Harry Harrison - Mondo maledetto

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Sul pianeta Pyrrus è in corso una guerra tra gli uomini che lo stanno colonizzando e gli originari abitanti: sembra quasi che tutta la flora e la fauna di Pyrrus sia in lotta contro i coloni. È in questa fase che si inseriscono le avventure di Jason DinAlt, giocatore professionista con poteri paranormali, che con la sua intelligenza e il suo coraggio riuscirà a far cessare la guerra.

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— Che novità sono saltate fuori, da quando mi trovo qui? — domandò.

Brucco lo fissò con irritazione. — Non potete uscire — ribatté. — Kerk l’ha proibito.

— Vi ha incaricato di sorvegliarmi? — domandò ancora Jason.

Brucco rifletté qualche attimo. — No, non devo farvi la guardia… — concluse — e neanche vorrei. Per quanto ne so, è una faccenda fra voi e Kerk, e tale deve rimanere. Uscite pure, quando volete. E fatevi ammazzare da qualche parte, così una volta per tutte i nostri guai saranno finiti.

— Contraccambio l’augurio. Adesso istruitemi sugli sviluppi dell’evoluzione delle belve.

L’unico cambiamento degno di nota riguardava una lucertola color ardesia, che sputava un getto di veleno con precisione mortale. La morte si verificava entro alcuni istanti, se la saliva toccava la pelle. Occorreva uccidere le lucertole prima che arrivassero a tiro. Un’ora di esercitazione bastò ad adeguare Jason al fenomeno.

Uscì senza scalpore dall’edificio, e nessuno lo vide. Era un pomeriggio caldo e silenzioso, disturbato soltanto da tuoni lontani, e da qualche detonazione. Jason si recò al dormitorio più vicino. Faceva fresco, lì dentro; si abbandonò su una panca, rimanendovi sin quando il sudore gli fu asciugato. Poi entrò nella sala convegno, per iniziare la ricerca.

Era già finita prima di cominciare. Nessun colono conservava documenti antichi, e trovava anzi molto divertente l’idea, per la sua assurdità. Dopo la ventesima risposta negativa, Jason comprese che avrebbe avuto le stesse possibilità di rintracciare quanto gli interessava, come di scoprire le lettere della nonna nello zaino di un soldato.

Rimaneva la seconda ipotesi: la tradizione orale. Ma ancora una volta Jason ottenne risultati identici. I coloni cominciavano a infastidirsi per la sua insistenza; Jason si arrese, prima di trovarsi nei guai. Il commissario gli servì un pasto che pareva composto di polpa plastica e fibra di legno.

Lo consumò in fretta, poi rimase seduto a riflettere. Non voleva ammettere di trovarsi di nuovo in un vicolo cieco. Chi avrebbe potuto aiutarlo? Aveva parlato soltanto con dei giovani. Non avevano il minimo interesse per le vecchie storie. Era roba da vecchi, quella e non c’erano vecchi, su Pyrrus.

Conosceva un’eccezione soltanto; Poli. Era un’ipotesi; forse che come lui lavorava in una biblioteca provava qualche interessamento per la storia e i libri vecchi. Poteva darsi che ricordasse di aver letto, un tempo, volumi ora scomparsi. Una traccia molto esile, in verità; ma degna di essere seguita.

Poli lavorava nell’interno di una macchina catalogatrice. Smise soltanto quando Jason gli batté sulla spalla. Inserì l’apparecchio acustico, e aspettò con calma che parlasse.

— Avete qualche vecchio documento, o qualche lettera, che avete conservato per vostro uso personale?

Scosse la testa. — No.

— E racconti… sapete, a proposito di qualche grande avvenimento del passato, che possono avervi fatto quand’eravate giovine?

No.

Ogni domanda otteneva, come risposta, quel cenno negativo del capo di Poli. Presto il vecchio si infastidì, e indicò il lavoro che non aveva terminato.

— Sì, so che dovete lavorare — disse Jason — ma è una faccenda importante. — Poli scosse ancora la testa, e alzò la mano per togliere l’apparecchio acustico. — Un momento… Ancora una domanda soltanto.

Poli, cos’è un grubber? Ne avete mai visto uno, e sapete cosa fanno, e dove si possano trovare?

Jason tacque di colpo, mentre Poli girava su se stesso e lo colpiva in faccia con il braccio valido. L’urto fu violento, e buttò indietro Jason.

