I presenti si scostarono in silenzio per lasciarli arrivare fino alla polla di transito.
Lo studio di Shozheru si trovava sulle colline occidentali delle montagne del Palazzo. Oltre le finestre aperte, la vegetazione illuminata dal sole si stendeva per mezzo miglio fino al punto in cui il terreno digradava per tuffarsi nelle profondità delle foreste pluviali dell’equatore. All’interno, la stanza era molto semplice e vantava come unico ornamento una collezione di minuscoli dipinti, i ritratti dei quarantasette predecessori di Shozheru. Anche il tavolo al centro della stanza era privo degli arzigogolati intarsi così popolari a quei tempi. A eccezione dell’aggiunta di quattro nuovi ritratti, la stanza era rimasta inalterata per quasi un secolo, fin dal periodo Teratseru, quando la semplicità veniva considerata il massimo dell’eleganza.
All’inizio, prima che il re ordinasse ai consiglieri e a tutte le guardie di andarsene, la stanza era molto affollata. In un momento diverso, Pelio si sarebbe divertito a osservare la grande costernazione in cui sprofondarono i fedelissimi del re quando lui ordinò di lasciarlo solo. Erano tanto sconvolti che arrivarono quasi al punto di rifiutarsi di obbedire, ma alla fine cedettero. Nello studio rimasero solo cinque persone: Aleru e il re da una parte e i tre witling dall’altra.
Shozheru appoggiò il palmo delle mani sulla superficie pesantemente laccata della scrivania e fissò il figlio per un lunghissimo istante. Sembrava più lucido e risoluto di prima. — La ragazza dice che ho una terza scelta, Pelio. — Evitò di guardare Ionina. — Dice che partirai per un viaggio “attraverso l’oceano” e che lascerai il trono libero per Aleru.
Pelio guardò il riflesso di Ionina e di Adgao sul tavolo. La ragazza lo fissava con i suoi misteriosi occhi scuri e lui capì che non voleva prendere in giro nessuno. Forse il suo paese di witling si trovava al di là dell’oceano, e lei conosceva un modo per arrivarci.
— È così, Sire. La ragazza dice la verità — confermò.
— Come farete? — La domanda era carica di infinito sarcasmo. C’erano delle terre oltre l’oceano ma nessuno, nemmeno i Corporati, potevano raggiungerle sani e salvi. Pelio aprì la bocca per rispondere, ma non gli venne in mente niente.
— Vi dirò io come. — La voce della ragazza era dolcissima, ma sempre estremamente sicura. Shozheru posò malvolentieri gli occhi su di lei, ma questa volta l’ascoltò.
Ionina spiegò la cosa. Per sommi capi, naturalmente. Mentre ascoltava, Pelio si sentì chiudere la bocca dello stomaco da un nodo gelido. Il progetto era folle: nemmeno tutti gli incantesimi del mondo sarebbero riusciti a renderlo possibile. Shozheru e Aleru ascoltarono impassibili, ma dalle loro scarne obiezioni si capì che anche loro consideravano quell’avventura come la scorciatoia verso una morte particolarmente sgradevole.
Quando Ionina finì, Shozheru si rivolse di nuovo a Pelio. — È un suicidio, figliolo — commentò, in tono pacato. — Cercherete davvero di mettere in pratica questo progetto?
Abbiamo forse un’alternativa? , pensò Pelio. Sapeva che il padre era ormai convinto della sua incapacità di reggere le sorti del Regno, neppure come re fantoccio. Il che significava una cosa sola: la morte. L’esilio non era sufficiente, recitavano le leggi inviolabili del suo paese, perché i principi potevano sempre tornare dall’esilio spalleggiati da un esercito di insorti…
Tuttavia nessuno era mai ritornato vivo da un viaggio oltre oceano, e nessuno era mai sopravvissuto a un salto anche dieci volte inferiore. Dunque era probabile che il re riuscisse a strappare ai suoi consiglieri il permesso di lasciar partire il primogenito, piuttosto che giustiziarlo.
— Sì, Padre — replicò Pelio. Pur con tutta la fiducia che nutriva nei confronti di Ionina e Adgao, dubitava comunque che avrebbe mai accettato di imbarcarsi in quell’impresa, se l’alternativa non fosse stata una condanna a morte firmata dal re.
Shozheru abbassò lo sguardo sul tavolo. Dietro di lui, con gli occhi rivolti verso il padre, Aleru fissava il vuoto. Era chiaro che tutti e due capivano la situazione. In questo modo, almeno, il re non sarebbe stato il diretto assassino del figlio.
