Più guardava quella carta e più si stupiva della sua praticità. Bastava un’occhiata per stabilire quanti salti fossero necessari a raggiungere una certa destinazione senza correre pericoli, e persino per prevederne l’ampiezza e la direzione precisa. Non c’erano dubbi, la stazione telemetrica era praticamente irraggiungibile. Anche se avessero viaggiato via terra fino al punto più vicino all’isola ci sarebbero comunque stati 8.500 chilometri di oceano tra loro e la meta a cui erano diretti. Se avessero coperto la distanza con un salto solo sarebbero emersi in prossimità della stazione muovendosi in modo orizzontale a parecchie centinaia di metri al secondo. Non c’era proprio alcun modo di aggirare l’ostacolo, a meno che…
— Perdio, ci sono! — esclamò Bjault in lingua natale `Non l’avrebbe mai capito senza quella mappa, così come uri Azhiri non sarebbe mai stato in grado di arrivarci senza il bagaglio tecnico e scientifico di Ajao.
— Con il tuo Talento e la mia “magia” credo proprio che potre mo raggiungere l’isola! — dichiarò l’archeologo dedicando al Corporato, che lo fissava perplesso, un ampio sorriso di trionfo.
La chiamavano Festa dell’Estate Meridionale, e preferivano ignorare il fatto che quella data segnava il giorno più corto di tutto l’inverno nell’emisfero settentrionale. Era la più importante tra le feste imperiali, a pari merito con la Festa dell’Estate Settentrionale, sei mesi più tardi. Quell’anno non era previsto lo sfarzo delle edizioni precedenti. I ducati di Rengeleru e di Dgeredgerai erano troppo occupati a difendere le loro vie di commercio attraverso il Grande Deserto dalle incursioni del Popolo della Sabbia per inviare a corte le consuete compagnie di spettacolo. Tuttavia, la maggior parte della nobiltà del Regno era venuta alla festa, e aveva riempito per intero i quindici ordini di posti dell’Anfiteatro Equatoriale. Questo era una linea spartiacque naturale che si stendeva per cinquecento iarde verso nord e per altrettante verso sud. Alle squadre di lavoro del re erano occorsi più di tre anni per ricavare quindici terrazze degradanti nel riolite bruno rosato del fianco montuoso, una per ogni grado della nobiltà. Poi sulle terrazze erano state stese tonnellate di terriccio, zolle erbose e alberi finché in tutto quel verde non era rimasta solo, qua e là, qualche rara striscia rosa di pietra lucida.
Erano passati solo due giorni da quando si era scoperta la misteriosa intrusione nel Torrione del Palazzo d’Estate. Sebbene ufficialmente non fosse stato detto nulla, la voce si era sparsa e la presenza di uomini di guardia a ogni polla di transito o laghetto ornamentale non faceva che confermarla. Pelio si chiese se le cose sarebbero mai tornate alla normalità. Era già stato un miracolo far uscire Ionina dal Torrione senza che nessuno la notasse. Quanto ai consiglieri di suo padre, non li aveva mai visti tanto sconvolti. Anche se non risultava mancare s nulla dalle stanze private del re, e Pelio si era ben guardato dal denunciare le proprie perdite, tutti si trovavano comunque ad affrontare il fatto irrefutabile che qualcuno aveva approfittato di un ricevimento diplomatico per violare il Torrione e uccidere due rengatori d’aria. I potenziali ladri avevano dimostrato grande Talento e un’incredibile audacia. Da quella notte in poi il Torrione era stato costantemente pattugliato, ed era la prima volta che un re imperiale l’avesse mai ritenuto necessario.
Tuttavia, solo Pelio comprendeva la vera enormità di ciò che era successo. Soltanto lui sapeva che i ladri in realtà avevano rubato qualcosa, e doveva trattarsi di qualcuno in grado di penetrare all’interno del Torrione e di rengare oggetti all’esterno senza l’aiuto dei sorveglianti della Sala Alta. C’era di mezzo un Corporato, forse. Oppure, considerato il rigore con cui la Corporazione si atteneva al rispetto della Convenzione, un membro della stessa famiglia reale. Il principe teneva ogni dubbio per sé. Sapeva che la sua posizione era delicata, c’era il rischio che qualcuno sollevasse interrogativi tali da portare a galla, magari incidentalmente, la sua relazione con una witling . Per alcuni giorni doveva evitare la ragazza, sia in pubblico che in privato.
