«Non c’è molto da descrivere. Ha le pareti di metallo, una superficie di circa quattro metri quadrati per quattro di altezza. Lo schermo è di circa un metro di lato, e c’è una piccola scrivania sotto lo schermo… ecco qua, sarà più chiaro se ti faccio uno schizzo.»
Con pochi tratti di penna, Stormgren schizzò una pianta del locale che conosceva tanto bene e passò il disegno a Duval. In quell’attimo ricordò con un brivido l’ultima volta che aveva fatto lo stesso gesto e si domandò che fine avessero fatto il gallese e i suoi compagni, e come avessero reagito alla sua scomparsa. Duval studiò lo schizzo tormentandosi le labbra.
«È tutto quello che puoi darmi?»
«Già.»
Duval sbuffò, indignato.
«E l’illuminazione? Ve ne state lì al buio? E la ventilazione e il riscaldamento…»
Stormgren sorrise alla caratteristica sfuriata di Duval.
«L’intero soffitto è luminescente e a quanto ho potuto capire l’aria viene attraverso la griglia dell’altoparlante. Non so come avvenga il ricambio. Forse a intervalli il flusso si inverte, ma io non me ne sono accorto. Non c’è traccia d’impianto di riscaldamento, ma nel locale la temperatura è sempre normale.»
«Il che significa che il vapore acqueo si congela e viene così eliminato, ma non l’anidride carbonica.»
Stormgren tentò di ridere per la vecchia battuta scherzosa.
«Credo con questo di averti detto tutto» concluse. «Quanto alla macchina volante che mi trasporta su fino all’astronave, la cabina in cui entro è anonima come quella di un ascensore. Se non ci fossero la poltrona e il tavolo potrebbe proprio essere un ascensore.»
Seguirono alcuni minuti di silenzio, mentre lo scienziato disegnava complicati e microscopici ghirigori sul suo immenso taccuino. Guardandolo, Stormgren si chiese come mai un uomo dell’intelligenza di Duval, un’intelligenza assai più brillante della sua, non si fosse affermato maggiormente nel mondo scientifico. Ricordava l’ingegnoso e probabilmente ingiusto commento di un amico della delegazione americana: «Il francese è il miglior pensatore di second’ordine che esista». Duval era esattamente il tipo che suggeriva simili affermazioni.
A un tratto il francese alzò la testa e, puntandogli contro la matita, disse:
«Che cosa ti fa credere, Rikki, che lo schermo visore di Karellen sia proprio uno schermo?»
«Ho sempre dato per scontato che lo fosse. È in tutto e per tutto simile a uno schermo di televisore. Del resto cos’altro potrebbe essere?»
«Quando affermi che sembra lo schermo di un televisore, vuoi dire che assomiglia a uno dei «nostri» schermi, vero?»
«Certo.»
«È proprio questo che mi insospettisce. Sono sicuro che i Superni non usano niente di così primitivo come un teleschermo vero e proprio. Probabilmente sanno come materializzare le immagini direttamente nello spazio. E poi, perché Karellen dovrebbe prendersi la briga di usare un sistema TV?
La soluzione più semplice è sempre la migliore: non sembra anche a te molto più probabile che il tuo «schermo televisivo» sia una lastra di vetro polarizzato?»
Seccato con se stesso, Stormgren rimase zitto, a ricostruire nella memoria i passati incontri con Karellen. Fin dall’inizio non aveva mai messo in dubbio le affermazioni del Supercontrollore, questo era vero, però, ripensandoci, Karellen non gli aveva mai detto che si serviva del sistema televisivo. Era stato lui a darlo per scontato. Risultato di un capolavoro di inganno attuato psicologicamente e in cui era caduto in pieno. Sempre che la teoria di Duval fosse esatta. Doveva stare attento a non saltare di nuovo alle conclusioni, perché non era ancora stato dimostrato niente.
«Se è così, basterà che io sfondi quella lastra di vetro…»
Duval sospirò.
«Questi profani! E credi proprio che sia fatto di sostanze che tu possa mandare in frantumi senza l’aiuto di esplosivi? E anche ammesso che tu riuscissi nell’intento, credi che Karellen possa respirare la nostra stessa aria? Sai che bello per tutti e due se lui respirasse cloro?»
