Raphael Lafferty - Maestro del passato

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Maestro del passato: краткое содержание, описание и аннотация

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Il “migliore dei mondi possibili” è Astrobia, pianeta costruito sul modello dell’Utopia, dove agi e ricchezze sono a disposizione di chi li vuole. Ma proprio quando il sogno sta per realizzarsi ecco scoppiare una crisi inspiegabile: perché la gente volta le spalle al benessere e sceglie di vivere nel pericolo, negli stenti? I capi di Astrobia non lo sanno, e decidono di chiedere aiuto al passato, cercando nella Storia un leader che possa salvare la loro civiltà perfetta. Inizia così uno dei romanzi più ironici e profondi degli ultimi anni. Un’opera inesauribile, allegorica e umana, che mostra realtà e sogno, mostri e astronavi, assassini meccanici e individui programmati. Un futuro di paria e di dominatori, dove il sublime si alterna al mediocre e dove sovrastano sulla scena figure misteriose: il Rimrock, la creatura oceanica, Evita, la strega bambina, e soprattutto il fondatore e insieme il più grande avversario dell’Utopia: Thomas More, il “Maestro del passato”.
Nominato per il premio Hugo in 1969.

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Così la dinastia sì perpetuava.

Carlo 612 era sul trono da meno di venti ore quando il gruppo di Thomas arrivò. Egli era giunto nel colmo dell’oscurità della notte precedente, ed era stato incoronato da un cacciatore d’uccelli muto dalla nascita.

(Questa è la storia, anche se è andata un po’ per le lunghe.)

Carlo 612 aveva soltanto diciott’anni, ed era un giovane dagli occhi sbalorditi e dal sorriso spaventato. Ma comprese subito chi erano i componenti del gruppo, ancora prima che il gruppo stesso arrivasse. Come imperatore, era dotato di speciali poteri di comprensione. Accennò al gruppo dei visitatori di entrare nella grande baracca, poi indicò un’ampia parete alla quale appoggiare l’equipaggiamento, e un angolo dove ammucchiare la paglia per i loro letti, perché questo non era soltanto il palazzo reale, ma anche una locanda.

Evita gettò più di cinquanta chilogrammi di carne d’idra demonio nel grande calderone che ribolliva al centro della sala. Aveva portato quel pezzo di carne che pesava più di lei, insieme a molte altre cose, attraverso un terreno estremamente accidentato. Era forte come un mulo.

Poi l’imperatore Carlo cominciò a dare ordini, com’era suo diritto e dovere:

— Maxwell, Slider, il prete Oddopter, Paul, Thomas e la bambina demonio possono dormire tutti qui — disse l’imperatore. Non si erano ancora presentati, ma lui era l’Imperatore e aveva il dono di sapere ogni cosa di quelle persone. Inoltre, Rimrock era arrivato prima di loro, aveva fornito a Carlo i nomi e una descrizione di tutti i componenti del gruppo. — Scrivener, invece, no — continuò l’imperatore. — Lui non potrà usare la sala comune. Dev’essere alloggiato nel box delle macchine; li riceverà il cibo. Non è una persona.

— Cosa sei, un Programmato, Scrivener? — gli chiese Thomas. — Non lo sapevo.

— Non so neppure io la risposta — si lamentò Scrivener. — Lo sospettavo, e c’è una leggenda nella nostra famiglia che parla di antenati programmati. Ma a chi mai dovrebbe importare? Non c’è più nessuna differenza tra i Programmati e le persone normali. Vorrei proprio non essermi mai unito a questa disgraziata spedizione, e non intendo essere trattato come un inferiore!

— Io sono l’Imperatore e conosco queste cose — ribatté l’imperatore ragazzo Carlo 612. — Scrivener è una macchina e perciò alloggerà nel box delle macchine. Non facciamo una montagna di un granello di sabbia. Fatto sta che le definizioni hanno perduto il loro valore, su Astrobia, e uno dei doveri di un imperatore salico è quello di restaurarle e di chiarirle.

— Thomas, usa la tua autorità e non assoggettarti a questo pagliaccio! — gridò Scrivener. — Tu sei un uomo importante e io sono un membro del tuo gruppo!

— Ho già avuto i miei problemi con i sovrani in un altro luogo — disse Thomas, — e la mia regola è di non contraddirli mai nelle piccole cose: è già abbastanza difficile farlo nelle grandi. Non interferisco mai con un sovrano nelle faccende di minore importanza. E tu sei di minore importanza, Scrivener.

Così, Scrivener fu costretto a dirigersi, con la furia in corpo, verso il suo alloggio nel box delle macchine.

Carlo 612 stava lustrando il teschio di Carlo 611, l’imperatore ucciso il giorno prima dagli Assassini programmati. Il cranio era stato in parte fracassato dal colpo mortale, e il Carlo attuale doveva maneggiarlo con delicatezza. Adoperava un impasto di creta bianca e tentava d’incollare le schegge più grandi. Evita entrò e cominciò a sistemare anche i frammenti più piccoli, ripulendoli abilmente dalle incrostazioni di sangue vecchie di un giorno.

