— Vatti a fidare degli amici — rantolò Thomas, mentre cercava di svincolarsi dalla stretta delle Guardie programmate. — Perché hai scelto me, Fabian? Perché mi hai fatto venire? Per questo?
— Tu eri l’unico uomo onesto fino alla fine che mi sia venuto in mente, Thomas, e ne ho presi parecchi in considerazione. Ne avevi già dato un esempio: ostinazione a essere onesto fino alla morte, per un principio che tu stesso non capivi completamente. Ho pensato che, avendolo fatto una volta, lo avresti ripetuto, se le stesse circostanze si fossero ripresentate. Ho pensato che avevi un certo magnetismo personale, che eri già diventato un simbolo e che lo saresti diventato ancora una volta. Avevamo esaurito quasi tutti i simboli su Astrobia.
— Morirò senza neppure sapere per quale ragione lo faccio — si lamentò Thomas mentre lo trascinavano fuori, verso il patibolo. Scatenò una vera battaglia. Cominciò a urlare.
— Gente, gente! — La sua voce risuonò altissima e raschiante. — Non c’è giustizia in questo! Fate a pezzi gli autori di questo inganno!
E la gente si raccolse intorno a lui, gente civile ma con qualcosa di nuovo e selvaggio negli occhi. Erano come lupi, fiutavano e ululavano. Un pandemonio stava esplodendo in Piazza Centralità, e l’aria era densa di pericolo.
Tuttavia Foreman, anticipando l’esecuzione, aveva colto di sorpresa gli oppositori; se avesse fatto presto, l’esecuzione sarebbe stata portata a compimento. Thomas si batté disperatamente contro le Guardie meccaniche, ma queste riuscirono ugualmente a immobilizzarlo e a portarlo davanti a Pottscamp, che aveva un’ultima comunicazione ufficiale da fargli.
— Sei disposto a ritornare sulla tua decisione? — gli chiese Pottscamp, fronteggiandolo in mezzo a Piazza Centralità, ai piedi del patibolo. Il cerimoniale esigeva che gli fosse posta la domanda. — Ti è così facile salvarti la vita, caro Thomas — continuò Pottscamp. — Firma qui, e vivi felice. Oppure muori miseramente. In questo caso sarò io a sostituirti come Presidente Provvisorio, e in cinque minuti quella legge avrà la mia firma. E tu, Thomas, sarai morto per nulla.
— Serpente della mia mente, io non muoio per il Nulla, per l’Ouden! Non firmerò! Adesso vedo la Cosa che tentate di uccidere, e per me è l’unica Cosa che conta. Me ne sono accorto molto tardi, ma non ritornerò sulla mia decisione. Avanti, guardie! Tagliatemi la testa, non fosse altro per non sentire più questi discorsi! Fuori dai piedi, maledetto fantoccio a molla!
Trascinarono Thomas su per i gradini del palco. E Pottscamp fuggi come in preda al terrore. Cosa? Cosa? Pottscamp che fuggiva come in preda al terrore? Possibile?
Quello sì che era uno spettacolo: l’uomo dal forte magnetismo personale, che si circondava di mistero, era sulla torre della morte, mentre il resto del mondo guardava. Era sempre lui a dominare, più ancora che al momento dell’ovazione che lo aveva salutato al suo pubblico ingresso a Cosmopoli.
Kingmaker e Proctor guardavano la scena dalla finestra, e si assolvevano. Per Proctor era facile: era stato programmato per assolversi.
Ma nessuno sa quello che provò Foreman, quando vide Thomas salire sul patibolo.
Pottscamp invece non provava niente. Era, naturalmente, una macchina priva di sentimento. Non aveva coscienza né compassione. Tutto questo non lo avrebbe toccato minimamente.
Non lo avrebbe toccato?
E allora, perché mai…?
Allora perché mai Pottscamp… COSA ?
Sedeva per terra, si lamentava e ululava come un antico ebreo. E si copriva il capo di cenere.
Sei pazzo. Lo faceva veramente?
Sì, lo faceva veramente.
Thomas More era stato Presidente del Mondo, re, per nove giorni. E ora sarebbe morto.
La pioggia che cadeva dal primo mattino era cessata, e all’improvviso vi fu una gran fretta di concludere. Gli uomini di Cathead, così si diceva, avevano saputo dell’improvviso cambiamento di orario. Stavano dirigendosi verso il centro di Cosmopoli tumultuando, ma con tutta probabilità non avrebbero fatto in tempo.
