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Harry Harrison: Mondo maledetto

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Harry Harrison Mondo maledetto

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Sul pianeta Pyrrus è in corso una guerra tra gli uomini che lo stanno colonizzando e gli originari abitanti: sembra quasi che tutta la flora e la fauna di Pyrrus sia in lotta contro i coloni. È in questa fase che si inseriscono le avventure di Jason DinAlt, giocatore professionista con poteri paranormali, che con la sua intelligenza e il suo coraggio riuscirà a far cessare la guerra.

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— Cosa diavolo… — balbettò Kerk, incredulo. — La guerra è finita.

Abbiamo distrutto il quartier generale del nemico!

— La guerra continua, più di prima — ribatté l’altro. Non so cos’abbiate fatto voi, ma piantatela di discutere e tornate subito!

Kerk si voltò verso Jason, con il volto contratto. — Voi! Siete stato voi!

Da quando siete arrivato qui, non avete fatto altro che seminare la morte in tutte le direzioni! E mi sono lasciato convincere! Avete ucciso Welf, e avete fatto morire i miei uomini nella grotta! — Lo colpì con un manrovescio, che lo fece cadere a terra. La mano di Jason tastò un tubo sigillato, che conteneva le matrici di rotta.

Vedendosi perduto, Jason strinse, e con tutta la sua forza, colpì Kerk sulla faccia. Gli produsse una lacerazione sulla fronte e sullo zigomo; ma Kerk, sanguinante, non si fermò. Sorrise senza pietà, mentre Jason si rialzava.

— Bene — esclamò — fate pure. Avrò tanto più piacere, uccidendovi. — Alzò un pugno enorme.

— No — rispose Jason, immobilizzandosi. — Non resisterò. Uccidetemi pure. Ma non dite che è giusto! Welf è morto per salvarmi. Ma gli uomini della pattuglia sono morti per causa vostra. Io volevo la pace! Voi avete scelto la guerra. Ce l’avete, adesso. Uccidetemi perché non riuscite a sopportare la verità!

Con un urlo di rabbia, Kerk abbassò il braccio.

Meta l’afferrò per il polso, e deviò il colpo. — No! — gridò. — Jason non voleva che la pattuglia uscisse! L’idea è stata vostra! Non potete ucciderlo per quello!

Ma Kerk, cieco di rabbia, non ascoltava più. Si strappò Meta di dosso.

La donna poté resistere soltanto un attimo. Bastò perché Jason raggiungesse la porta.

La superò inciampando, e chiuse di schianto il portello. Una frazione di secondo dopo che aveva tirato il catenaccio, Kerk la urtava con tutto il suo peso. Il metallo cedette, stridendo. Un cardine fu strappato, e l’altro rimase trattenuto soltanto da un brandello d’acciaio. Al prossimo colpo, sarebbe caduto.

Jason non rimase ad aspettare. Alla maggior velocità possibile, corse lungo il corridoio. Sull’astronave, non avrebbe potuto salvarsi; dunque, avrebbe dovuto uscirne. Le scialuppe di salvataggio erano davanti a lui.

Sin da quando le aveva viste la prima volta, vi aveva pensato. Pur non prevedendo una situazione simile, sapeva che sarebbe venuto un momento in cui avrebbe avuto necessità di un mezzo di trasporto. Ma Meta gli aveva detto che erano prive di carburante… Effettivamente, la scialuppa in cui era entrato il giorno della ricognizione non ne aveva; ma Jason aveva riflettuto ancora.

Quella era l’unica astronave di Pyrrus. I coloni non erano mai riusciti a acquistarne un’altra, perché qualche nuova spesa militare aveva sempre avuto la precedenza. L’astronave dunque doveva volare a pieno ritmo; e mai un colono avrebbe pensato di abbandonarla, perché la sua fine avrebbe significato la fine del pianeta.

Da quel punto di vista, non era affatto necessario tener pronte le scialuppe. Non tutte, almeno. Ma sembrava ragionevole che una, almeno, ne avesse abbastanza, nei serbatoi, per un breve volo, che l’astronave non avrebbe affrontato, per economia.

Ora, a Jason non rimaneva tempo per controllare tutte le scialuppe.

Pensò che se una doveva essere in condizione di partire, doveva trattarsi di quella più vicina alla cabina di comando. Vi si diresse con un salto.

Alle sue spalle, la porta cedette con uno schianto. Kerk si lanciò urlando.

Jason rotolò nella scialuppa. Con tutt’e due le mani afferrò la leva di lancio, e premette.

