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Frederik Pohl: Il lungo ritorno

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Frederik Pohl Il lungo ritorno

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Sono gli Hakh’hli. Sono alieni. Si nutrono di carne umana. Il lungo viaggio nello spazio era alla fine. Sandy, l’umano cresciuto su un’astronave degli extraterrestri Hakh’hli, era pronto al ritorno sulla Terra. Gli alieni erano animati dalle migliori intenzioni.. Solo la scienza Hakh’hli poteva risolvere il problema di trasformare i pianeti. I terrestri avevano bisogno di quel contatto. Ma c’era da fidarsi?

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— Li prenderemo prigionieri!

— Sì, fin qui ci ero arrivato. Ma poi?

— Poi dipenderà da ciò che decideranno le autorità civili — ribatté Boyle. — Non devi preoccuparti per questo, Lisandro! Non li ammazzeremo di sicuro. Abbiamo delle leggi ben precise per quanto riguarda i prigionieri di guerra.

— Sì, li mettete in campi di concentramento — disse Sandy annuendo. — E per quanto tempo avreste intenzione di tenerli lì?

— Per il tempo necessario — rispose Boyle a denti stretti.

Sandy rifletté per un minuto. — C’è anche un’altra possibilità, che non avete nemmeno menzionato — osservò. — Potreste semplicemente mandarli via, dicendo loro di andare a cercarsi un’altra stella. Ma immagino che abbiate già preso in considerazione questa ipotesi, e che abbiate deciso che non funzionerebbe.

— Esatto — si limitò a rispondere Boyle. A quel punto però intervenne Marguery, ignorando completamente l’espressione irata che le rivolse il suo collega.

— Non possono andarsene, Sandy — disse. — Come ti abbiamo già detto, si trovano in una situazione disperata. Polly ci ha detto che i propulsori centrali della nave stanno iniziando a perdere colpi… ha qualcosa a che vedere con un indebolimento della struttura a causa delle radiazioni. Comunque sia, Polly dice che il problema sta diventando sempre più grave e che non sanno se la struttura potrà reggere ancora per qualche centinaio di anni o solo per una decina.

— Di conseguenza — intervenne Boyle — non possono muoversi da lì.

— Capisco — disse Sandy annuendo. — Poveri hakh’hli — aggiunse. — Bene. C’è qualche altra cosa della quale dobbiamo parlare?

— Voglio solo essere sicuro che tu sappia esattamente ciò che devi fare… — iniziò Boyle.

— Lo so, Boyle — lo interruppe Sandy. — Allora siete convinti che vi saranno solo due hakh’hli nel modulo di atterraggio?

— Di solito rimangono dentro in due. Fanno a turno. Due vengono fuori per parlarci, mentre gli altri due rimangono nella navetta. — Boyle ebbe un attimo di esitazione. — Almeno — disse — spero che vada così. Potrebbe anche insorgere un piccolo problema.

— Qualcosa che avete deciso di non riferirmi? — domandò Sandy con ironia.

— Qualcosa che ti sto riferendo adesso — ribatté Boyle freddo. — Ormai sono circa dieci ore che non riescono a comunicare con la nave madre per via di certe interferenze.

— Che tipo di interferenze?

— Abbiamo piazzato un dirigibile ad alta quota proprio sopra le loro teste che continua a trasmettere segnali di disturbo — spiegò Boyle. — Non possono comunicare con la nave madre, e la nave non può comunicare con loro. È inutile che mi guardi a quel modo, Lisandro, non avevamo alternative! Non volevamo che combinassero qualche guaio solo perché non ricevevano più notizie tue e di Polly. È possibile quindi che si siano preoccupati fino al punto di rimanere tutti all’interno della navetta, anche se credo che attribuiranno la cosa a qualche causa naturale, come le macchie solari.

— Questo è ciò che speri — ribatté Sandy. — Be’, non si sta molto comodi là dentro, quindi credo che usciranno comunque non appena ne avranno l’occasione. — Rifletté per un istante, poi aggiunse: — Credo di essere in grado di fare ciò che mi chiedete, solo che mi riuscirebbe molto più facile se potessi entrare nella navetta da solo.

— No. Faremo le cose a modo mio. Marguery verrà con te.

Sandy scrollò le spalle. — E voi li farete prigionieri non appena escono?

— Naturalmente.

— Va bene — disse Sandy. — Allora c’è solo un piccolo particolare ancora. Avrò bisogno di una di quelle. — Indicò la pistola alla cintura di Boyle.

