrick contro, qualcosa che mi sfugge ancor oggi. Eravamo ormai tutti laureandi, e Mondrick ci stava vaccinando e prelevava campioni dei nostri gruppi sanguigni per un altro campeggio scientifico, quando mi chiamò nel suo laboratorio, un giorno, per dirmi che avrei fatto bene a non pensare più a viaggi del genere.»

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