Harry Harrison - Mondo maledetto

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Sul pianeta Pyrrus è in corso una guerra tra gli uomini che lo stanno colonizzando e gli originari abitanti: sembra quasi che tutta la flora e la fauna di Pyrrus sia in lotta contro i coloni. È in questa fase che si inseriscono le avventure di Jason DinAlt, giocatore professionista con poteri paranormali, che con la sua intelligenza e il suo coraggio riuscirà a far cessare la guerra.

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Era un’aspra condanna ma non mancava di verità. Jason non tentò di spiegare che i coloni ritenevano il loro atteggiamento l’unico possibile. — Com’è nato il dissidio fra di voi? — domandò.

— Non so — rispose Rhes. — Non abbiamo documenti di quell’epoca.

Sappiamo che siamo tutti discendenti di coloni che arrivarono qui assieme.

A un certo punto, i due gruppi si sono separati. Ho una teoria; può darsi che sia stata la scelta del luogo dove fondare la città, che ha provocato il contrasto. Ma non posso dimostrarlo.

— Non capisco bene.

— Conoscete quei tali. Avete visto dove hanno costruito la città. L’hanno piazzata proprio nel punto più selvaggio del pianeta. A loro non interessa niente degli altri esseri; sono capaci soltanto di sparare e uccidere. Sono certo che i miei antenati hanno capito quanto fosse idiota la scelta di quel posto, e che hanno cercato di convincerli. Un motivo sufficiente per la guerra, no?

— Può darsi. Ma io penso che non vediate con esattezza il problema. La guerra vera è fra gli uomini e la vita di Pyrrus; ciascuno tenta di distruggere gli altri. Le forme vitali si evolvono di continuo, per annientare l’invasore.

— Ma non è vero affatto! — ribatté Rhes. — Ammetto che la vita non sia molto semplice, su Pyrrus… se è vero quello che ho letto, nei miei libri, degli altri pianeti. Comunque, si può sopravvivere. Ma i coloni vanno in cerca di guai, e sono contento che li abbiano.

Jason non insistette. — Immagino che non sia importante sapere chi ha iniziato il dissidio — dichiarò. — Ma dovete ammettere che gli abitanti della città sono sempre in lotta con l’ambiente. Voi, invece, siete riusciti a farvi amiche almeno due specie di animali. Com’è stato possibile?

— Naxa arriverà fra un momento — rispose Rhes. — Chiedetelo a lui. È lui, quello che parla meglio di tutti.

— Che parla? — ripeté Jason. — M’era sembrato il contrario. Non ha detto molto, e quel poco… non mi sembrava molto chiaro.

— Non parla come tutti gli altri — interruppe Rhes con impazienza. — La gente come Naxa si occupa degli animali. Addestrano i cani e i doryms, e i migliori come Naxa, cercano di addomesticare anche altre specie. Si vestono di pelli, ma è indispensabile. Li ho sentiti dire che agli animali non garbano i manufatti, il metallo e il cuoio conciato. Ma la loro sporcizia non ha niente a che vedere con l’intelligenza,

— Doryms? Sono quelle bestie che usate per trasporto?

Rhes annuì. — Anche qualcosa di più. I maschi tirano gli aratri e altre macchine, mentre i più giovani ci danno la carne. Ma chiedetelo a Naxa; lo troverete nella stalla.

— Con piacere. — Jason si alzò. — Soltanto, senza pistola mi sento a disagio.

— Prendetela; è in quell’armadio, vicino alla porta. Ma state attento a quello che prendete di mira.

Naxa era intento a limare gli artigli di un dorym. L’animale dilatò le narici, quando Jason entrò. Naxa gli batté sul collo, parlandogli con voce dolce. L’animale si calmò, rabbrividendo.

— Buon giorno — esclamò Jason. Naxa brontolò qualche parola indistinta, e si rimise al lavoro. Jason lo osservò; avvertiva una strana sensazione, in parte familiare. Gli sfuggiva, appena cercava di precisarla. Qualunque fosse, era cominciata quando Naxa aveva parlato al dorym.

— Mi potreste chiamare un cane, Naxa? Vorrei vederne uno più da vicino.

Senza alzare la testa, Naxa emise un fischio leggero. Non poteva essere ascoltato fuori dalla stalla. Eppure, di lì a un attimo, uno degli strani animali a sei zampe entrava senza rumore. Naxa gli carezzò la testa, mormorando, mentre il «cane» lo fissava negli occhi.