Stormgren si sentì ridicolo; ecco un’altra cosa che avrebbe dovuto pensare da solo.
«Insomma, che cosa mi consigli?» domandò, con una punta d’esasperazione.
«Bisogna che ci pensi: innanzitutto dobbiamo controllare l’esattezza della mia teoria» e, in caso positivo, scoprire di che cosa è fatto lo schermo. Affiderò le ricerche a un paio dei miei ragazzi. A proposito, immagino che tu abbia con te una cartella di pelle o qualcosa del genere quando vai dal Supercontrollore. È quella che hai adesso?»
«Sì.»
«Mi pare grande abbastanza. Sarà meglio non attirare l’attenzione sostituendola con un’altra, soprattutto se Karellen è abituato a vederla.»
«Insomma, che cosa devo fare? Nascondere nella cartella un apparecchio a raggi X?»
Il fisico sorrise.
«Non lo so ancora, ma escogiteremo qualcosa. Saprai cosa sarà fra una quindicina di giorni.» Rise, e aggiunse: «Sai che cosa mi ricorda tutto questo?»
«Sì» disse subito Stormgren «l’epoca in cui costruivi illegalmente apparecchi radio durante l’occupazione tedesca.»
Duval parve deluso. «Forse te l’avevo già raccontato… Ma c’è un’altra cosa che voglio dirti.»
«Sentiamo.»
«Se ti scoprono, ricordati che io non ho mai saputo per quale motivo mi hai chiesto l’apparecchio, o quello che sarà.»
«E hai il coraggio di dirmelo dopo tutto il chiasso che ti ho sentito fare una volta sulle responsabilità degli scienziati per le loro invenzioni? Pierre, mi vergogno di te!»
Stormgren depose il grosso dattiloscritto con un sospiro di sollievo.
«Grazie al cielo anche questo è sistemato, finalmente!» esclamò. «È strano pensare che in queste poche centinaia di pagine c’è il futuro del genere umano: lo Stato Mondiale. Non avrei mai creduto di vederlo realizzato!»
Mise il plico nella cartella appoggiata ritta sulla scrivania col retro a non più di dieci centimetri dallo scuro rettangolo dello schermo. Ogni tanto le sue dita si gingillavano con i fermagli, per una reazione nervosa seminconscia, ma non intendeva premere l’interruttore nascosto prima che il colloquio fosse finito.
«Avete detto di avere notizie per me» disse con malcelato interesse. «Si tratta forse…»
«Sì» disse Karellen. «Ho ricevuto una risposta qualche ora fa. Non credo che la Lega della Libertà e i suoi associati saranno molto soddisfatti, ma la decisione dovrebbe contribuire a ridurre lo scontento. Mi avete detto, spesso, che indipendentemente dal grado di differenza fisica tra noi e voi, la razza umana si avvezzerebbe presto alla nostra vista. Ciò rivela mancanza d’immaginazione da parte vostra. Sarebbe probabilmente vero nel vostro caso personale, ma dovete ricordare che il mondo non si è ancora evoluto ed è tuttora gravato da superstizioni e pregiudizi che ci vorrebbero decenni a sradicare. Ammetterete che ne sappiamo qualcosa di psicologia umana. Sappiamo con precisione che cosa accadrebbe se ci rivelassimo oggi al mondo. Non posso entrare in particolari, nemmeno con voi, per cui vi prego di accettare la mia analisi in piena fiducia. Possiamo tuttavia fare questa promessa che dovrebbe darvi qualche soddisfazione: fra cinquant’anni, vale a dire tra due generazioni, noi scenderemo dalle nostre astronavi, e l’umanità allora ci vedrà come siamo.»
Stormgren rimase a lungo in silenzio, assimilando le parole del Supercontrollore. Una volta se ne sarebbe sentito soddisfatto, ma ora… Era anzi confuso del suo parziale successo, e per un attimo la sua risoluzione vacillò. La verità sarebbe venuta a galla col passare del tempo: tutto il suo complotto era inutile e forse avventato. Se non desistette dal suo proposito, fu unicamente per l’egoistica ragione che di lì a cinquant’anni lui non ci sarebbe stato più. Karellen doveva avere avvertito la sua indecisione, perché aggiunse:
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