Una sirena d’allarme ululò, e il portello si chiuse di scatto in faccia a Kerk. Soltanto la sveltezza dei suoi riflessi gli evitò di restarne schiacciato.

Il carburante si accese, proiettando la scialuppa lontano dall’astronave.

La breve accelerazione premette Jason sul fondo; poi egli galleggiò in aria, quando la scialuppa iniziò la caduta libera. I razzi principali non entrarono in funzione.

In quell’attimo, si sentì morto. Priva di carburante, la scialuppa sarebbe caduta nella giungla, come una pietra.

Poi i razzi si accesero a un tratto, e Jason cadde ancora sul ponte…

Si trascinò al posto di pilotaggio. L’altimetro, collegato al sistema automatico di guida, aveva mantenuto la scialuppa a livello del terreno. I comandi erano molto semplici, previsti per essere usati da chiunque. Jason effettuò una brusca virata, e l’autopilota la corresse…

Dall’oblò vide che l’astronave descriveva invece una manovra molto più brusca. Jason non pensò a chi poteva essere ai comandi. Cercò di scendere in picchiata; e imprecò quando ancora una volta il pilota automatico rallentò la manovra. L’astronave si tuffò su di lui. La torretta prodiera aperse il fuoco, e un’esplosione scosse la scialuppa.

Forse il pilota automatico ne fu danneggiato. La picchiata si accentuò.

Jason ebbe appena il tempo di correggere la manovra e di portare le braccia davanti al volto, prima dell’urto.

Lo schianto dei reattori e quello degli alberi infranti si confusero. Seguì il silenzio, e il fumo svanì. Alta nel cielo, l’astronave sembrò esitare. Perse un po’ quota, come per indagare. Poi tornò ad alzarsi, mentre una nuova richiesta urgente di aiuto giungeva dalla città.

21

I rami degli alberi avevano attutito la caduta; ma l’urto fu egualmente violento. La scialuppa malconcia sprofondò adagio nell’acqua stagnante e nel fango della palude. La prua era già immersa, quando Jason riuscì a spalancare il portello di emergenza nello scafo.

Era impossibile prevedere quanto tempo avrebbe impiegato la scialuppa ad affondare, e Jason, inciampando e cadendo più volte, raggiunse la terraferma, dove si lasciò cadere.

Alle sue spalle, la scialuppa affondò. Qualche bolla d’aria gorgogliò, poi tutto tacque.

Gli insetti ronzavano, e si udì il ruggito crudele di una belva che uccideva la propria preda. Poi, fu di nuovo silenzio.

Jason si alzò con uno sforzo. Gli pareva di esser passato attraverso una dura lotta, e si sentiva immerso come in una nebbia. Dopo qualche minuto di riflessione, decise che avrebbe dovuto usare il pronto soccorso. Ma il bottone automatico di sgancio non funzionava più, e infine dovette torcere il braccio, premendolo contro l’apparecchio che rimaneva fissato alla cintura. Il dispositivo ronzò per alcuni attimi; dopo qualche minuto, la vista cominciò a schiarirglisi. Gli analgesici fecero effetto, ed egli uscì lentamente dal torpore che l’aveva invaso.

Il cervello riprese a funzionare, e Jason si sentì solo. Era abbandonato, senza amici, senza cibo, circondato dalle forze ostili del pianeta. A fatica, dominò il panico che stava per invaderlo.

— Pensa, Jason, non lasciarti vincere — esclamò a voce alta. Se ne pentì subito; quelle parole erano sembrate deboli, nel vuoto che lo circondava, con una sfumatura di isterismo. Si schiarì la gola, e sputò; c’era del sangue, nella saliva. Provò a un tratto una grande collera; sentì di detestare Pyrrus, e l’idiozia di chi ci abitava. L’ira cancellò la paura, riportandolo alla realtà.

Star seduti a terra era piacevole, adesso. Il sole era tiepido; sdraiandosi, non sentiva il peso interminabile dovuto alla gravità doppia. Un po’ di riposo… Dove c’è vita, c’è speranza… Sogghignò, ma comprese che quelle parole nascondevano un fondo di verità.

Era malconcio, ma ancora vivo. Le contusioni non sembravano gravi, e non aveva ossa rotte. La pistola usciva e rientrava perfettamente nel fodero. Aveva il pronto soccorso… Se fosse riuscito a tenersi calmo, spostandosi in linea retta, forse sarebbe potuto tornare in città. Come l’avrebbero accolto…? Be’, l’avrebbe saputo all’arrivo. Innanzitutto, doveva arrivare là.

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