L’animale divenne inquieto, quando Naxa si rimise al lavoro con il dorym. Gironzolò per la stalla, fiutando, poi si mosse, svelto, verso la porta. Jason lo richiamò.

Almeno, ne ebbe l’intenzione. All’ultimo momento, non aperse bocca.

D’impulso, tacque; chiamò il cane mentalmente. Pensando le parole Vieni qui! diresse verso di lui quell’impulso, con tutta la forza possibile. Si rese conto che da molto tempo non usava le sue facoltà extrasensoriali.

Il cane si fermò, voltandosi; gli si avvicinò, esitando.

Visto da vicino, sembrava un incubo. Le piastre protettive erano glabre; i piccoli occhi orlati di rosso, e gli innumerevoli denti che gocciolavano saliva, facevano ben poco per ispirare confidenza. Eppure, Jason non ebbe paura. Quello, era un rapporto fra uomo e animale, un rapporto cosciente.

Senza quasi accorgersene, tese la mano, e carezzò la bestia sulla schiena.

— Non sapevo che sapevate parlare alle bestie — esclamò Naxa. Per la prima volta, la sua voce ebbe una sfumatura amichevole.

— Non lo sapevo neanch’io… fino ad adesso — ammise Jason. Guardò il cane negli occhi, e cominciò a capire.

Gli individui come Naxa dovevano aver sviluppato qualità extrasensoriali. Non esiste barriera di razza, quando due esseri condividono le loro emozioni; e i telepatici come Naxa erano stati i primi a spezzare la barriera dell’odio su Pyrrus, e a imparare a vivere con la fauna del pianeta. Poi, altri avevano seguito il loro esempio; così si erano formate le comunità dei grubbers.

Ora che vi si concentrava, Jason sentiva anche il flusso dei pensieri che l’avvolgeva. L’autocoscienza del dorym era affiancata da altri schemi mentali identici, che provenivano dal fondo della stalla, e anche dall’esterno, dai campi.

— Ma ci avete mai pensato, Naxa? Come mai riuscite a farvi obbedire dagli animali, mentre gli altri uomini non ci riescono?

Era un pensiero troppo difficile, per Naxa. Fece una smorfia. — Mai pensato. Capita. Basta conoscere le bestie, e si indovina quello che stanno per fare.

Evidentemente Naxa non aveva mai riflettuto sulle sue possibilità. E come lui, gli altri; accettavano i propri poteri come un semplice fatto concreto.

Le idee si accavallavano nella mente di Jason. Aveva detto a Kerk che la flora e la fauna di Pyrrus erano unite contro l’uomo… Ebbene, ne ignorava tuttora il motivo, ma cominciava a capire come ciò poteva avvenire.

— A che distanza siamo dalla città? — domandò.

— Mezza giornata per l’andata, e mezza per il ritorno. Perché?

— Oh, non voglio tornarci, non ancora. Ma mi piacerebbe, se potessi avvicinarmi — rispose Jason.

— Chiedetelo a Rhes — dichiarò Naxa.

Rhes diede il permesso, senza far domande. Sellarono subito due dorym, e partirono, in modo da poter tornare entro la giornata.

Viaggiavano da meno di un’ora; quando Jason «sentì» che si avvicinavano alla città. Attimo per attimo, quella sensazione divenne più forte. Anche Naxa sembrava inquieto; dovevano rassicurare di continuo le loro cavalcature, che diventavano nervose.

— Basta così — disse a un certo punto Jason. Naxa si fermò.

Un’onda di pensieri inespressi e silenziosi invadeva la mente di Jason.

Poteva sentirli in tutte le direzioni, ma molto più forti verso la città invisibile. Una cosa dunque era evidente, ora: gli animali di Pyrrus erano sensibili alle emanazioni telepatiche; forse anche le piante avvertivano il contatto extrasensoriale. Poteva darsi che comunicassero addirittura, per mezzo loro, dato che obbedivano a chi la padroneggiava. In quella zona, le onde telepatiche erano fitte come mai Jason aveva sentito. Anche se personalmente era specializzato in psicocinesi, nel controllo mentale della materia inerte, era sensibile ai fenomeni extrapercettivi.

E, tutto attorno a lui, un pensiero giganteggiava, spaventoso e orribile, in parte fatto di terrore, in parte di odio. Esprimeva soltanto volontà di distruzione.

«UCCIDETE IL NEMICO»:

così avrebbe potuto esprimerlo Jason. Ma era ben più violento; un fiume mentale di distruzione e di ribrezzo.

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