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Harry Harrison: Mondo maledetto

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Harry Harrison Mondo maledetto

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Sul pianeta Pyrrus è in corso una guerra tra gli uomini che lo stanno colonizzando e gli originari abitanti: sembra quasi che tutta la flora e la fauna di Pyrrus sia in lotta contro i coloni. È in questa fase che si inseriscono le avventure di Jason DinAlt, giocatore professionista con poteri paranormali, che con la sua intelligenza e il suo coraggio riuscirà a far cessare la guerra.

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— Dunque… — disse rivolgendosi a Meta. — Per installare l’apparecchio, mi occorre un punto che non abbia davanti metalli densi che interferiscono con il segnale. La plastica può ancora andare; se preferisci, posso montarlo all’esterno, con un telecomando.

— Forse sarà necessario — rispose Meta. — Lo scafo è tutto in un pezzo.

Per guardar fuori, usiamo teleschermi. No, un momento… forse un posto ci sarebbe.

Lo accompagnò alla sporgenza dello scafo dov’era sistemata una scialuppa di salvataggio. Vi entrarono. — Queste scialuppe hanno oblò trasparenti, coperti da schermi antifrizione, che vengono ritirati in caso di lancio.

— Possiamo togliere gli schermi adesso?

— Credo — rispose Meta. Seguì il circuito di collegamento sino a una scatola, e l’aperse. Appena chiuse il relay, le pesanti piastre scivolarono di nuovo entro lo scafo. La visione era ampia e nitida l’oblò sporgeva dalla fiancata dell’astronave.

— Perfetto — ammise Jason. — E come farò per parlarti?…

— Usando questo — indicò un microfono. — È sintonizzato. Non toccare nient’altro; specialmente quest’interruttore. È il lancio di emergenza. Fa’

attenzione; la scialuppa è senza carburante.

— Sta’ tranquilla. Adesso, Skop… collegatemi con la centrale energetica dell’astronave, e l’apparecchio sarà pronto a funzionare.

L’indicatore direzionale era semplice; soltanto la sintonizzazione era stata un po’ laboriosa. Un’antenna a forma di disco raccoglieva i segnali, individuandone con precisione l’origine; uno stadio amplificatore completava l’opera. Quando tutto fu pronto, Jason rivolse un cenno all’immagine di Meta sullo schermo. — Decolla… con calma, per favore. Fa’

un giro lento attorno al perimetro difensivo; poi ti darò la rotta. L’astronave si alzò con un’accelerazione costante, poi iniziò il giro orbitale. Ruotarono per cinque volte attorno alla città, prima che Jason scotesse la testa.

— Sembra che quest’arnese funzioni… Ma riceviamo troppi disturbi.

Allontanati di trenta chilometri, e gira ancora.

I risultati migliorarono, questa volta. Un segnale molto forte proveniva dalla direzione della città con una derivazione di appena un grado. Meta fece ruotare l’astronave, in modo che la scialuppa dove si trovava Jason puntasse verso il basso.

— Bene così… Tieniti bene in rotta…

Dopo aver annotato con precisione la parallasse, Jason spostò l’antenna ricevitrice di centottanta gradi. Mentre l’astronave continuava a orbitare, raccolse tutti i segnali che puntavano verso la città. Avevano già percorso mezzo giro, quando captò un’altra emissione.

Sì, era là, senza dubbio, non ampia ma forte… Per scrupolo, lasciò che l’astronave descrivesse due giri, e annotò ogni volta il rilevamento sulla girobussola. I dati coincidevano. Al terzo giro, chiamò Meta. — Tieniti pronta per descrivere un angolo retto a destra… pronto… adesso!

Jason riuscì a rimanere sempre in onda con il segnale. Diminuì d’intensità, a tratti, ma fu in grado sempre di riagganciarlo. Meta allora aumentò la potenza ai motori.

Un’ora di volo, alla massima velocità atmosferica consentita, non portò cambiamenti. Jason insistette. Il segnale, anziché diminuire, aumentava adagio di potenza. Oltrepassarono la catena vulcanica che segnava i confini del continente; poi si trovarono sul mare.

Quando le isole comparvero all’orizzonte, il segnale si avvicinò all’azimut dell’astronave.

Un tempo, c’era stato un continente, lì, che emergeva dal nucleo ancora liquido del pianeta. Poi le pressioni erano mutate, le masse continentali si erano spostate, e l’oceano le aveva sommerse. Adesso, rimaneva soltanto una catena di isole, che una volta erano state le vette più alte dei monti.