Tutta liscia, svelta, prestabilita, l’esecuzione avrebbe seguito il suo corso, e nulla avrebbe potuto impedirla.
Vi fu un’ondata di furore, poca cosa in quell’immensa folla, ma di una violenza selvaggia. Vi è sempre una simile ondata, piccola e come impazzita, che sale spumeggiando ad altezze vertiginose, del tutto sproporzionate alle sue dimensioni, avanza e colpisce pochi istanti prima che si rovesci, sul suo identico percorso, un’autentica ondata di marea di proporzioni cosmiche. è l’«onda anticipatrice».
Buff Shanty e Paul col suo sogghigno ne facevano parte, e ognuno dei due avanzava con la furia di molti uomini. Copperhead era con loro, anche se da bravo negromante doveva sapere che tutto era inutile, che lui stesso e tutti gli altri sarebbero morti. C’erano il ragazzo Adam, e altre trenta persone almeno, alcuni dei quali cittadini della Dorata Astrobia e non attaccabrighe venuti da fuori. Tutti cavalcavano l’onda, e tutti sarebbero morti.
Quell’irruzione improvvisa ebbe quasi successo. Nel loro impeto gli uomini riuscirono a sopraffare le Guardie meccaniche e a risalire i gradini del patibolo. Si scatenò un corpo a corpo e per ogni gradino che salivano uno di loro moriva. Il ragazzo Adam era avanti a tutti; riuscì a salire fino in cima al patibolo e a sfiorare Thomas. Poi fu afferrato dagli artigli delle Guardie meccaniche e scagliato giù con forza tremenda. E tuttavia risali di nuovo, sebbene mezzo massacrato. Shanty, Paul, Copperhead e Adam, e le altre trenta o più persone, morirono intorno al patibolo e sui suoi gradini, rendendoli scivolosi col proprio sangue. Il ragazzo Adam, in particolare, morì magnificamente com’era sua abitudine.
Ma l’onda, in realtà, era priva di una massa sostanziale e le Guardie erano troppo numerose e troppo forti. La spinta si arrestò e si frantumò, e poi si spense in un rigurgito sanguigno.
Ma Evita, sapendo che non ci sarebbero riusciti, consapevole fin dal primo istante dell’insuccesso, non si era precipitata verso Thomas in cima alla piattaforma, ma verso Fabian Foreman, fermo su un lato di Piazza Centralità.
— Zehheeroot, Is-Kerioth! — gli urlò, perché entrambi appartenevano alla vecchia razza: — Attento, Iscariota! — Poi lo artigliò, come una leonessa che avesse ghermito una capra terrorizzata, insanguinandogli il viso con le unghie e mordendolo alla gola fino a farne zampillare un getto vermiglio.
— Lasciami, strega! — urlò Foreman, folle di paura.
— Non sono una strega, ma una furia inesorabile — esclamò Evita, quasi ruggendo. — La disgrazia ricada su colui che l’ha originata. Hai raccontato una storia a Thomas, e anch’io te ne racconterò una, mentre stai per morire. — E continuò a infierire su di lui, ringhiando. — Certi primitivi uccidevano un cane perché accompagnasse l’eroe nel suo viaggio verso la morte. Io sono quei primitivi. E tu sei quel cane!
Lo stava letteralmente smembrando. Gli aveva spezzato le spalle, forse anche la schiena. Lo faceva a pezzi.
— No, no, donna! — annaspò Foreman, mentre il sangue gli schizzava dalla gola squarciata. — Io sono il maestro, la guida. Dev’essere così. La violenta reazione, il lievito trascendente restituiranno all’umanità il posto che le compete, e nascerà un nuovo mondo!
— Lo so — ribatté Evita, — io sono parte di quel lievito trascendente. Io sono il centro, l’origine di quella furiosa reazione, e ne gioisco! Per troppo tempo abbiamo avuto un cane malvagio come burattinaio, e non c’è da stupirsi che siano nati tanti guai.
Gli lacerò completamente il viso con un’unghiata da leonessa. Era un momento assai triste per Foreman, che non aveva mai apprezzato la violenza ed era sempre stato un generale da tavolino, non da battaglia.
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