Boyle sollevò un sopracciglio in un’espressione sorpresa. — Per farne cosa? Sei stato tu stesso a dire che è inutile minacciare un hakh’hli.

Sandy gli rivolse un sorriso gioviale. — Però lo si può sempre uccidere — replicò. — E ora vorrei avere una penna e un foglio di carta. E vi prego di non rivolgermi la parola per un certo tempo. Penso che scriverò una poesia.

I finestrini dell’aereo erano talmente piccoli e appannati che i passeggeri non riuscirono a scorgere nulla del piccolo accampamento che si era formato attorno alla navetta hakh’hli, nemmeno in fase di atterraggio. L’unico a bordo che avesse un minimo di visibilità era il pilota.

Scrutando da dietro le spalle del pilota, Sandy vide per un istante una montagna, poi nuvole, cielo e ancora nuvole. Un attimo dopo il velivolo toccò la pista, con i propulsori che ruggivano più forte che mai in una violenta decelerazione. Sandy si ritrovò schiacciato contro il sedile.

Quando l’aereo si fermò, Sandy si slacciò rapidamente le cinture di sicurezza e allungò una mano per aprire lo sportello, ma Boyle lo fermò afferrandogli una spalla. — Mi avevi chiesto questa? — domandò, offrendogli la propria pistola.

Sandy si rigirò il pesante oggetto piatto fra le mani con aria meravigliata. Era un oggetto talmente piccolo, eppure talmente sinistro… — Questa è in grado di uccidere una persona? — domandò.

— Vuoi dire se è in grado di uccidere un hakh’hli? Potrebbe abbattere un elefante, Sandy. È caricata con pallottole esplosive.

— Mostrami come usarla — disse Sandy. Con una certa riluttanza, Boyle aprì lo sportello e condusse Sandy dietro l’aereo, dove non potevano essere visti dal modulo di atterraggio. Sandy guardò la navetta solo di sfuggita: la nuova pellicola protettiva era già stata installata e, più che altro, assomigliava a una mantide religiosa impacchettata per Natale.

Boyle non impiegò molto tempo per spiegare a Sandy della sicura, del mirino e del grilletto. Prima di lasciarlo sparare, lo avvisò del rinculo, consigliandogli di tenersi il braccio mentre sparava. Ciò nonostante, il rinculo fu una sorpresa per Sandy. Il colpo però risultò meno rumoroso di quanto non si fosse aspettato. Si era immaginato una violenta esplosione, ma invece sentì solo un secco schiocco. Molto più forte invece fu il boato provocato dalla pallottola esplosiva nel momento in cui colpì il bersaglio, o meglio il pezzo di asfalto della pista che Sandy casualmente colpì. Quando si dissipò il fumo, c’era un cratere di almeno 30 centimetri di profondità.

Sandy si girò verso Boyle scuotendo il capo. — Non va bene — commentò. — Se sbaglio mira, potrei far saltare in aria l’intera navetta.

— Be’ — disse Boyle — se vuoi ti posso anche dare delle pallottole normali invece di quelle esplosive, ma non so se sono sufficienti a uccidere un hakh’hli.

— Tanto loro non lo sapranno — rispose Sandy. — Dammi le pallottole normali.

Nemmeno un hakh’hli assolutamente ligio al dovere sarebbe stato disposto a passare interi giorni o settimane all’interno di un modulo di atterraggio se poteva farne a meno. Era troppo stretto, troppo essenziale, troppo scomodo, e sicuramente troppo noioso. Per ovviare a questo problema, gli umani avevano gentilmente trasportato fino a lì una specie di casupola prefabbricata per il loro uso. Era decisamente più piccola della sala comune che la coorte condivideva sulla nave, pensò Sandy con tristezza, ma del resto anche la coorte stessa era decisamente più piccola di quanto non fosse stata prima. Vide Chiappa che scrutava fuori dallo sportello della navetta, appena sotto la scaletta. Sandy lo salutò agitando una mano, ma non gli rivolse alcuna parola. Continuò a camminare fino alla casupola degli hakh’hli, dove si fermò sulla porta per guardare dentro.

Elena e Tania erano accovacciate l’una contro l’altra davanti a uno schermo televisivo. Fortunatamente però lo schermo non era in modalità di trasmissione; le due stavano semplicemente guardando i noiosi programmi televisivi terrestri, già da tempo depurati da ogni tipo di notizia che avrebbe potuto disturbare in qualunque modo gli hakh’hli. Tania si girò di scatto per fissare Sandy con espressione sorpresa. — Che cosa ci fai tu qui?

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