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Vernor Vinge: Naufragio su Giri

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Vernor Vinge Naufragio su Giri

Naufragio su Giri: краткое содержание, описание и аннотация

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Come il pianeta Tschai della celebre quadrilogia di Jack Vance, anche Giri non scherza: creato fin nei minimi dettagli dalla fantasia di Vernor Vinge, è un mondo pittoresco e avventuroso popolato da una miriade di razze e tribù bellicose, alle quali non è per niente facile inculcare il concetto di Pax Galattica. Ma questo sarebbe niente se almeno su Giri ci fosse una remota possibilità di sopravvivenza… Invece: sostanze velenose e piante poco raccomandabili, complotti di corte e intrighi tribali, violenze e pericoli, guerre e sacrifici. I due terrestri sbarcati su questo mondo pazzesco per una spedizione scientifica, e costretti a restarvi loro malgrado, si accorgeranno che c’è poco da stare allegri soprattutto quando, per tentare l’unica via di fuga, dovranno partecipare a un piano sanguinoso e assecondare la volontà di un principe folle.

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Witling ?

Pelio per poco non scoppiò a ridere. — Quello che sei tu. Una persona che non può teletrasportarsi, e che non riesce a kengare nemmeno un lombrico a dieci piedi di distanza.

La ragazza si limitò a sorridere, e lui non riuscì a leggere più nulla nel suo sguardo. Rimase incerto. Per un attimo ne aveva quasi avuta la certezza. Del resto, quello era sempre stato il suo sogno: che esistesse da qualche parte una razza di gente come lui. Una razza composta interamente da persone di facoltà limitate, che vivevano su qualche isola in un angolo remoto di Giri. Ionina sarebbe stata la rappresentante ideale di quel regno di sogno, perché era una witling eppure si comportava da nata libera.

Pelio sospirò. — E va bene, Ionina, non ti seccherò più con questa domanda. — Almeno per il momento . - E ti risparmierò anche le altre, che sono molte. Non abbiamo neppure affrontato l’argomento del mostro volante abbattuto e di quell’altro strisciante che vi accompagnava. Ma, come ho detto, qui da me sei un’ospite. Sono disposto a fornirti informazioni, se le desideri. Mi hai già detto qualcosa su di te, ora vuoi vedere il resto del palazzo?

Lei annuì. — Sei sicuro che in questo modo non metterai a repentaglio la sicurezza del tuo regno? — Chissà come, riuscì a sembrare timida e sarcastica al medesimo tempo.

— Oh, no! — Il principe rise. — Siamo così forti che non abbiamo bisogno di grandi segreti. — Si alzò e la invitò a seguirlo verso l’ampio davanzale in marmo della finestra esposta a nord. La ragazza camminava con una grazia tutta particolare, capace di trasparire anche dal costume nero fradicio e informe. Pelio sfiorò con le dita l’indumento verde scuro steso al sole sul davanzale. Lo aveva preso dal guardaroba del suo harem regolamentare. Il tessuto era così fine da risplendere, bagnato o asciutto che fosse, e in entrambe le condizioni sarebbe stato comodo e leggero. Lo stile era semplice, con una sola fila di rubini sul bordo superiore, ma nell’insieme era il vestito più bello che potesse offrire alla ragazza senza suscitare commenti tra la servitù. Sollevò quella nuvola verde dal davanzale e lo porse a Ionina.

— Prendilo. È per te.

— Grazie… — Lei lo esaminò, prendendolo a rovescio. — Che cos’è?

La domanda lo stupì. Non riusciva a pensare alla ragazza come a una selvaggia. — È un vestito, naturalmente. — Lo rivoltò e glielo mise davanti nella posizione corretta. — Ecco, il bordo superiore va qui e il resto basta che ricada in basso. — Avvicinò le mani, senza però nemmeno sfiorarla. — Lo puoi indossare nell’alcova.

Ionina disse qualcosa di incomprensibile. Sembrava in lotta con se stessa, e i suoi grandi occhi color nocciola evitavano di guardarlo. — Posso comunque conservare gli indumenti che porto adesso?

Pelio cercò di non mostrare la propria irritazione. — Certo.

La ragazza annuì e scomparve nell’alcova. Com’era possibile che una creatura così incantevole desiderasse vestirsi come un sodomita?

Passò un minuto e Ionina uscì dall’alcova. Il vestito le rendeva pienamente giustizia. Era ancora più bella di quanto i precedenti indumenti avessero lasciato intuire. Lei rimase ferma, con le lunghe gambe snelle tese e le mani sui fianchi, a guardarlo con aria di sfida.

Pelio trattenne le parole che gli erano salite spontanee alle labbra. — Il vestito ti dona, Ionina. Adesso sembri l’ospite perfetta di un principe imperiale. — Indicò la spilla d’argento che le pendeva lungo la curva del fianco. — La chiusura non è allacciata bene, però. Ecco. Sei pronta a vedere il palazzo.

