E con questo il barone era sistemato. Niente più di quella lettera avrebbe potuto tenerlo tranquillo. Ma un pericolo anche maggiore per i progetti di Pelio era rappresentato dai pettegolezzi della servitù. Fortunatamente, poteva sempre predisporre una rotazione dei servi di casa. Quelli al suo servizio in quel momento provenivano dal padiglione reale di Pferadgru, molto a sud del Grande Deserto.
Naturalmente sapevano che era un witling, ma non avevano ancora idea di quanto fosse scarso il suo potere a corte. Sarebbero occorsi parecchi novenali prima che si rendessero conto che lui si comprometteva frequentando una witling di basso rango, e altro tempo ancora prima che incominciassero a malignarne con chi non faceva parte della loro cerchia. Prima che questo accadesse, lui avrebbe fatto in modo di rispedirli ai confini del Regno d’Estate.
Tuttavia, comunque rigirasse la cosa, Pelio era perfettamente conscio di correre un gravissimo rischio. Era sempre un imbarazzo per la famiglia reale quando un, principe si trastullava con fanciulle comuni. Se poi la fanciulla in questione era una witling, l’imbarazzo si sarebbe trasformato in scandalo, e se per di più anche il principe era un witling, lo scandalo sarebbe diventato una macchia indelebile sulla storia della dinastia. Qualora il tradimento fosse stato scoperto, lui non sarebbe mai diventato re.
E c’era un solo modo mediante il quale suo padre poteva rimuoverlo dalla linea di successione…
Si udì uno scroscio d’acqua e tre guardie trascinarono Ionina fuori dalla polla. Pelio fece una smorfia. Non aveva neppure sengato l’imminenza del loro arrivo. Di solito, il suo Talento arrivava almeno a questo.
I quattro erano fermi sull’attenti.
— Lasciatemi solo con la prigioniera. Voglio interrogarla — disse Pelio alle guardie. Uno degli uomini incominciò a protestate, ma lui lo interruppe. — Lasciateci soli, ho detto. Si tratta di una faccenda di stato, e in ogni caso c’è l’orso da guardia.
Gli uomini si ritirarono e Pelio rimase a fissare la ragazza. Indossava lo stesso indumento nero e aderente con cui era stata trovata, solo che adesso era bagnato. L’acqua gocciolava lentamente verso il basso e si perdeva in una pozzanghera attorno ai suoi stivali. Che cosa le avrebbe detto? Il silenzio si prolungò, spezzato solo dai ronzii degli insetti e dalle cantilene degli uccelli sugli alberi attorno allo studio. Il principe sapeva come impartire ordini ai servi, come lusingare suo padre e persino come manovrare i nobili minori del rango di Ngatheru… ma come ci si rivolgeva a una futura possibile amica?
— Prego, siediti — disse alla fine. — Sei stata trattata bene?
— Sì. — La giovane donna parlava in tono rispettoso e tranquillo, come se non riconoscesse alcuna differenza di rango tra di loro.
— Dici davvero?
— Be’, preferiremmo vivere in una casa con le porte. Vedi, non sappiamo… qual è la parola che usate voi?
— Rengare ?
— Ecco, non sappiamo rengare . Per noi, una stanza senza porte è una gabbia. Del resto, Ajao e io siamo prigionieri, no?
Pelio la fissò negli occhi color nocciola. Era prigioniera? Aveva stabilito che cosa raccontare a Ngatheru e alla corte, per accontentarli, ma non aveva pensato a quello che avrebbe detto a lei.
— Tu e Adgao siete miei ospiti rispose, cercando di imitare la pronuncia della ragazza. — Per il momento dovete rimanere a palazzo, ma alla fine spero che… — Che desidererai restare… — Spero che sarete rimessi in libertà. In ogni caso, non vi sarà fatto alcun male. Se all’inizio siete stati trattati in modo un po’ rude è solo, perché vi eravate introdotti abusivamente nel nostro regno.
— Non volevamo fare nulla di male. Non sappiamo che cosa è giusto e che cosa è sbagliato per la tua gente.
