Erano già raccolti attorno alla tavola traballante, quando Joe con un cenno cortese lo invitò a entrare nella sala comune. Stormgren notò divertito che il suo custode ostentava un’enorme pistola, per la prima volta. I due accoliti erano scomparsi, e Joe sembrava intimidito. Stormgren capì subito che si trovava di fronte a uomini di ben maggiore levatura. Il gruppo di fronte a lui gli ricordò una fotografia vista una volta: Lenin e i suoi collaboratori ritratti nei primi giorni della rivoluzione russa. In quei sei uomini era evidente la stessa intelligenza, la stessa decisione ferrea, la stessa razionale freddezza dei capi russi. Joe e quelli come lui erano innocui: ma gli altri erano i veri cervelli che davano vita al movimento. Con un breve cenno di saluto, Stormgren si diresse verso la sola sedia libera, cercando di mostrarsi disinvolto e padrone di sé. Mentre si avvicinava, l’uomo anziano e robusto, seduto al lato più lontano della tavola, si protese in avanti e lo fissò con grigi occhi penetranti. Quegli occhi misero in tale disagio Stormgren che, contrariamente a ciò che aveva deciso di fare, parlò per primo.
«Immagino che siate venuti per porre le vostre condizioni. Quale sarebbe il mio riscatto?»
Osservò che in fondo alla stanza qualcuno stava stenografando le sue parole. Tutto aveva l’aria molto burocratica. Il capo rispose con spiccato accento gallese.
«Potete anche metterla così, signor Segretario Generale. Ma noi vogliamo informazioni, non denaro.»
Era così, dunque, pensò Stormgren. Era prigioniero di guerra, e quello era il suo interrogatorio.
«Voi conoscete i nostri scopi» riprese l’altro, con la sua voce cantilenante. «Chiamateci un movimento di resistenza, se preferite. Siamo convinti che, prima o poi, la Terra dovrà battersi per la sua indipendenza, ma la lotta può essere condotta solo col sistema del sabotaggio e della disobbedienza civile. Vi abbiamo rapito, in parte per dimostrare a Karellen che facciamo sul serio e siamo ben organizzati, ma soprattutto perché voi siete un uomo ragionevole, signor Stormgren. Assicurateci la vostra collaborazione e sarete rimesso in libertà.»
«Che cosa volete sapere esattamente?» domandò Stormgren, cauto. Quegli occhi straordinari sembravano frugargli fino in fondo al cervello. Erano occhi diversi da quanti ne avesse mai visti. La voce cantilenante ri-prese: «Sapete chi o che cosa sono realmente i Superni?»
Stormgren sorrise. «Credetemi» disse «sono desideroso quanto voi di scoprirlo.»
«Risponderete, dunque, alle nostre domande?»
Si udì un lieve sospiro di sollievo da parte di Joe, e un mormorio di attesa si diffuse per la saletta.
«Noi abbiamo un’idea generica» riprese l’altro «delle circostanze in cui incontrate Karellen. Ma sarà meglio che ci descriviate i vostri incontri senza omettere niente d’importante.»
Cosa, questa, abbastanza innocua, pensò Stormgren. L’aveva già fatto molte volte e avrebbe avuto l’apparenza di una collaborazione. Erano cervelli acuti quelli che aveva davanti a sé e chissà che non scoprissero qualcosa di nuovo. I sei uomini avrebbero fatto tesoro di qualsiasi cosa lui avesse detto, e tra quello che Stormgren poteva dire non c’era assolutamente niente che potesse danneggiare in qualche modo Karellen. Si frugò in tasca e ne tolse una matita e una vecchia busta gualcita. Schizzando rapidamente un disegno, cominciò a parlare. «Saprete, naturalmente, che un piccolo ordigno volante, senza mezzi manifesti di propulsione, viene a prendermi a intervalli regolari per trasportarmi a bordo dell’astronave di Karellen. Esso penetra nel ventre della nave, e voi avete senza dubbio visto i film che sono stati ripresi sull’operazione. La porta si riapre — ammesso che si voglia proprio chiamarla porta — e io entro in una saletta dove ci sono un tavolo, una sedia e uno schermo televisivo. Più o meno è così.»
