Frederik Pohl - Gli antimercanti dello spazio

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Sono passati trent’anni da quando Frederik Pohl inventò quei
che Kingsiey Amis nelle sue
mise al disopra dello stesso
di Orwell. Fu allora che dagli uffici di Madison Avenue le grandi compagnie pubblicitarie assunsero il controllo della Terra, ma fecero lo sbaglio di mandare un’astronave sul pianeta Venere. Oggi Venere è il rifugio dei refrattari e dei ribelli, il simbolo dell’anti-pubblicità, la bandiera dei nemici della produzione e del consumo. I rapporti tra i due pianeti si fanno ogni giorno più difficili. La situazione insomma è così tesa, che Frederik Pohl ha sentito la necessità di scrivere un nuovo romanzo sullo scottante argomento. E l’ha scritto.

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Ancora nessuna espressione. — Voglio dire — chiarii, — voi due, e forse anche Dambois, vorreste prendere il controllo dell’Agenzia con i vostri investimenti. È giusto?

Lentamente, glacialmente, l’espressione tornò sul viso di Mitzi e di Haseldyne. — Che mi venga un accidente — tuonò Haseldyne. — Ci ha preso con le mani nel sacco, Mitzi.

Lei inghiottì, poi sorrise. Non era un buon sorriso… c’era troppa tensione nei muscoli della mascella, e le labbra erano troppo strette. — Sembra proprio di sì — disse. — Bene, Tenn, cosa intendi fare adesso?

Era un sacco di temo che non mi sentivo così bene. Perfino Haseldyne mi sembrava adesso un grassone innocuo e amichevole, non un mostro furioso.

Più amabilmente che potei, dissi: — Niente che non vogliate anche voi, Mitzi. Sono vostro amico. Tutto quello che desidero, è un po’ di amicizia da parte vostra.

Haseldyne guardò Mitzi. Mitzi guardò Haseldyne. Poi entrambi si voltarono a guardare me. — Suppongo — disse Haseldyne, scegliendo con cura le parole, — che quello che dobbiamo fare adesso e discutere di quanto volete che vi siamo amici, Tarb.

— Con piacere — dissi. — Ma per prima cosa… non avete una Mokie?

4

Il giorno seguente, all’Agenzia, la temperatura era salita di parecchi gradi. Nel pomeriggio si era fatta tropicale, perché Mitzi Ku mi aveva preso sotto la sua protezione. Cosa rendesse Mitzi Ku d’improvviso una potenza tanto grande, nessuno lo sapeva con esattezza, ma le chiacchiere in giro non lasciavano dubbi in proposito. Non se ne parlò più di rimettermi a fare il galoppino.

Perfino Val Dambois mi trovò degno del suo amore. — Tenny, ragazzo mio — mi salutò, dopo aver fatto tutta la strada fino al mio cubicolo agli Intangibili, — perché te ne stai in un buco come questo? Perché non l’hai detto? — Non l’avevo detto perché non avevo potuto superare la sua Terza Segretaria, era la risposta, ma era inutile dirgli quello che già sapeva. Potevo mettere una pietra sul passato… Per il momento almeno. Perdono per tutti, nessun rancore, un vero spirito timorato dalle vendite: questo era Tennison Tarb in quei giorni. Sorrisi a Dambois, e lasciai che mi mettesse un braccio sulle spalle, mentre mi riconduceva nel Regno Esecutivo. Ci sarebbe stato un giorno, lo sapevo, in cui la sua gola sarebbe stata esposta alle mie zanne… fino ad allora potevo perdonare e dimenticare.

Senza neppure dirmi una parola in proposito, mi misero in ufficio un distributore di Mokie. Niente di ufficiale: apparve semplicemente dal nulla, quel pomeriggio.

Però questo mi diede da pensare. Ingurgitare Mokie era senza dubbio innocuo (diavolo, io ne ero la prova!), ma si adattava all’immagine che dovevo offrire al mondo. Era una cosa molto da consumatore, e per di più, consumatore di una marca di un’altra Agenzia. Ci pensai su lungo la strada verso casa, nella macchina della compagnia. Quando diedi la mancia al pedalatore, il pensiero si cristallizzò, perché vidi l’espressione di risentimento nei suoi occhi, prima che la nascondesse, toccandosi il cappello. Tre giorni prima, dividevamo lo stesso peditandem. Potevo comprendere il suo risentimento. E l’implicazione era che, se fossi ricaduto in basso, lui e gli altri squali erano lì ad aspettarmi.

Così appena entrato battei sul serbatoio del sonno. — Rockwell — gridai. — Sveglia! Voglio chiederti una cosa!

Non era un cattivo ragazzo„ il vecchio Nelson Rockwell. Aveva ancora sei ore di sonno prima che venisse il mio turno, e tutti i diritti del mondo di mangiarmi vivo per averlo tirato fuori. Ma quando sentì quello che volevo, fu la gentilezza m persona. Un po’ sorpreso, forse. — Vuoi smettere di bere, Tenny? — ripeté, ancora mezzo addormentato. — Be’, certo è una buona idea. Non devi rovinare la tua grande occasione. Ma onestamente non capisco cosa c’entro io.

