C’erano i mercatini dei sadici, e qui i fanciulli venivano venduti. Lo stesso Diavolo era fuggito da uno di questi mercati, vomitando, qualche anno prima. C’erano i cacciatori di topi, i macellai di topi, e il mercato dei topi per i mangiatori di topi. L’unico modo di sconfiggere i topi era mangiarli. C’era il giorno della bandiera gialla (di solito il lunedì). Questo significava che la peste si era scatenata un’altra volta in Cathead. Normalmente, faceva le sue vittime e si estingueva in quattro giorni. Poi ricompariva un’altra volta, e la bandiera gialla sventolava di nuovo. La vaccinazione era gratis per tutti, ma pochi, a Cathead, l’accettavano.
C’era Betlehem, che all’inizio era stato un manicomio, per diventare poi una fattoria manicomio, ed era cresciuta al punto da diventare un quartiere manicomio, e ora si estendeva su più di un terzo di Cathead. Otto milioni di persone vivevano nel quartiere di Betlehem. Ciascuna di esse aveva un certo grado di pazzia, ma vivevano (e morivano) più o meno come tutti gli altri cittadini di Cathead.
— Copperhead — disse Thomas, mentre stavano camminando uno accanto all’altro. — Guarda quegli uomini laggiù, che stanno lavorando in quel cantiere. Un buon capomastro ai miei tempi avrebbe fatto molto meglio. Come mai?
— Quando fanno un lavoro disorganizzato soffrono di più. La massima sofferenza è una delle prerogative di Cathead.
— Walter, come mai i corpi vengono lasciati insepolti per le strade?
— Per ricordare che esiste la morte. Se segui il concetto fino in fondo, vedi che questo ti ricorda l’esistenza della vita.
— Copperhead, possibile che non ci sia nessuno sano di mente in tutta Cathead? Perché questa gente non ritorna alla vita dorata di Astrobia?
— Questa è la loro scelta.
— Ma si espande, si espande! Un numero sempre maggiore d’individui lascia ogni giorno il mondo della perfezione.
— Meglio vivere nella miseria che non vivere del tutto.
— Ma c’è la vita, la vita più meravigliosa che ci sia mai stata, nelle Città Dorate. Questi esseri che muoiono così miseramente possono riaverla in un’ora. Perché non lo fanno ? . Maledizione, tu stai ridendo!
Thomas parlò ad alcuni degli uomini più influenti di Cathead: Battersea, Shanty. Chiese ad ambedue, un mucchio di volte, per quale ragione si trovassero in quel luogo. Lo guardarono arricciando il naso con disprezzo e risposero con parole enigmatiche, che Thomas non riuscì a capire. Gli voltarono le spalle e sputarono al suolo ogni volta che lui suggerì che gli sputasangue di Cathead dovevano ritornare nell’Astrobia civile.
— Sei pazzo! — gridò Battersea.
— Sei cieco! — gridò Shanty.
— Devo essere davvero pazzo, se ho pensato di potervi parlare! — imprecò Thomas. — Vorrei tanto potervi dire: «Crepate pure nella vostra miseria e accidenti a voi! » Ma si sta espandendo! Sta divorando l’intero pianeta. Giuro che non appena avrò assunto il potere farò radere al suolo ogni singolo mattone, ogni singola pietra di questa città, e distruggerò qualsiasi essere vi si trovi!
— Cieco — disse Shanty.
— Pazzo — disse Battersea.
Thomas si recò da Rimrock, l’ansel, l’unica mente di Cathead per la quale provava rispetto. Lo trovò (affaticato dopo tre giorni di lavoro subacqueo) mentre giocava a fan-tan, la tombola cinese (tutti gli ansel si facevano spellare vivi al fan-tan).
— Caro Thomas — lo salutò Rimrock, — ti sto presentando come il più grande eroe alla gente, agli ansel e a tutte le altre creature di Cathead. Ho dichiarato a tutti, come del resto anche Battersea, che tu sei, naturalmente in questo momento, il più grande sciocco in circolazione. Ma ho anche detto che alla fine della tua vita ci sarà un momento in cui non sarai sciocco. Ho fatto notare che molti individui non dispongono neppure di un singolo momento in cui non siano sciocchi. Contribuisco con ogni mezzo alla tua edificazione.
