Bob Shaw - Antigravitazione per tutti

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Antigravitazione per tutti: краткое содержание, описание и аннотация

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Antigravitazione: recentissima scoperta che consente a chiunque, previo allacciamento di un semplice giubbotto, di vincere l’attrazione terrestre e librarsi in volo. Il sogno dell’umanità si è finalmente realizzato? Abbiamo infranto, per cosi dire, l’ultima barriera? Niente paura, i guai non sono finiti nemmeno lassù, e le vie del cielo possono rivelarsi più micidiali di quelle della terra. Ce lo ricorda questo magistrale romanzo dell’inglese Bob Shaw, un’utopia in nero che turberà per molto tempo i sonni dei nostri lettori con una dose di cinismo e violenza quale può permettersi solo la grande fantascienza.

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Nunn tamburellò con le dita sul bordo dentellato del volante. — Noi non siamo poliziotti, Rob, siamo poliziotti dell’aria. E ci uccidono in continuazione. Quanti sono ancora vivi nella tua squadra?

— Non molti. — Hasson girò la testa per nascondere l’improvviso, incontrollabile tremito delle labbra.

— Scusa. Non avrei dovuto dirlo. — Nunn sembrava irritato, più che dispiaciuto.

Colebrook, sempre all’erta, afferrò il braccio di Hasson appena sopra il gomito e lo strinse forte. — Prendi due capsule, adesso, Rob. È un ordine.

Imbarazzato e vergognoso, Hasson tirò fuori la scatoletta di plastica, versò due capsule verde-oro nel palmo della mano e le inghiottì. In bocca erano asciutte e leggerissime, come minuscole uova di minuscoli uccelli.

Nunn si schiarì la voce. — Il punto che volevo chiarire è che il caso Sullivan non è più di competenza della polizia dell’aria, quindi dobbiamo attenerci agli ordini della Sicurezza. Se loro pensano che tu sia un testimone abbastanza importante perché l’organizzazione di Sullivan cerchi di chiuderti la bocca, dobbiamo accettare la loro idea. Sono affari loro.

— Lo so, ma è tutto così… — Hasson, disperato, girò attorno gli occhi. — Capisci… Identità falsa, passaporto falso! Come farò ad abituarmi a sentirmi chiamare Haldane?

— A me non sembra un gran problema — rispose bruscamente Nunn, stringendo le labbra. — Cerca di assumere un atteggiamento più positivo, Rob. Vattene in Canada, mangia e bevi e dormi un sacco, e goditela finché è possibile. Ti verremo a prendere quando dovrai testimoniare.

— Parlando da medico, mi pare un ottimo consiglio.

Colebrook aprì lo sportello, scese e si avviò verso il retro della macchina. Alzò il coperchio del portabagagli e cominciò a tirar fuori le valigie di Hasson.

— Io non scendo — disse Nunn, tendendo la mano verso il sedile posteriore. — Abbi cura di te, Rob.

— Grazie. — Hasson strinse la mano che l’altro gli porgeva e scese dall’auto. Ormai il cielo si era completamente schiarito, era d’un azzurro pallidissimo, e una brezza debole spirava dall’Atlantico. Hasson rabbrividì al pensiero delle migliaia di chilometri di mare aperto che si stendevano fra lui e la sua destinazione. Il viaggio gli sembrava eccessivo per qualsiasi imbarcazione; e ancora più incredibile era l’idea che qualche mese prima lui, Robert Hasson, trovandosi nella necessità di trasferirsi in Canada, si sarebbe tranquillamente allacciato un corpetto antigravità e sarebbe partito da solo, avendo come unica protezione un casco e una tuta termica. Al pensiero di alzarsi ancora in volo, della possibilità di cadere, Hasson si sentì mancare le ginocchia. Si appoggiò al veicolo, facendo in modo che il gesto sembrasse casuale. Il metallo verniciato gli gelò le dita.

— Ti accompagno all’accettazione — disse Colebrook. — Non sembrerà strano a nessuno vederti con un medico.

— Preferirei andare da solo, grazie. Sto bene.

Colebrook sorrise con aria d’approvazione. — Così va bene. Tieni a mente quello che ti ha detto il fisioterapista per gli oggetti pesanti. — Hasson annuì, salutò il medico e s’incamminò verso il cancello che immetteva nel terminal di partenza. In una mano reggeva una valigia grossa e nell’altra una piccola. Teneva la schiena diritta e i diversi pesi in equilibrio. Il dolore alla spina dorsale e all’articolazione ricostruita del ginocchio era notevole, ma aveva imparato che il fatto di muoversi, per quanto spiacevole, giocava a suo favore. Il dolore vero, la fitta terribile e paralizzante, giungeva dopo essersi trovato costretto a restare immobile per parecchio tempo per poi dover compiere un’azione di per sé semplicissima, ad esempio scendere dal letto. Era come se il suo corpo, respinti gli effetti magici della chirurgia, ubbidisse a un richiamo masochistico alla sofferenza.

