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Vernor Vinge: Naufragio su Giri

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Vernor Vinge Naufragio su Giri

Naufragio su Giri: краткое содержание, описание и аннотация

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Come il pianeta Tschai della celebre quadrilogia di Jack Vance, anche Giri non scherza: creato fin nei minimi dettagli dalla fantasia di Vernor Vinge, è un mondo pittoresco e avventuroso popolato da una miriade di razze e tribù bellicose, alle quali non è per niente facile inculcare il concetto di Pax Galattica. Ma questo sarebbe niente se almeno su Giri ci fosse una remota possibilità di sopravvivenza… Invece: sostanze velenose e piante poco raccomandabili, complotti di corte e intrighi tribali, violenze e pericoli, guerre e sacrifici. I due terrestri sbarcati su questo mondo pazzesco per una spedizione scientifica, e costretti a restarvi loro malgrado, si accorgeranno che c’è poco da stare allegri soprattutto quando, per tentare l’unica via di fuga, dovranno partecipare a un piano sanguinoso e assecondare la volontà di un principe folle.

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Di nuovo il fischio, che precedette il salto successivo. Ajao cercò di formare mentalmente un tracciato degli spostamenti, ma non era facile. Non tutti i laghi erano circondati da fortificazioni o magazzini, alcuni si trovavano nel mezzo di foreste decidue, e le foglie trilobate formavano un tappeto sulla riva con colori che andavano dal rosso-arancio al verde pallido. I salti si susseguirono e il paesaggio attorno alla barca cambiò rapidamente. I minuti passarono e l’aria assunse una temperatura quasi tropicale. Ormai la pioggia era lontana e i raggi del sole si facevano strada nel cielo azzurro attraverso cumuli compatti di nuvole che, a nord, si confondevano in una linea grigia e scura contro l’orizzonte.

Lo scossone al momento dell’arrivo in ciascun nuovo lago era sempre nella medesima direzione e più o meno della medesima intensità. Ajao ne dedusse che si stavano dirigendo costantemente a sud-est. C’era un altro particolare che rimaneva invariato di salto in salto. Una minuscola imbarcazione mimetica si trovava sempre a un centinaio di metri di distanza dalla loro al momento dell’arrivo, e scompariva sempre in un gorgo d’acqua pochi istanti prima della loro partenza. A quanto sembrava, avevano una scorta.

Un altro. salto… e la pressione nelle orecchie aumentò e divenne all’improvviso dolorosa. Ajao deglutì in fretta e si scoprì appena in grado di compensare la rapidità con cui la pressione dell’aria era diminuita. Aprì gli occhi e si guardò intorno. Quest’ultimo lago era piccolo, quasi un cerchio perfetto. La spiaggia sabbiosa si presentava costeggiata da una vegetazione tropicale a foglia larga. Nel verde che tappezzava i fianchi ripidi della collina erano sparpagliate residenze in marmo bianco e rosa.

— Credi davvero che gli Azhiri siano in grado di teletrasportarsi solo con la forza del pensiero? — chiese Leg-Wot, ritrovando per la prima volta la parola, dopo molti minuti. — lo non ne sono convinta. Secondo me, se si trattasse di una capacità naturale della mente, per farla funzionare non ci sarebbe bisogno di energia.

— Già. O perlomeno sembrerebbe la supposizione più logica. — Bjault si chinò in avanti, cercando di vedere quanto più possibile del paesaggio.

— Ma quest’ultimo salto ci ha portato in alto di un buon migliaio di metri, no? Immagino che anche a te si saranno tappate le orecchie. Questa specie di scialuppa su cui ci troviamo deve mettere insieme più di un centinaio di tonnellate. Hai un’idea di quanta energia ci voglia per sollevarla di un chilometro? Con o senza teletrasporto, è roba per macchinari pesanti, non per un chilo scarso di tremula materia cerebrale.

— Non… — incominciò a dire lui, prima di interrompersi di colpo. A sinistra, il fianco ricurvo della collina era spezzato quasi fino al livello dell’acqua, e Ajao poteva spingere lo sguardo in fuori, al di là e verso il basso. Lontanissimo, oltre quella spaccatura a forma di V, c’era l’oceano. E l’orizzonte era segnato da una piccolissima striscia verde. Per un attimo l’archeologo rimase a contemplarla immobile, quasi incapace di trovare la giusta prospettiva per ciò che vedeva. Poi capi. L’ultimo salto li aveva portati fino a un lago sistemato nel cono ormai inattivo di un’isola vulcanica.

Risultava difficile credere che meno di mezz’ora prima si fossero trovati in mezzo alla neve, con la faccia sferzata da un vento gelido.

— Allora? — chiese Leg-Wot con voce piatta.