— Ecco cosa, Nels: non mi avevi detto che una volta eri nei Consumisti Anonimi?

— Sì, certo. Anni fa. Però ne sono uscito, perché non ne avevo più bisogno, quando mi sono rimesso in sesto e ho cominciato con le collezioni… ah! — disse, illuminandosi. — Ho capito! Vuoi che ti dica com’è, per decidere se provare anche tu.

— Quello che voglio, Nels, è andare ai Consumisti Anonimi. E voglio che tu mi ci porti.

Lui guardò con desiderio il letto caldo e invitante. — Accidenti, Tenny. È aperto a tutti. Non occorre che ti ci porti io.

Scossi la testa. — Mi sentirei meglio se andassi con qualcuno — confessai. — Per favore. E presto. So che domani sera c’è una riunione…

Lui si mise a ridere. Quando ebbe finito di ridere, mi batté sul braccio. — Hai un sacco di cose da imparare, Tenny. C’è una riunione ogni sera. È così che funziona. E adesso se vuoi darmi le calze…

Nels Rockwell era fatto così. Mentre si stava vestendo, pensai a come potevo restituirgli il favore. Avrei dovuto lasciare quel buco in condominio, naturalmente. Perché non pagare due o tre mesi in anticipo, e lasciarlo a lui per quel tempo, in maniera che potesse scegliersi il momento migliore per dormire? Sapevo che doveva fare il turno di notte proprio per questo; così avrebbe potuto premere un altro turno, magari guadagnare qualcosa in più…

Ma mi trattenni. Non faceva bene a un consumatore, mi dissi, fargli venire delle idee più grandi di lui. Se la cavava benissimo così. Potevo fargli più male a interferire.

Così tenni la bocca chiusa, ma in fondo al cuore gli ero davvero grato.

I Consumisti Anonimi si rivelarono una cattiva idea. Me ne accorsi nel giro di due minuti. Il posto dove Rockwell mi aveva portato era una chiesa.

Non che ci sia niente di male, in sé. Anzi, era abbastanza interessante: non ero mai stato dentro una chiesa, prima. Inoltre, potevo considerarla una specie di ricerca per il mio lavoro agli Intangibili, il che significava che potevo farmi rimborsare il taxi (anche se Rockwell avrebbe voluto prendere il pedibus).

Ma la gente! Non erano solo consumatori. Erano la feccia dei consumatori: vecchietti rinsecchiti con tic facciali; ragazze grassocce e accigliate, con quel tipo di pelle che viene a mangiare soia solida; e poca anche di quella. C’erano due giovani sposi che parlavano nervosamente fra di loro, a bassa voce, con un bambino in mezzo che urlava freneticamente senza che nessuno li badasse. C’era un uomo con la faccia da furetto, fermo vicino alla porta, come se non riuscisse a decidersi se andarsene o rimanere… be’, anche per me era lo stesso. Quella gente erano dei perdenti. Un consumatore bene addestrato è una cosa. Ma quelli esageravano. Erano stati allevati e istruiti a fare quello che il mondo chiedeva da loro: comprare le cose che noi delle Agenzie avevamo da vendere. Ma che facce ebeti, stordite! Ciò che faceva il buon consumatore era la noia. La lettura era scoraggiatale case non erano una gioia a stare… cos’altro potevano fare delle proprie vite, se non consumare? Ma quella gente aveva fatto una parodia di questa nobile (be’, abbastanza nobile) missione. Erano ossessionati. Quasi uscii a cercare una Mokie, per togliermi di dosso i brividi che mi davano, ma visto che ero venuto fin lì, decisi di rimanere per la riunione.

Quello fu il mio secondo errore, perché il seguito fu disgustoso. Per prima cosa, dissero una preghiera. Poi cominciarono a cantare alcuni inni. Rockwell mi diede una gomitata, facendomi segno di unirmi, mentre gracchiava con quanto fiato aveva in gola, ma io non ebbi neppure il coraggio di guardarlo in faccia.

Poi fu ancora peggio. Uno dopo l’altro, quei poveri disgraziati si alzarono e cominciarono a singhiozzare le loro squallide storie. Quella si era rovinata la vita a forza di masticare Nic-O-Chew, quaranta pacchetti al giorno, finché le erano caduti i denti, ed era stata licenziata perché non poteva più fare il suo lavoro… che era quello di telefonista. Quell’altro era diventato maniaco di deodoranti e dei rinfresca-alito, e aveva cancellato a tal punto ogni traccia di esalazioni corporee che adesso aveva la pelle screpolata e le mucose secche. La coppia col bambino frignante… erano mokomani come me! Li guardai esterrefatto. Come avevano fatto a lasciarsi cadere così in basso? Sicuro, anch’io avevo un problema con le Mokie. Ma il solo fatto di essere lì significava che stavo facendo qualcosa per quel problema. In nessun modo mi sarei lasciato ridurre a dei rottami come loro due. — Forza Tenny — mormorò Rockwell, dandomi una gomitata. — Non vuoi testimoniare?

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