Come in una nebbia, vide che Poli gli si avvicinava barcollando, con il volto orrendo contorto dalla collera.

Non rimaneva tempo per la diplomazia. Movendosi il più svelto possibile, Jason corse verso la porta. Riuscì appena a chiuderla in faccia a Poli.

Fuori, s’era messo a nevicare e Jason si avviò con passo stanco, massaggiandosi la mandibola. Grubber significava qualcosa… Ma cosa? E a chi avrebbe osato domandare altre informazioni? Rimaneva soltanto Meta…. Decise di cercarla dimenticando la stanchezza; ma gli occorse tutta la sua forza, per avviarsi barcollando verso l’edificio di Brucco.

Il mattino dopo, uscì presto, appena dopo colazione. Gli rimaneva soltanto una settimana. Jason imprecò, mentre si trascinava contro il peso delle 2G. Meta era stata di servizio, quella notte, e sarebbe dovuta tornar presto al suo alloggio. Quando rientrò Jason era sdraiato sulla cuccetta.

— Fuori — esclamò la donna con voce atona. — O devo pensarci io?

— Pazienza, per favore — esclamò lui, sedendosi. — Mi riposavo un po’, aspettandoti. Devo farti una domanda, e quando avrai risposto non ti disturberò più.

— Avanti. — Meta batté il piede per terra. Ma la sua aveva anche una sfumatura di curiosità. Jason rifletté un attimo.

— Cerca di controllarti. Sai che sono uno straniero, e spesso dico cose sconvenienti… Vuoi dimostrare la tua superiorità dominandoti, ed evitando di ridurmi in briciole?

Meta rispose soltanto con un altro colpo del piede.

— Cos’è un grubber?

Per un attimo, la donna rimase immobile. Poi lo guardò con disgusto. — Trovi davvero gli argomenti più antipatici.

— Può darsi… ma non è ancora una risposta, la tua.

— Sono… be’, gente di cui non si parla. Rivolgiti a Krannon; da me non saprai altro. — L’afferrò per il braccio, trascinandolo verso l’uscita. Chiuse la porta sbattendola forte.

Ora avrebbe dovuto scoprire chi era Krannon.

L’ufficio matricola registrava un individuo con quel nome, e gli diede l’indicazione del suo turno e del punto in cui lavorava. Non era lontano, e Jason vi andò. Era un grande edificio cubico privo di finestre, con una parola soltanto, Viveri, accanto alle entrate, tutte sigillate. Per introdurvisi, Jason passò attraverso una serie di camere automatizzate che lo sottomisero a ultrasuoni, ultravioletti, antibiotici, spazzole rotanti e tre docce finali. Infine fu ammesso, bagnato come un pulcino ma molto più pulito, alla zona principale. Uomini e robot ammucchiavano casse, e a uno di loro domandò di Krannon. il colono lo guardò dall’alto in basso, e sputò per terra, prima di rispondere.

Krannon lavorava da solo. Quando Jason si avvicinò, smise di accatastare balle, e si sedette su una di esse. Era un individuo tarchiato, sul cui volto sembrava scolpita l’infelicità; e le rughe sembrarono approfondirsi, mentre Jason gli spiegava il motivo per cui era venuto lì.

Sbadigliò senza farne mistero. Quando Jason ebbe finito, sbadigliò ancora, e non si prese neppure la briga di dire una parola.

Jason insistette. — Dunque non avete vecchi libri, documenti, registrazioni o roba simile?

— Avete pescato proprio il tipo adatto, straniero — esclamò Krannon. — Da ora in avanti, vedrete quanti guai!

— Perché?

— Perché? — Per la prima volta, sembrò animarsi. — Vi dirò io perché! Ho fatto uno sbaglio, una volta, e mi hanno condannato senza appello. Per sempre… che ne dite? Sempre da solo; e dover prendere ordini anche dai grubbers.

Jason si sforzò di controllarsi.

— I grubbers? Cosa sono?

L’assurdità di quella domanda sbalordì Krannon: gli pareva impossibile che al mondo esistesse qualcuno che non aveva mai sentito parlare dei grubbers. Un’espressione compiaciuta gli comparve sul volto. Aveva davanti qualcuno che l’avrebbe ascoltato…

— I grubbers sono traditori… ecco cosa sono. Traditori della razza umana, e dovrebbero essere eliminati. Vivono nella giungla.

— Cioè sono uomini… coloni come voi?

— Non come me egregio. Non ripetete questo sbaglio, se volete vivere…

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