— Molto bene — disse alla fine Shozheru. — Concedo a tutti e tre la libertà che la ragazza ha chiesto, il materiale e gli operai. — Alzò lo sguardo e Pelio capì che suo padre compiva un gesto di massima generosità per venire incontro ai suoi “desideri”. La corte del Regno d’Estate era già diventata lo zimbello di tutto il pianeta per come aveva viziato il principe witling . - Avete nove giorni di tempo.
Il re attraversò la stanza e scivolò nella polla di transito senza una sola parola di addio.
— Ti manderò i servi — promise Aleru, dirigendosi anche lui alla polla. Esitò prima di entrare in acqua e si girò verso i tre witling. La sua testa si stagliò contro il verde luminoso della vegetazione oltre la finestra e Pelio non riuscì a distinguere i lineamenti del suo viso. C’era forse una vena di sarcasmo nelle parole che pronunciò?
— Qualunque sia il corso degli avvenimenti ora la dinastia è salva, fratello. Spero che, in qualche modo… riuscirai nella tua impresa.
Iniziarono il loro viaggio la mattina del settimo giorno dopo la Festa dell’Estate. Il cielo coperto non sembrava di buon auspicio e una pioggerella tiepida scivolava lungo i fianchi del vascello di Pelio, ancorato nel lago di transito dell’Ala Nord. Yoninne Leg-Wot spinse lo sguardo oltre la superficie increspata del lago fino alla spiaggia grigia e alla vegetazione lucida per la pioggia. Non c’era nessuno a salutarli. Per tutta la mattina, mentre completavano i preparativi per la partenza, non aveva visto un solo servo o nobile che non fosse specificamente assegnato all’impresa, e anche quelli sembravano seccati. La cosa non le interessava più di tanto, ma Pelio ne soffriva. Dal giorno dello scontro diretto con suo padre, molta gente non fingeva più di provare per il principe nemmeno un minimo di rispetto. Era caduto così in disgrazia da sembrare una creatura senza diritti in un paese totalitario. E una creatura morta, per di più, se per caso non riuscivano a mettere in pratica il progetto di Ajao prima dei nove giorni concessi da Shozheru. Morta, come tutti i suoi compagni di viaggio. Yoninne nutriva pochi dubbi, in proposito.
Nove giorni. Quando Bjault e il Corporato avevano descritto per la prima volta il piano, il margine le era sembrato lunghissimo. Sbagliava, e non aveva affatto tardato ad accorgersene. Con tutta l’attrezzatura a portata di mano e il supporto tecnico necessario le cose sarebbero state facili, dal momento che, in teoria, il piano di Ajao era molto semplice. Ma, sotto molti aspetti, la tecnologia degli Azhiri era ferma all’età del ferro e anche gli oggetti più elementari dovevano essere ricavati praticamente dal nulla. La zavorra, per esempio. Solo per prepararla e collaudarne vari tipi diversi, Yoninne aveva sprecato tre giorni.
Aveva provato a lavorare per diciotto e poi venti ore al giorno, ma non serviva. Il tempo passava comunque molto in fretta, e più di una volta Bjault si era dimostrato una vera e propria palla al piede. Il vecchio archeologo pretendeva di essere messo al corrente di tutto ciò che lei faceva, facendosene spiegare ogni procedimento, passo per passo. La lasciava libera solo quando dormiva o quando passava le ore in interminabili analisi particolareggiate del progetto. A un certo punto, lei lo aveva trovato con la scrivania e il pavimento ricoperti per intero da una miriade di fogli, zeppi di formule matematiche tracciate con la sua calligrafia ordinata e sottile. In un certo senso, Yoninne lo ammirava. Molti dei suoi coetanei sarebbero stati assolutamente incapaci di risolvere le equazioni differenziali senza un computer, e non avrebbero mai nemmeno pensato di provarci. Ma Bjault era diventato adulto prima della riscoperta dei computer elettronici e quando aveva incominciato a occuparsi di matematica l’analisi numerica veniva eseguita tutta a mano. Eppure, era solo uno stupido spreco di tempo. Leg-Wot gli aveva già assicurato mille volte che il piano avrebbe funzionato. Lei lo aveva capito fin dall’istante in cui gliel’avevano illustrato. Forse non era un genio matematico, ma possedeva un sesto senso, per certe cose.
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