— Ti giudico meno pazzo degli altri uomini di Cathead, Rimrock — disse Thomas. — Dopo tutto, voi ansel non siete tenuti in molta considerazione nell’Astrobia civile. Voi non avete una vita dorata alla quale potreste ritornare.
— Ne sei sicuro, Thomas? Tu non sei mai vissuto nelle profondità dell’oceano, altrimenti non lo diresti. Anche l’oceano ha una sua perfezione, e io l’ho abbandonato volontariamente per avere qualcosa in cambio.
— Ma perché, Rimrock? Mi sembra che quella che hai lasciato sia una vita completamente libera. Perché scambiarla con la miseria e la schiavitù di Cathead?
— No, Thomas, la vita nelle profondità dell’oceano è molto simile alla vita sulla Dorata Astrobia, perfino troppo. Laggiù perdi l’identità. Sei un pesce del banco, e la tua identità si fonde in quella del banco. Non ho mai rimpianto di essere diventato un uomo, e non ho mai rimpianto di essere diventato un uomo di Cathead. Ma tu mi fai un torto pensando che non abbia rinunciato a nulla per venire qui. lo ho rinunciato a tanto quanto gli altri. Anche se naturalmente è un po’ vergognoso venire pescato e mangiato come un pesce, cosa che mi sarebbe potuta succedere rimanendo com’ero.
Thomas si allontanò disgustato da tutte quelle teste dure di Cathead. Avevano respinto la felicità loro offerta su un piatto d’argento, ogni giorno, e le avevano preferito la miseria e la desolazione. Stavano commettendo un suicidio senza ragione alcuna, o forse soltanto per un puntiglio infantile. E stavano inoltre avvelenando e distruggendo un intero pianeta con la loro follia. Dovevano essere sterminati, come quei topi che essi stessi si rifiutavano di sterminare. Thomas camminò a lungo, immerso in profondi pensieri. Soltanto a vedere quello che lo circondava si sentiva male. Era lui il dottore, e la malattia sembrava follemente appellarsi a lui perché la lasciasse prosperare, anche se questo significava la morte dell’ospite.
— Sarebbe insopportabile che in questi miserabili e in ciò che li accomuna ci fosse qualcosa di valido. Se così è — concluse, — allora è al di là della mia comprensione.
Una povera donna si avvicinò a Thomas e lo toccò, mentre stava camminando in un vicolo fangoso alla periferia di Cathead.
— Tu sarai re per nove giorni, e dopo morirai — bisbigliò la donna, e piangeva sommessamente.
— Non fare di me un Salvatore, strega — borbottò Thomas. — Non ho niente a che fare con tutte queste storie di grandi destini.
Così camminando, Thomas arrivò nei pressi di un piccolo castello medievale, piccolo a confronto dei giganteschi condominii di Cathead.
— Che cos’è quell’edificio laggiù — domandò a un uomo che tossiva. — È un palazzo di esposizione? Un hobby? La residenza di qualche vecchio pazzo? Ci vive qualcuno?
— Nessuno vive là dentro — rispose l’uomo che tossiva. — Là sta morendo il Metropolita di Astrobia.
— Era ora che quel vecchio incartapecorito si decidesse a morire — commentò Thomas.
Bussò alla porta del vecchio nido di cornacchie, ma non ebbe risposta, a parte, forse, un debole lamento e un rantolo, in qualche punto all’interno del castello. Thomas aprì la porta ed entrò. Attraversò la prima e la seconda stanza senza trovare nessuno. Infine arrivò in un’ultima stanza, dove si trovava un vecchio letto cadente sormontato da un baldacchino corroso e stinto.
Un uomo nero, molto vecchio e magro, giaceva sul letto. Si potevano contare tutte le sue ossa: era ridotto a uno scheletro. Un odore fetido lo circondava, e Thomas ne ricavò l’impressione che fosse morto.
Il vecchio uomo nero portava al dito l’anello del pescatore, quell’anello che è portato solo da una persona. Non c’era nessuno ad assisterlo. Questo era il Metropolita (l’ultimo, si diceva), il Papa di Astrobia.
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