— Sei di sangue blu, bambina demonio? — le domandò il giovane imperatore, stupito. Sembrava più giovane di lui, e se la leggenda di Evita era vera anche solo in parte, ciò era impossibile. — Tutti quegli scaffali rigurgitanti di teschi lungo la parete si rivolterebbero, se un solo frammento venisse toccato da mani plebee. Invece sembrano tutti felici nella loro nicchia. Cosa? cosa? Tu eri la consorte di uno di loro? E quel teschio cerca di cantarti una canzone, come meglio può cantarla un teschio…

«Ma ce ne sono più d’uno che vogliono farti la serenata! Tu devi essere molto vecchia! Molto vecchia! Vedo che Carlo 112 si agita per te. Tu sei Stefania, la regina dagli occhi verdi! Ma Carlo 205 sta anche lui scampanellando, agitandosi nella sua nicchia. Per cui, tu sei anche la regina Brigida ! E Carlo 315 è felice perché tu sei qui. Tu sei allora la regina Candy Mae ! Com’è possibile che tu sia tutte loro? Io ti ho chiamata bambina demonio e con ragione. Ma loro, invece, ti amano tutti! »

— Vorrei che fosse vero — disse Evita. — Ma avrai anche notato che Carlo 313 ha girato la faccia al muro. Povero Carlo! è stato tutto un equivoco, Carlo, proprio così. Ed eccone altri due che schiamazzano, non certo di felicità. Sono stata tante volte una buona regina, e altrettante volte sono stata una regina cattiva. Ritorno spesso a Goslar, a rinnovare me stessa. Sono stata un mucchio di regine.

— E allora devi esserlo ancora una volta! — pianse Carlo. — Il prete Oddopter ci sposerà subito.

— Oh, no, i miei giorni come regina sono finiti. Sto impegnando tutta me stessa in questa avventura con Thomas e lo seguirò per parecchi mesi, finché il mio impegno cesserà con la sua morte. Dubito che tu sarai ancora vivo a quell’epoca, Carlo, comunque verrò a controllare.

I teschi erano uno spettacolo imponente nelle loro nicchie, lungo la rozza parete. Non tutti i seicentoundici si trovavano li. In realtà ce n’erano tredici di meno, e le loro nicchie vuote spiccavano. Questi erano gli imperatori precipitati dalle vette più alte in abissi profondi, o bruciati al punto che neppure le ossa erano state recuperate, o morti in qualche altro modo maciullante per mano degli Assassini programmati. Ma la stragrande maggioranza era lì: la biblioteca memonica dell’epopea orale della grande dinastia.

— Più di uno, tra voi che siete giunti qui, è un taibhse — disse Carlo. — Io sono Imperatore e perciò ho l’intuito di queste cose. Maxwell abbandona dietro di sé dei corpi, e Thomas, invece, delle teste. Evita è vissuta troppo a lungo per essere così giovane, e questo è il caso che mi riesce più incomprensibile. Come ti è possibile, bambina dal cuore tenebroso?

— Non ti hanno insegnato nulla all’Università, Carlo, ragazzo mio? — gli chiese Evita. — Da più di duecento anni è possibile prolungare la vita, su Astrobia. Dicono che la cosa non sia stata ancora provata in via definitiva, ma negli ultimi duecento anni hanno compiuto un mucchio di esperimenti, e io sono uno di questi esperimenti. Ma chi vuole vivere così a lungo? ci si chiede. Nove persone su dieci, su Astrobia, chiedono di essere eliminate molto prima che la loro vita normale sia giunta al termine. Trovano che la vita li stanca troppo… Il cosiddetto popolo dorato! Al diavolo, io no di certo. Più si porta all’estremo la perfezione, più questa perfezione ci sazia. Ho detto a Thomas, il Santo, che è questo, e non Cathead, o il Barrio, o la ribellione nelle terre incolte, il male di Astrobia. La gente è talmente esausta di vivere in un mondo perfetto, che chiede di essere eliminata, ogni anno, a un’età più giovane. Molti lo chiedono quando sono ancora fanciulli. Cosa c’è di perfetto in una vita che la gente si rifiuta sempre più di vivere?

— Ho dimenticato la tua leggenda, bambina demonio — disse l’imperatore Carlo, — anche se sono sicuro di averla imparata quando ho studiato le leggende di Astrobia, a scuola. Non c’è forse una frase, nella tua leggenda, che dice «Andare all’inferno dentro un cesto? »

— Sì, c’è infatti, Carlo, ragazzo mio. Avevo dei metodi ingenui, e dirigevo la mia rivolta su obiettivi ingenui — dichiarò Evita. — I miei maestri dicevano che l’inferno non esisteva, e neppure il Demonio, e questo mi faceva arrabbiare. Sapevo che si sbagliavano: avevo una certa conoscenza personale di entrambi. Dicevano che non esisteva il peccato. In particolare affermavano che i fanciulli erano incapaci di commettere peccati mortali, e sapevo che in questo si sbagliavano peccaminosamente.

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