Il monaco raccontò la storia della creatura spaziale che veniva da Gootz, la quale, arrivata in quello stesso albergo di Goslar, si era accovacciata in mezzo al pavimento. Così pensarono che si trattasse di una grande forma di cacio, e la tagliarono in cento fette, e ogni cittadino di Goslar mangiò la sua. La creatura di Gootz ancor oggi fa patire le pene dell’inferno a tutti: non può ricostruire il suo corpo e si rifiuta di uscire da essi. Per questo tutti i cittadini di Goslar hanno quell’aria verdolina sul viso.
L’imperatore Carlo 612 ne raccontò un’altra. Walter Copperhead raccontò quella del tizio che corteggiava una donna perché voleva esaminarne le budella. — Poi te le rimetto — diceva. — Te le ricucio esattamente dove sono, ma fammele vedere, almeno una volta. — No, no e poi no — ribatteva la donna. — Credevo di averle sentite tutte dai miei spasimanti!
Paul raccontò la sua. L’uomo che aveva perduto la moglie (eccettuate le ossa) ne raccontò una anche lui. E Thomas si esibì in tutta una serie di storielle facete, citando le parti oscene in latino. Infine, anche Rimrock disse la sua, un imbroglio oceanico talmente oltraggioso da mozzare il fiato e far diventare vérde il fegato.
Infine il barile fu vuoto. In quel momento la guardia notturna di Goslar lanciò uno squillo di tromba, a indicare che tutto andava bene, quella notte. Un istante dopo suonò ancora, freneticamente, a indicare che non tutto andava poi così bene, che c’era qualcosa che si agitava là intorno, in cerca di preda.
L’imperatore Carlo e tutti i viaggiatori si addormentarono sulla paglia (un sonno interrotto di tanto in tanto dalle risatine di Rimrock: un niente agita questi ansel, che poi restano eccitati molto a lungo), e i teschi di cinquecentonovantotto imperatori li fissavano con le loro orbite vuote, dalle nicchie sulla parete.
La Dorata Astrobia si mostrava a tutti con un sorriso sul volto. Ma dietro, nascosto, aveva un pungiglione nella coda.
Si svegliarono al suono delle trombe. Alcune erano vere trombe, suonate dalle guardie di notte e da quelle di giorno al cambiare dei turni, oppure dalla speciale guardia d’onore, altre non erano trombe ma uccelli trombettieri che si associavano agli squilli di tromba non appena li udivano. Gli uccelli trombettieri erano molto più intonati.
L’imperatore Carlo si alzò maestosamente per dare inizio al suo secondo giorno di regno, sempre che ne avesse visto la fine.
— Erano trenta giorni che alla corte di Goslar non si vedevano tanti importanti personaggi tutti insieme — disse Carlo. — Ehi tu, conia una medaglia!
— Non so come si fa a coniare una medaglia — replicò l’uomo.
— Se trovi qualcuno che lo sappia fare, digli di coniare una medaglia per celebrare l’evento — insisté l’imperatore. — Digli che incida il mio bel profilo, e il motto Vennero a me come aquile. Qui c’è un santo, morto sulla Vecchia Terra, con la bambina demonio di Astrobia, un negromante dai rari poteri, un ansel trascendente, un prete di sant’Arpionaio, un’incarnazione che brucia corpi uno dietro l’altro, e il pilota Paul, che è un vecchio stregone dalla faccia storta. Erano trenta regni che non si vedevano tanti personaggi illustri alla corte di Goslar, in una sola volta, ed erano trenta regni che non si vedeva, alla stessa corte, un imperatore così aitante.
— Ma questi trenta regni, quanto sono durati tutti insieme? — s’informò Thomas.
— È stato quello che noi chiamiamo un «anno rapido» — disse l’Imperatore. — Forse il più rapido di tutti.
Il monaco dalla tonaca verde, padre Oddopter dell’ordine di santo Arpionaio, celebrò la messa per gli abitanti di Goslar e per tutti quelli che si erano precipitati lì non appena si era sparsa la notizia. Erano con un sermone che li stupì per la sua intelligenza: un miracolo che li colse all’improvviso, vivido e soprannaturale, alla consacrazione. Fu come se il Cielo si fosse aperto a un comando e lo Spirito Santo fosse disceso su di loro. Il che infatti avvenne.