Quelle isole, che si alzavano a picco dalle onde, ospitavano gli ultimi abitanti del continente perduto. Lì vivevano gli indigeni di Pyrrus.

— Scendi adagio — ordinò Jason — verso quella vetta grande… Sembra che i segnali nascano lì.

Sorvolarono la montagna a bassa quota, ma oltre alle piante e alle rocce inondate di sole nient’altro era visibile.

Poi una sofferenza acutissima per poco non fece esplodere la testa di Jason. Una sferzata di odio, che l’amplificatore ingigantiva. Jason si strappò gli auricolari, e si prese il capo fra le mani. Con gli occhi pieni di lacrime, vide lo stormo di mostri volanti che si lanciava verso di loro.

Intravvide appena il declivio sottostante, poi Meta diede potenza ai motori e l’astronave balzò via di slancio.

— Li abbiamo trovati! — La sua esultanza svanì, quando vide Jason al teleschermo. — Stai bene? Cos’è successo…?

— Mai ho sentito un’esplosione simile di odio! Ho intravisto una apertura, come una grotta… Sembrava che il raggio venisse di lì.

— Sdraiati. Torniamo il più svelto possibile. Dobbiamo avvertire Kerk.

Un gruppo li aspettava all’astroporto; quando scesero. Kerk si precipitò all’interno appena il portello fu aperto. Corse da Jason, steso in una cuccetta d’accelerazione. — È vero? — gridò. — Avete individuato i criminali che hanno fatto scoppiare la guerra?

— Calma, per favore — mormorò Jason. — Ho scoperto di dove viene il messaggio telepatico che tiene aperte le ostilità. Non ho prove, circa chi ha iniziato la guerra…

— L’avete individuato, sì o no?

— È segnato sulla carta — intervenne Meta. — Ci andrei a occhi chiusi.

— Bene, bene. — Kerk si fregò forte le mani. — Non è facile convincersi che, dopo tanti secoli, la guerra potrebbe finire davvero. Ma invece di lottare con la miriade dei mostri, che si rinnova sempre, attaccheremo i loro Capi. Pagheranno di persona!

— No, invece! — Jason si mise seduto con uno sforzo. — Dico di no! Da quando sono arrivato su Pyrrus, mi avete sbattuto da tutte le parti, e ho rischiato dieci volte la vita. Credete che l’abbia fatto per la vostra smania di distruzione? È la pace, che voglio! Avete promesso di entrare in contatto con quelle creature, e di trattare la pace. Siete un uomo di parola, sì o no?

— Non baderò a questo insulto… anche se in altre circostanze vi avrei ucciso, per la vostra impudenza — ribatté Kerk. — Siete stato molto utile al nostro popolo, e non abbiamo vergogna di riconoscere i nostri debiti. Ma non accusatemi di non mantenere promesse che ho mai fatto! Ho promesso di accettare qualsiasi piano ragionevole che avrebbe fatto finire la guerra.

E ho intenzione di farlo! Il vostro progetto di trattare la pace non è ragionevole. Quindi, distruggeremo il nemico.

— Riflettete un momento! — Jason gridò a Kerk, che si allontanava. — Che pericolo c’è nel tentare trattative, o in un armistizio? Se va male, potete sempre ricorrere alla forza.

Intanto, una piccola folla di coloni si era raccolta attorno a loro. Kerk si voltò. — Vi dirò io perché non accetto un armistizio… È una scappatoia da vigliacchi! Pensate davvero che anche per un attimo potrei pensare a una soluzione simile? Non parlo per me solo, ma per tutti. A noi non importa combattere. Sappiamo che quando la guerra sarà finita potremo costruire un mondo migliore su Pyrrus! E se non avessimo scelta, fra la guerra e una pace vigliacca, sceglieremmo la guerra! Continueremo a combattere sino alla distruzione totale del nemico!

I coloni mormorarono il loro assenso. Jason dovette urlare. — Bene.

Credete di essere originale…? Siamo dalla parte del giusto, e il nemico è il diavolo… Non importa un accidente se anche gli altri dicono la stessa cosa!

Come può esistere una pace vigliacca? Dite la verità: vi piace uccidere, e volete continuare a farlo!

I coloni tacquero. Kerk, pallido, si dominò con uno sforzo. — Avete ragione, Jason. Ci piace uccidere. E continueremo! Tutti quelli che ci hanno combattuto, su Pyrrus, dovranno morire…!

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