Spinse il disegno verso il vecchio gallese, ma gli strani occhi non si volsero al foglio. Erano sempre fissi sulla faccia di Stormgren e, mentre questi li guardava, parve che qualcosa mutasse nelle loro profondità. La stanza si era fatta a un tratto silenziosa, e Stormgren sentì alle sue spalle il respiro rauco di Joe.
Perplesso e seccato, il Segretario Generale si voltò a guardare e cominciò a capire. Confuso, appallottolò la busta, la lasciò cadere e ci mise sopra un piede.
Adesso sapeva perché quegli occhi grigi lo avevano colpito così bizzarramente. L’uomo seduto davanti a lui era cieco.
Van Ryberg non fece altri tentativi di mettersi in contatto con Karellen. La maggior parte del lavoro del suo dipartimento, il raggruppamento di dati statistici, lo spoglio della stampa mondiale e altre cose del genere, anda-va avanti automaticamente. A Parigi i legislatori stavano ancora discutendo sulla proposta Costituzione Mondiale, ma per il momento la cosa non lo riguardava. Mancavano due settimane al giorno fissato per sottoporre a Karellen la bozza della nuova Costituzione, e se non fosse stata pronta per il momento stabilito certamente Karellen avrebbe agito nel modo che riteneva opportuno. E ancora nessuna notizia di Stormgren.
Van Ryberg stava dettando la corrispondenza, quando suonò il telefono collegato con la linea di emergenza. Sollevò il ricevitore e ascoltò con crescente sbalordimento, poi lo rimise giù di colpo e corse alla finestra aperta. Da lontano venivano grida di stupore e nella strada il traffico si stava bloccando. Era vero: l’astronave di Karellen, immutato simbolo dei Superni per tutti quegli anni, non era più nel cielo. Van Ryberg scrutò in alto fin dove gli era possibile spingere lo sguardo e non la vide. Poi, di colpo, parve che facesse notte. L’immensa astronave calò da nord rasente ai grattacieli di New York oscurando tutto con la sua sagoma immensa, scura, vista così senza il riflesso del sole, come una nube temporalesca. Involontariamente Van Ryberg si ritrasse per sfuggire alla gigantesca ombra in corsa. Sapeva che le astronavi dei Superni erano di dimensioni gigantesche, incredibili, ma un conto era vederle alte nello spazio e un altro guardarle passare appena sopra la città, paurose come nubi cavalcate da demoni. Nel buio dell’eclissi parziale, guardò l’astronave e la sua ombra allontanarsi e svanire a sud. Non sentì alcun rumore, nemmeno il sibilo dell’aria, e capì che, per quanto fosse sembrata tanto vicina, la nave spaziale era passata almeno a mille metri di quota. Poi il palazzo vibrò colpito dallo spostamento d’aria, e si sentì un rumore di vetri da una stanza la cui finestra si era spalancata sotto l’onda d’urto.
Nell’ufficio tutti i telefoni si misero a suonare, ma Van Ryberg non si mosse. Rimase lì, appoggiato allo stipite della finestra, lo sguardo fisso a sud, paralizzato da quella visione di potenza illimitata.
A Stormgren pareva di avere il cervello su due piani diversi contemporaneamente. Da una parte, cercava di sfidare l’uomo che lo aveva catturato, dall’altra sperava che esso potesse aiutarlo a scoprire il segreto di Karellen. Gioco pericoloso, ma che con la sua notevole sorpresa lo divertiva. Il cieco gallese aveva condotto quasi tutto l’interrogatorio. Era affascinante vedere quell’agilissima mente tentare un varco dopo l’altro, valu-tando e respingendo tutte le storie che Stormgren stesso aveva abbandonato già da molto tempo. Alla fine si abbandonò contro la spalliera della sedia con un sospiro.
«Non si conclude niente» disse, in tono rassegnato. «Abbiamo bisogno di altri fatti, e questo significa azione, non discussioni.» Gli occhi ciechi parvero fissare pensosi Stormgren, e per qualche istante l’uomo batté nervosamente le dita sul tavolo: il primo segno d’incertezza che Stormgren notava in lui. Infine riprese. «Mi stupisce non poco, signor Segretario, che non abbiate fatto nessun sforzo per saperne di più sui Superni.»
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