Anche Thomas, per scettico che fosse diventato, senti lo stimolo della fede risvegliarsi in lui. Era un mattino miracolosamente bello: perché dunque non credere, almeno per un po’, a un miracolo? Come lui stesso diceva, Thomas riscopriva spesso, la mattina e per qualche minuto, la sua fede.
— Qui a Goslar — spiegò il monaco a Thomas, dopo la messa, — hanno gettato le basi di un regno simbolico, finché il vero regno sarà riscoperto e la paralisi dorata sarà trascorsa. Felice morte a te, caro Thomas.
— Fai troppo presto ad augurare una felice morte alla gente — ribatté Thomas. — Anche la tua messa di questa mattina, «Per quelli fra i presenti che moriranno in questo giorno»! E una messa da rivolgere al mondo, e non alla piccola Goslar dove gli abitanti sono meno di cento ed è molto improbabile che qualcuno muoia proprio oggi.
— Era rivolta al tuo gruppo e a me stesso. Molti di noi moriranno, oggi. Se non ne fossi stato sicuro, avrei detto un’altra messa. Anche il negromante afferma che molti di noi che ci recheremo sulla montagna oggi moriranno.
— è stata una cosa molto carina, anzi, un mucchio di cose carine — disse Thomas, mentre la sua fede del primo mattino cominciava a dileguarsi. — Da bambino la vivevo, e da giovanotto la rispettavo ancora. Adesso, nella maturità, la chiamo «La più nobile di tutte le superstizioni». La Chiesa è vissuta molto a lungo e sembra, secondo la Storia, che per somma ironia io stesso sia stato di fondamentale importanza per la sua sopravvivenza. A quanto so, nell’Astrobia civile essa è morta nella vergogna; credo che morirà, in pace e senza nuocere a nessuno, anche qui nelle terre incolte.
— Tu che sei destinato a morire entro quest’anno, Thomas, sappi che non morirà affatto. E sappi inoltre che nulla muore in pace nelle terre incolte. Qualsiasi cosa, qui, quando viene minacciata di morte, urla e si difende fino alla fine, e poi ritorna in vita, ancora e ancora. Il più miserabile dei serpenti lotta contro la morte fino all’ultimo, qui nelle terre incolte; credi che le cose sublimi siano da meno? In questo luogo niente giace quietamente in attesa della morte. Ma perché hai tanta paura di lasciarti cogliere dalla superstizione? Non è forse una tua superstizione quella di scalare le montagne?
— Forse lo è, monaco verde. La sento come una spinta irresistibile dentro di me; devo farlo. È l’unica cosa che rimprovero ai cittadini della Dorata Astrobia: non hanno mai levato gli occhi alla montagna. è come se fossero ciechi, a questo riguardo, ma dobbiamo ritenerlo un errore? Immagina che tutti, al mondo, siano ciechi ai colori, eccettuati pochi bambini. Il problema di Astrobia è simile a questo: nel suo caso, il poter vedere i colori ha importanza solo per i bambini. Che interesse ci può essere nel guardare un mucchio di rocce? Lascerò perdere tutte queste bambinate quando sarò Presidente del Mondo, ma oggi la montagna mi attira come un’esca tra le più appetitose.
— Faremo bene a incamminarci, caro Thomas — disse Rimrock, l’ansel. — Io salirò su per la montagna lungo una via d’acqua che conosco, che scorre dentro di essa, fino alla sorgente principale. È una montagna piena d’acqua. Copperhead sarà in cima alla montagna prima di te, e giunto lassù eseguirà alcune abominazioni. E poi se ne andrà. Anche oggi vi sgombreremo la strada.
— Ma non servirà a molto. Molti di voi moriranno ugualmente sulla montagna — replicò Copperhead, il negromante. Ed entrambi se ne andarono.
— Vuoi che ti uccida quell’affare, Scrivener, che adesso è giù nel box delle macchine? — domandò l’imperatore Carlo 612.
— Naturalmente no — rispose Thomas, bruscamente. — Ridammelo. è un mio consigliere, fa parte del mio gruppo. è stato uno scherzo crudele quello di rinchiuderlo nel box, ieri sera. Certe libertà che amano prendersi i potenti mi sono sempre sembrate di pessimo gusto.
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