Pelio si barcamenò tra una conversazione e l’altra, rimanendo sulle generali, senza sapere mai bene che cosa fare. Era stato diverso prima di incontrare Ionina. Allora, si era accontentato di tenersi in disparte senza nascondere il proprio malumore. Ma ora che conosceva il piacere di una vera conversazione, mettere il broncio non gli dava nessuna soddisfazione. Non che la cosa facesse differenza, pensò spingendo lo sguardo attraverso la terrazza fino ad Aleru e alla Regina Virizhiana. Chiunque avesse saccheggiato la sua sala di immagazzinaggio giocava una partita misteriosa e mortale. Finché non fosse riuscito a saperne di più era meglio recitare la parte del principe tranquillo e insignificante.
Si allontanò dalla folla e raggiunse un pergolato vicino al bordo della terrazza circondato dagli alberi. Lì il profumo dei fiori e delle foglie verdi era più penetrante, mentre i rumori della festa risultavano attutiti. A pochi pollici dal suo piede, il tappeto erboso finiva di colpo e il terreno scendeva in perpendicolare, mettendo a nudo il lucido letto di roccia rosa. Dal punto in cui si trovava, Pelio poteva vedere ognuno dei quindici livelli degradanti, fino a quello baronale, ma la vegetazione era così fitta da lasciar intravedere solo una minima parte degli invitati.
Da qualche parte, sotto gli alberi del nono livello, i musicisti della festa intonarono “Invito al Torneo”. Su tutte le terrazze la gente si spostò in avanti per guardare l’azione sul terreno di scontro posto a occidente. Il pergolato di Pelio fu preso d’assalto da un trio di giovani nobili, avidi di chiacchiere e di scommesse. Dall’azzurro dei gonnellini il principe capì che provenivano da qualche corte di campagna e che potevano appartenere al massimo al sesto livello. Ma la festa non era rigidamente formale e, se provvisto degli amici giusti, un nobile poteva andare praticamente dovunque nell’anfiteatro. Per la prima volta in molti anni, Pelio si ritrovò in incognito, e prima ancora di rendersene conto stava già scommettendo il suo anello più grande sulla vittoria in campo di Tseram Cherapfu. In realtà, di Cherapfu non sapeva proprio niente, ma aveva udito quel nome in una discussione fra esperti, poco prima.
I quattro si sedettero sull’erba soffice per godersi lo spettacolo e, qualche secondo più tardi, apparvero i due contendenti, uno al limite nord del terreno e l’altro a quello sud. La distanza era tale che i due sembravano macchioline minuscole, diverse solo per i colori accesi dei costumi da combattimento. Pelio capì dai discorsi degli altri che Cherapfu era quello a nord, vestito di rosso.
Sul terreno si udì una scarica di tuono e una nuvola di polvere si alzò dalle zolle erbose davanti al duellante vestito di blu: Tseram Cherapfu aveva scagliato il suo primo colpo. Uno dei giovani nobili osservò irritato che un attacco tanto prematuro rappresentava uno stupido spreco di energie e un altro gli rispose che non si poteva mai dire, tanto più che Cherapfu aveva in genere una mira eccellente. I due giostranti camminarono lentamente uno verso l’altro, finché non si trovarono appena a quattrocento iarde di distanza. Si udì di nuovo una scarica di tuono, che questa volta continuò con un aspro susseguirsi di colpi, mentre zaffate di aria venivano teletrasportate a velocità supersonica sulla radura.
La gara era amichevole, ma i contendenti lottavano come soldati allenati e valorosi in una battaglia vera. In combattimento era di fatto impossibile mettere sottosopra le viscere del nemico con un’applicazione diretta del Talento. A meno che l’avversario non fosse intontito o che si trattasse di un witling, le sue difese naturali lo avrebbero protetto contro un attacco di kengaggio. Per questo, era necessario aggredire in modo indiretto, teletrasportando aria e rocce da molte leghe di distanza, in modo che emergessero viaggiando a centinaia di piedi per secondo, in direzione dell’obiettivo.
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