— Ti credo, Ionina. Davvero. — Cercò ancora una volta di identificare il suo accento. Aveva visitato quasi tutti i paesi su quel versante del Grande Oceano, ma non aveva mai incontrato nessuno con una pronuncia così corretta, anche se vagamente nordica, e con una sintassi così elementare. — Comunque, ci incuriosiscono i viaggiatori che vengono tanto da lontano da non conoscere nemmeno i nostri usi e costumi. E le ragioni per essere curiosi aumentano, considerando le circostanze quasi soprannaturali della vostra cattura. Per questo io, cioè il principe imperiale d’Estate, voglio sapere il più possibile in proposito. Non ti sembra naturale?
— Sì.
— Allora risponderai alle mie domande?
Attimo di pausa. — Farò del mio meglio.
— Bene. — Pelio capì di avere scelto la linea di condotta più giusta. Era importante saperne di più su Ionina e Adgao. Sarebbe stato importante anche se lei fosse stata brutta come il suo compagno. Aveva esaminato gli strani aggeggi recuperati dagli uomini di Ngatheru, e aveva udito la descrizione del mostro volante. Quelle due strane creature erano apparentemente associate a poteri tali da far apparire ridicoli persino il Talento dei Corporati. Per un attimo la sua mente venne trafitta da un pensiero doloroso. Adgao e Ionina potevano rappresentare una minaccia per il regno di Tutt’Estate. Pelio si sforzò di ignorare l’angoscia. Dopotutto, era nella posizione di condurre un vero interrogatorio. — Per prima cosa, Ionina, vogliamo sapere da dove venite.
Questa volta la pausa fu ancora più lunga. La ragazza rimase seduta rigidamente sulla panca intagliata, mentre l’acqua colava lentamente dal suo vestito riero. Seguiva con gli occhi Samadhom che si era avvicinato per annusare. Pelio se ne sentì quasi geloso. Era raro che l’animale mostrasse interesse verso altre persone. Forse, in quel momento avvertiva le particolari somiglianze tra lui e la fanciulla. Alla fine, l’orso mise la testa massiccia in grembo alla prigioniera e alzò il muso peloso per guardarla. Meep?
Lei lo accarezzò, prima di rivolgersi di nuovo a Pelio. — Veniamo da lassù. — Alzò il braccio snello e indicò un punto vago nel cielo oltre la finestra.
Il principe avvertì l’irritazione montargli alla testa. Da una delle Lune, forse? La ragazza mentiva. Non che le Lune fossero irraggiungibili. La Corporazione era in grado di rengare oggetti fin lassù. Ma le lune si muovevano a velocità straordinaria. Saltare su una di loro sarebbe stato un suicidio, come teletrasportarsi agli antipodi. Eppure doveva chiederlo.
— Dalle lune?
— No. Da molto più lontano.
Più lontano? Dal sole? Dai pianeti? Nemmeno i Corporati riuscivano a sengare simili distanze. — Da dove, esattamente? chiese.
Lei raddrizzò impercettibilmente la schiena. — Non… posso dirlo.
— Non puoi o non vuoi, Ionina? — Dimenticò quasi la sua bellezza, tanto era grande il mistero suscitato dalle sue parole. Si sollevò, protendendosi attraverso la scrivania. — Riuscirò a farmelo dire comunque, Ionina. Da dove venite?
Lei parlò con durezza, in un linguaggio sconosciuto. Aveva perso l’aria timida. I morbidi contorni bruni del suo viso divennero una maschera di legno e gli occhi sembravano dire: Torturami pure, ma non ti dirò una sola parola . Il principe si sentì come il personaggio di una favola per bambini. Aveva catturato un elfo dei boschi che lo avrebbe fatto impazzire con la sua bellezza e la sua ostinazione.
Si lasciò ricadere indietro sulla sedia, mentre un’altra ipotesi gli si affacciava alla mente. Scrutò di nuovo la prigioniera.
— Scommetto che avete paura. Pensate che l’esercito del Regno d’Estate verrà a invadere le vostre terre se riuscirà a scoprire dove sono. — La ragazza si era irrigidita, o era solo una sua impressione? — Anzi, scommetto che siete una razza di witling, rintanati in qualche angolo oscuro del mondo.
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