Ajao si sforzò di ritrovare il filo dei propri pensieri. — No, non credo che gli Azhiri spendano energie per il teletrasporto. Hai potato che quando le altre barche saltano una massa d’acqua si sprigiona dal loro punto di partenza?

— Sì… — Dall’altra parte della nave si udirono dei passi e delle risa. Un gruppetto di Azhiri, tutti vestiti con gonnellini leggeri, scavalcò il parapetto e si tuffò in acqua. Qualche secondo più tardi, Ajao scorse gli stessi tre individui che uscivano a guado dal lago per dirigersi verso altri individui riuniti sulla spiaggia luminosa che li salutavano gridando e sventolando allegramente la mano. Significava senz’altro che il viaggio era finito. Possibile che Yoninne non l’avesse notato?

— Secondo me — disse Ajao — il teletrasporto per loro è solo uno scambio di materia. Quando saltano da qualche parte, rispediscono simultaneamente al punto di partenza la materia che spostano. — Aveva senso. Bisognava pure che ci si facesse qualcosa con l’aria e l’acqua che occupava il loro punto di destinazione. Altrimenti, la materia sarebbe stata trasportata all’interno della materia, con esiti esplosivi. Secondo la legge di Archimede, il peso di una barca è uguale al peso dell’acqua e dell’aria che sposta, cosicché in caso di teletrasporto verso l’alto, il lavoro richiesto per alzare la loro nave era bilanciato dall’energia rilasciata abbassando la massa di scambio nel punto di partenza.

Le guardie avevano incominciato a slegare i due prigionieri e cercavano di aiutarli a rimettersi in piedi. Ma Yoninne si aggrappò con tenacia alla conversazione e Ajao non faticò a capirne il perché. Il nobile, Pelio, stava scendendo le scale di legno dei ponti superiori, con il seguito alle spalle. Ajao scorse lo sguardo triste, quasi imbronciato, sul volto del ragazzo e udì la conversazione allegra che si svolgeva attorno a lui. Povera Yoninne.

— Capisco che cosa intendi — disse Leg-Wot, con voce stranamente tesa. — Ecco un’altra ragione per cui gli Azhiri viaggiano servendosi dell’acqua.

— Credo che stia venendo qui, Yoninne — osservò Bjault.

Lei si morse il labbro e annuì, rigida. — Che cosa… che cosa dovrei fare?

— Basta che ti sforzi di essere cordiale. Non dirgli troppo a proposito delle nostre origini, almeno finché non saremo davvero sicuri che gli Azhiri sono tecnologicamente più arretrati di noi Ma soprattutto, cerca di recuperare il maser.

Pelio e gli altri avevano raggiunto il primo ponte e si dirigevano senza incertezze verso i Novamerikani.

— Va bene… ci proverò — disse finalmente Yoninne, con voce fievole, quasi addolorata. Per un istante lui pensò che potesse cedere sotto il peso dell’imbarazzo e della paura, ma nel giro di pochi secondi le guardie li obbligarono a mettersi sull’attenti e loro si trovarono a fare i conti con Pelio.

5

Uno dei luoghi preferiti di Pelio era il suo studio personale nell’Ala Nord del Palazzo d’Estate. La stanza, dove il quarzo si mescolava al legno nero secondo complicate armonie di colore, si trovava appollaiata sulla sommità del crinale tappezzato di alberi e vigneti che circondava per intero il lago privato di transito dell’Ala Nord. Una finestra si affacciava sulle palme e sulla sabbia bianca in riva al lago, l’altra permetteva di spingere lo sguardo al di là del crinale, sull’oceano sottostante, fino alla striscia verde di costa che segnava l’inizio del continente meridionale del Regno d’Estate. Lo studio era stato progettato in modo che una brezza tiepida soffiasse sempre da una finestra all’altra e che i raggi del sole arrivassero ad accarezzare il piano della scrivania, a qualsiasi ora del giorno, ricoprendolo di riflessi verdi.

Nel palazzo c’erano molte stanze con viste anche migliori, costruite in modo più sofisticato e magari arredate con oggetti di maggior pregio, ma quella stanza aveva qualcosa di più di tutte le altre. Era stata progettata specificamente per lui e per le sue… caratteristiche. Pelio nutriva una profonda riconoscenza nei confronti del padre, che gli aveva permesso di vivere in un ambiente così grottesco rispetto ai canoni dell’architettura imperiale. Forse il re aveva semplicemente pensato che grazie a quella stanza sarebbe stato più facile tenere il principe lontano dal pubblico, ma in ogni caso lo studio era stato un regalo meraviglioso. In realtà non si trattava di una stanza sola, ma di un ambiente suddiviso in cinque camere distinte, collegate da porte, proprio come alcune capanne di contadini dell’estremo nord, dove le polle di transito diventavano una vera scomodità.

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