Arthur Clarke - Le Guide del Tramonto

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Per sei giorni le immense astronavi, silenziose e immobili, restarono sospese sulle metropoli della Terra. Poi vennero gli ordini, e ai terrestri non restò che obbedire. Ma per ani e anni nessuno potè vederli, gli Esseri venuti con le astronavi. Nessuno poté sapere chi erano. Per quale misteriosa ragione «Essi» non volevano essere conosciuti? Forse perchè (ma nessuno lo sospettò) non volevano essere «riconosciuti»? Un classico della fantascienza che è anche un classico del suspense.

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«Arrivederci, Rikki!»

Karellen lo aveva raggirato abilmente ancora una volta., forse era già troppo tardi. La paralisi di Stormgren durò solo un attimo. Poi, con un sol gesto, rapido, preciso, trasse di tasca la pistola a lampo e la puntò contro il vetro.

I pini arrivavano fin quasi sulle sponde del lago, lasciando libera soltanto una striscia erbosa, non più larga di qualche metro. Ogni sera, quando la stagione era sufficientemente calda, Stormgren, nonostante i suoi novant’anni, faceva una passeggiata su quella striscia erbosa fino all’imbarcadero, ad ammirare il sole al tramonto, per poi tornare a casa prima che il gelido vento notturno cominciasse a soffiare dalla foresta. Quella specie di rito gli dava soddisfazione, e lui intendeva continuarlo fino a quando avesse avuto la forza di reggersi.

Basso sul lago, un aereo avanzava veloce da ponente. A parte i grandi apparecchi delle linee transpolari che volavano a quote altissime, non capitava spesso di vedere aerei da quelle partì. Il velivolo era un piccolo elicottero e puntava deciso nella sua direzione. Stormgren lanciò un’occhiata lungo la spiaggia e non vide possibilità di fuga. Con un’alzata di spalle, si sedette allora su una panchina all’estremità del molo.

Il giornalista si dimostrò così deferente che Stormgren rimase sbalordito. Si era quasi dimenticato di essere non solamente un vecchio statista a riposo ma, oltre i confini del suo Paese, una figura quasi leggendaria.

«Signor Stormgren» cominciò il giornalista «sono desolato di disturbarvi, ma sareste disposto a fare qualche commento a proposito di una cosa che abbiamo appena saputo a proposito dei Superni?»

Stormgren aggrottò la fronte. Dopo tanti anni, condivideva ancora l’avversione di Karellen per quella parola pomposa e inadeguata.

«Non credo» rispose «che io possa aggiungere altro a quanto è già stato scritto.»

Il giornalista lo osservava con intensa curiosità.

«Credo che possiate, invece. Ci è giunta una notizia alquanto curiosa. Sembra che quasi trent’anni fa, uno dei fisici del Dipartimento Scientifico abbia costruito per voi alcuni strumenti complicati. Vorremmo saperne qualche cosa.»

Per un istante Stormgren non rispose, riandando con la memoria al passato. Non lo sorprendeva che il segreto fosse stato scoperto. Anzi, era sorprendente che fosse stato mantenuto per tanti anni. Cominciò a camminare lungo il molo, col giornalista che lo seguiva a due o tre passi di distanza.

«La notizia» disse «contiene una parte di verità. In occasione della mia ultima visita sull’astronave di Karellen portai con me un congegno nella speranza che mi consentisse di vedere il Supercontrollore. Fu un gesto molto sciocco da parte mia, ma… be’, avevo solo sessant’anni, a quel tempo!» Ridacchiò per conto suo, e riprese: «Non valeva la pena di trasvolare il lago. Perché, vedete, il congegno non funzionò.»

«Non avete visto niente?»

«Niente nel modo più assoluto. Temo che dovrete aspettare ancora… dopo tutto, mancano solo vent’anni!»

Ancora vent’anni d’attesa! Sì, Karellen aveva avuto ragione. Allo scadere di quei cinquant’anni il mondo sarebbe stato preparato, come non lo era ancora quando Stormgren aveva detto a Duval, quasi un trentennio prima, la stessa bugia che aveva detto ora al giornalista.

Karellen s’era fidato di lui, e Stormgren non aveva tradito la sua fiducia. Era certo più d’ogni altra cosa al mondo che il Supercontrollore aveva saputo del suo piano fin dal primo momento e previsto ogni mossa della fase conclusiva.

Diversamente, perché mai avrebbe dovuto già essere vuota l’enorme poltrona quando il cerchio di luce l’aveva illuminata? Immediatamente Stormgren aveva fatto roteare il raggio luminoso, temendo che fosse ormai troppo tardi. La porta metallica, altissima, si stava chiudendo rapidamente, ma non tanto rapidamente quanto sarebbe stato necessario. Sì, Karellen aveva avuto fiducia in lui e non aveva voluto che si allonta-nasse per la lunga sera della sua vita ossessionato da un mistero che non avrebbe mai potuto risolvere. Pur non osando sfidare gli ignoti poteri a cui doveva obbedienza (erano essi pure della stessa razza?), Karellen aveva fatto tutto quello che aveva potuto. Aveva disobbedito, ma loro non ne avrebbero mai avuto la prova. E quella era stata la dimostrazione definitiva dell’affetto che Karellen nutriva per Stormgren. Anche se si poteva paragonarlo all’affetto di un uomo per un cane intelligente e fedele, non era per questo un affetto meno sincero, e Stormgren aveva avuto poche soddisfazioni più grandi in tutta la sua vita.