Entrò nel terminal passeggeri, dove lui e i suoi bagagli furono sottoposti a una serie di controlli piuttosto superficiali. Scoprì che per quel particolare volo era in attesa un’altra ventina di passeggeri: l’idrovolante, evidentemente, viaggiava quasi a pieno carico. In maggioranza si trattava di coppie di mezza età, gente con l’aria emozionata ed eccitata di chi non è abituato a viaggi sulle lunghe distanze. Hasson pensò che andassero a trovare dei parenti. Si tenne in disparte da loro. Bevve il caffè delle macchinette, chiedendosi perché mai persone che potevano restarsene tranquillamente a casa si mettessero in volo sopra un oceano agitato dall’inverno.

— Attenzione, prego — disse un’hostess che aveva capelli scolpiti a rasoio e lineamenti duri, decisi. — Il volo Bo uno due sei partirà per St. John tra una ventina di minuti circa. A causa della forza e della direzione del vento che si è alzato nelle ultime ore, siamo stati costretti ad ancorare il velivolo più lontano del solito, e le nostre motolance sono gravate di lavoro extra. Comunque non si verificherà alcun ritardo nella partenza se possiamo raggiungere a volo l’imbarcazione. C’è qualche passeggero con la carta d’imbarco per il volo Bo uno due sei che non sia in grado di volare per mezzo chilometro?

Il cuore di Hasson ebbe un sobbalzo folle: guardandosi in giro, aveva scoperto che tutti annuivano con aria incoraggiante.

— Molto bene — disse l’hostess. — Troverete corpetti AG standard sulla rastrelliera vicino al…

— Chiedo scusa — intervenne Hasson. — Non sono autorizzato a usare i corpetti AG.

Gli occhi della ragazza tremarono un attimo, e dagli altri passeggeri si levò un mormorio di scontento. Diverse donne scrutarono Hasson: le loro occhiate erano indagatrici e risentite. Lui si girò senza dire nulla, e aveva ancora attorno l’aria gelida che gli correva incontro a una velocità folle mentre precipitava su Birmingham, sui livelli di volo affollati di pendolari, dopo una caduta di tremila metri, e le luci della città s’ingrandivano sotto di lui come enormi fiori ingioiellati…

— In questo caso è inutile che gli altri si mettano in volo. — La voce dell’hostess era neutra. — Se volete accomodarvi, vi chiamerò non appena avremo a disposizione una lancia. Cercheremo di fare il possibile per ridurre al minimo il ritardo. Grazie. — Si avvicinò a un apparecchio di intercomunicazione, nell’angolo della sala d’attesa dalle pareti di vetro, e cominciò a bisbigliare qualcosa.

Hasson rimise giù il bicchiere del caffè e, perfettamente conscio del fatto che tutti lo fissavano, entrò nella toilette. Si chiuse in uno stanzino, si appoggiò un attimo alla porta, poi tirò fuori la scatoletta e infilò in bocca altre due capsule. Le due che aveva inghiottito in macchina non avevano ancora fatto effetto, e lui rimase lì fermo nel piccolo, triste universo di muri divisori e piastrelle, implorando la tranquillità. Poi capì che il suo crollo era stato completo. Aveva visto altri uomini cedere per la tensione del troppo lavoro, per le troppe ore di pattuglia aerea di notte, quando il pericolo di una collisione con un suicida aereo faceva vibrare i nervi come fili del telefono spazzati dalla tempesta. Ma aveva sempre osservato avvenimenti del genere con una specie di soddisfatta superiorità. Al di sotto della partecipazione umana, della comprensione degli aspetti medici della cosa, c’era sempre stato un certo disprezzo, e la sicurezza che il poliziotto colpito, l’uccello ferito, avrebbe recuperato la stabilità mentale, si sarebbe liberato dei propri mali e avrebbe ricominciato tutto come prima. Il suo senso di sicurezza era talmente forte che non era nemmeno riuscito a riconoscere i sintomi premonitori della sua disgrazia: la depressione acuta, l’irritabilità, il pessimismo crescente che toglieva ogni sapore alla vita. Senza saperlo, Hasson era stato terribilmente vulnerabile, e in quelle fragilissime condizioni, spoglio d’ogni armatura, era sceso nell’arena per combattere un nemico beffardo, che indossava un mantello nero e reggeva una falce…

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