Lei annuì con un pizzico di incertezza, e sollevò tra le mani i vecchi indumenti fradici.

— Lasciali sul davanzale — suggerì Pelio, tirando la corda del campanello. — Prometto che nessuno li toccherà. — Ancora prima che finisse la frase, le sue due guardie del corpo uscirono dall’acqua e si misero sull’attenti davanti a lui. Senza le loro proprietà di rengaggio , il principe non poteva muoversi nel palazzo più di quanto non potesse Ionina. — All’Ala Sud — comandò. — Nella Galleria.

La Galleria e lo studio di Pelio si trovavano alla stessa distanza dall’equatore, l’una a sud e l’altro a nord, distanziati tra loro da più di milleseicento miglia. Quando Pelio e gli altri sbucarono nel punto di destinazione, il pavimento e la superficie della polla sembrarono inclinati, il che non era affatto sorprendente considerato che si trovavano a quasi venti gradi di latitudine di distanza dall’Ala Nord. Ionina si tirò su dall’acqua e rimase per un attimo in punta di piedi, incerta sull’improvviso cambio di posizione del “basso”. Pelio e gli altri uscirono sguazzando e lasciarono Samadhom da solo, con le due zampe anteriori sul bordo della polla. L’animale scalciò energicamente e produsse una serie di furibondi ma fiochi meep, meep mentre cercava di tirarsi fuori. Razza di mangione sfaticato!, pensò Pelio prendendo l’orso da guardia per la collottola e tirando le sue centocinquanta libbre di ciccia sul pavimento.

La Galleria si trovava sulla collina più bassa ai piedi del monte Thedherom. La veduta non era più spettacolare di altre nei dintorni del palazzo, ma Pelio aveva scelto quel posto per una ragione precisa. Con la cerimonia di benvenuto del nuovo ambasciatore del Popolo delle Nevi in corso nella Sala Alta e nel Torrione, quel giorno la Galleria sarebbe stata pressoché deserta. Aveva ragione. Le uniche persone in vista erano un gruppetto di giovani nobili che si godevano un pic-nic a cinquecento piedi di distanza sulla splendida balconata naturale che costituiva la Galleria.

Il principe condusse Ionina oltre la piattaforma di roccia, fino al prato. L’erba era verdissima e morbida sotto i piedi nudi, e la pioggia primaverile aveva lasciato la lucentezza dell’acqua sulle foglie e sui rami delle siepi. Alle loro spalle, le guardie del corpo rimanevano in vista, appena fuori dalla portata delle orecchie. Pelio indicò il mare di fiori rossi che tappezzava le colline verso nord, fino ai fianchi del Thedherom. Fiorivano solo tra la primavera e l’estate, ma quando la stagione fredda si avvicinava era sempre possibile ritrovarli nell’Ala Nord, dove le stagioni erano al contrario. Verso sud, lontano dalla cima innevata e coperta di nuvole del Thedherom, la distesa di pianure verdi si spingeva quasi fino all’orizzonte. Lì si univa a una vaga striscia color bruno polveroso, il Grande Deserto, dove vivevano i più tenaci nemici del Regno d’Estate. Pelio non se ne faceva un grande problema. Secondo lui, il Popolo del Deserto era rozzo e primitivo. Costituiva una minaccia solo perché attaccava i feudi di confine. Tuttavia dispiaceva ricordare che soltanto due generazioni prima il Grande Deserto, per quanto poco popolato, era stato un fedele suddito del Regno d’Estate.

Ionina non prestò attenzione alla striscia marrone. Piuttosto, indicò una processione di minuscole figure a circa un miglio di distanza, nel punto in cui le colline ai piedi del Thedherom digradavano, fino a trasformarsi in pianura.

— Pellegrini — spiegò Pelio. — Sono diretti qui lungo la Strada di Dgeredgerai.

— Sono witling, allora.

— No. Probabilmente si tratta di allievi soldati o servitori in tirocinio. — La maggior parte degli Azhiri normali trascorreva un buon numero di novenali della propria vita in pellegrinaggio. Infatti, a meno di non essere un Corporato, era impossibile teletrasportarsi fino a una destinazione che superasse le poche iarde di distanza senza aver raggiunto quella stessa destinazione a piedi in precedenza. Al tempo in cui suo padre nutriva ancora qualche speranza che Pelio possedesse una certa quantità di Talento utile, anche il principe aveva percorso il palazzo in tutta la sua lunghezza, da nord a sud, per ben milleseicento miglia. Ne aveva così conosciuto la reale immensità, ma poco altro. Oh, in seguito era riuscito occasionalmente a sengare la presenza delle polle lungo la linea di confine, cosa che sarebbe risultata impossibile senza il pellegrinaggio, ma non poteva comunque usarle per teletrasportarsi da solo. Era umiliante, sebbene Pelio avesse a disposizione una quantità di servi in grado di accompagnarlo dove voleva. Senza contare che in ogni caso anche la maggior parte della gente normale dipendeva da rengatori di professione per effettuare salti a lunga distanza.

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