«Abbiamo avuto anche noi le nostre sconfitte». Sì, Karellen, era vero, ed eravate voi quello che fu sconfitto avanti l’alba della storia umana? Deve essere stata una grande sconfitta davvero, pensava Stormgren, se l’eco era rotolata giù per tutti gli evi, a ossessionare l’infanzia d’ogni razza umana. Sarebbero bastati cinquant’anni per vincere il potere di tutti i miti e le leggende del mondo?

Eppure Stormgren sapeva che non ci sarebbe stata una seconda sconfitta. Quando le due razze si fossero incontrate di nuovo, i Superni si sarebbero conquistata la fiducia e l’amicizia del genere umano e nemmeno il colpo della rivelazione avrebbe potuto distruggere la loro opera. Sarebbero andati insieme incontro al futuro, e la tragedia che aveva incupito il passato con la sua ombra si sarebbe perduta per sempre in fondo agli oscuri meandri della preistoria.

E Stormgren sperò che, quando fosse stato libero di porre ancora una volta il piede sulla Terra, Karellen sarebbe venuto un giorno tra le foreste della Finlandia boreale a sostare un poco presso la tomba del primo uomo che mai gli fosse stato amico.

PARTE SECONDA

L’ETÀ DELL’ORO

4

«Ecco la grande giornata!» comunicavano in cento lingue gli apparecchi radio. «Il gran giorno è venuto!», proclamavano i titoli di prima pagina di mille quotidiani. «Oggi è il gran giorno!» pensavano gli operatori delle telecamere, controllando le loro macchine disposte intorno al grande spiazzo dove l’astronave di Karellen doveva calare.

C’era soltanto la grande nave ammiraglia ora, sospesa nel cielo di New York. Infatti, come il mondo aveva appena scoperto, le astronavi immobili nel cielo delle altre città dell’uomo non erano mai esistite. Il giorno prima, la gran flotta dei Superni si era dissolta nel nulla, svaporando come la nebbia sotto la rugiada del mattino. Le navi di rifornimento, che andavano e venivano dalle profondità dello spazio cosmico, erano state reali; ma le vaste ombre d’argento che erano rimaste sospese per la durata di una vita umana su quasi tutte le capitali della Terra erano soltanto illusione. Nessuno avrebbe saputo dire in che modo era stata creata l’illusione, ma sembrava che ognuna di quelle astronavi non fosse stata che un’immagine dell’ammiraglia di Karellen. Ma era stato ben mollo più di un abile gioco di luci, perché anche i radar si erano lasciati ingannare, e vivevano ancora persone pronte a giurare di aver sentito il sibilo lamentoso dell’aria squarciata dalle prore astrali quando la flotta era penetrata nell’atmosfera della Terra. Ma questo non era importante: ciò che ora importava davvero era il fatto che Karellen non vedesse più la necessità di uno spiegamento di forze. Aveva rinunciato alle sue armi psicologiche.

«L’astronave si muove!» corse la voce, spargendosi fulminea su tutto il pianeta. «Si dirige verso ponente!»

A meno di mille chilometri all’ora, scendendo mollemente dalle vuote altezze della stratosfera, l’astronave muoveva verso le grandi praterie, puntuale al suo secondo convegno con la storia. Si adagiò dolcemente sul terreno davanti agli obiettivi in attesa e alle migliaia e migliaia di spettatori addensati in lunghe file, ben pochi dei quali potevano vedere tutto ciò che vedevano i milioni di uomini e donne riuniti davanti ai televisori. Il terreno avrebbe dovuto spaccarsi e tremare sotto il peso incredibile della nave immensa, ma lo scafo era ancora nella morsa delle forze cosmiche che le permettevano di navigare tra le stelle. Baciò la terra con la delicatezza di un fiocco di neve. A venti metri d’altezza dal suolo, la gran parete ricurva parve scorrere e tremolare: dove c’era fino a un attimo prima una superficie liscia e levigata, rilucente come la piastra di uno scudo, comparve una vasta apertura. Non si vide niente dell’interno. Non videro niente nemmeno gli occhi inquisitori delle macchine da presa. Era scura come l’ingresso di una caverna. Poi, un’ampia passerella scintillante ne sporse e cominciò a scorrere verso il basso. La si sarebbe detta una lunga lastra di metallo compatto con balaustre ai due lati. Non si vedevano scalini: era liscia e ripida come una pista di toboga e sembrava impossibile salirla o scenderla con mezzi normali. Il mondo intero stava guardando quel nero portale entro cui niente ancora si muoveva. Quindi la voce, udita di rado ma indimenticabile di Karellen, si diffuse dolcemente provenendo da una fonte ben celata. Il suo messaggio non sarebbe potuto essere più inatteso.

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