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Fred Hoyle: La Nuvola nera

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Fred Hoyle La Nuvola nera

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L’ombra mortale di una nuvola di gas avvolge la Terra. Mentre i politici si agitano vanamente, alcuni scienziati giungono a una straordinaria scoperta: la Nuvola non è solo un ammasso di gas… In questo classico della fantascienza (1958), suspence, credibilità scientifica (Hoyle è uno scienziato), e infiniti spunti di riflessione sui rapporti scienza-politica.

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Riunione a Londra

Quattro giorni prima, a Londra, nella sede della Reale Società Astronomica, si era tenuta un’importante riunione. Non era stata la Reale Società Astronomica a convocarla, ma l’Associazione Astronomica Britannica, associazione formata essenzialmente da astronomi dilettanti.

Chris Kingsley, professore di astronomia all’Università di Cambridge, nel primo pomeriggio prese il treno, diretto a Londra per quella riunione. Era un fatto insolito che lui, il più teorico dei teorici, intervenisse a una riunione di osservatori dilettanti. Ma aveva sentito parlare di certe inspiegabili inesattezze nella posizione dei pianeti Giove e Saturno. Kingsley non ci credeva, ma a suo avviso lo scetticismo doveva sempre avere una base solida. Perciò voleva sentire cosa avrebbero raccontato quei bei tipi.

Quando giunse a Burlington House, in tempo per il tè delle quattro, notò con sorpresa che c’erano numerosi altri astronomi professionisti, e perfino l’Astronomo Reale. Si era appena seduto quando il dottor Oldroyd, presidente, avviò la riunione con queste parole:

«Signore e signori, ci siamo qui riuniti per discutere alcune nuove interessanti scoperte. Ma prima di dar la parola al primo oratore, voglio dirvi quanto siamo compiaciuti di veder qui fra noi tanti illustri ospiti. Nutro fiducia che ad essi non parrà di aver sprecato il tempo che ci hanno concesso, e confido quindi che si dimostrerà ancora una volta la funzione che spetta agli astronomi dilettanti.»

A queste parole Kingsley rispose con una risatina repressa e alcuni suoi colleghi si agitarono sulla sedia. Il dottor Oldroyd continuò:

«Ho l’onore di cedere la parola al signor George Green.»

Il signor George Green balzò dalla sua sedia, a metà della stanza, e si affrettò verso il podio stringendo nella destra un gran fascio di carte.

Per i primi dieci minuti Kingsley ascoltò con cortese attenzione il signor Green, il quale andava mostrando le lastre impressionate col suo telescopio privato. Ma quando i dieci minuti furono diventati un quarto d’ora, cominciò ad agitarsi e la mezz’ora successiva fu un vero tormento: accavallava le gambe, la destra sulla sinistra e viceversa, si volgeva ogni momento a guardare l’orologio sulla parete. Ma non servì a nulla: il signor George Green non mollava la presa. L’Astronomo Reale fissava Kingsley con un sorriso tranquillo. Gli altri colleghi gongolavano, e non staccavano mai gli occhi da Kingsley: cercavano di calcolare fra quanto ci sarebbe stata l’esplosione.

Ma l’esplosione non ci fu, perchè il signor Green all’improvviso parve ricordarsi dell’argomento del suo discorso. Piantando la descrizione del suo adorato telescopio, cominciò a buttar là dati e cifre: pareva un cane che si scuote l’acqua di dosso dopo aver fatto il bagno. Aveva osservato Giove e Saturno, ne aveva misurata con cura la posizione e aveva trovato alcune discrepanze rispetto all’Almanacco Nautico. Corse alla lavagna, scrisse i dati seguenti, e poi si rimise a sedere:

Discrepanza in

longitudine

Discrepanza in

declinazione

GIOVE

+ 1 minuto 29 secondi

— 49 secondi

SATURNO

+ 42 secondi

— 17 secondi

Kingsley non potè sentire il grande applauso offerto al signor Green come compenso della sua fatica. Soffocava di rabbia. Era venuto alla riunione pensando di sentir parlare di discrepanze nell’ordine di non più di qualche decimo di secondo al massimo. Queste discrepanze si possono attribuire a misurazioni imprecise di astronomi incompetenti. Oppure di qualche sottile sbaglio di natura statistica. Ma le cifre che il signor George aveva scritto sulla lavagna erano assurde, fantastiche, così grosse che le avrebbe vedute un cieco: il signor George Green doveva aver fatto qualche svarione spaventoso.

Non si creda per questo che Kingsley fosse un intellettuale snob: tuttavia per principio era contrario ai dilettanti. Meno di due anni prima, proprio in quella sala, aveva ascoltato la relazione di un tale assolutamente sconosciuto; si era subito accorto del valore e della competenza di quel lavoro, e fu il primo a elogiarlo pubblicamente. La bestia nera di Kingsley era l’incompetenza, non quella, per così dire, domestica, ma l’altra, quella che si ostenta in pubblico. Sotto tale aspetto era pronto a andare in bestia, di qualunque cosa si trattasse, arte, musica o scienza.

Questa volta era proprio una caldaia piena di rabbia. Tante erano le idee che gli balenavano in mente che non sapeva scegliere la frase adatta. E prima che riuscisse a decidersi, il dottor Oldroyd saltò su all’improvviso:

«Ho il grande piacere,» disse, «di dare la parola all’Astronomo Reale.»

L’Astronomo Reale aveva pensato di dir poche, precise parole, ma ora non seppe resistere alla tentazione di fare un discorso più lungo, solo per il piacere di guardare in viso Kingsley. Per Kingsley non poteva esserci tormento maggiore che sentir ripetere quel che aveva detto il signor George Green: eppure l’Astronomo Reale fece proprio questo. Per prima cosa fece proiettare le diapositive con su fotografata l’attrezzatura dell’Osservatorio Reale, quindi fece vedere gli astronomi al lavoro e le varie parti dei telescopi; poi continuò, spiegando nei particolari come funziona un telescopio, e in termini che parevano scelti apposta per farsi capire da un bambino tardivo. E tutto questo fece con tono misurato, sicuro, e non esitante, come quello del signor Green. Dopo circa 35 minuti di questa commedia sentì che la salute di Kingsley doveva essere in pericolo, e perciò decise di venire al sodo.

«I nostri risultati confermano all’ingrosso quel che vi ha già detto il signor Green. Giove e Saturno sono fuori di posizione, in misura press’a poco eguale a quella già dichiarata dal signor Green. Fra i suoi risultati e i nostri vi sono certe piccole discrepanze, ma nelle linee generali siamo d’accordo.

«L’Osservatorio Reale ha anche osservato che i pianeti Urano e Nettuno sono fuori di posizione, non certo nella stessa misura di Giove e di Saturno, ma tuttavia in misura apprezzabile.

«Debbo infine aggiungere che ho ricevuto una lettera da Grottwald di Heidelberg: mi dice che l’Osservatorio di Heidelberg ha ottenuto risultati in perfetto accordo con quelli dell’Osservatorio Reale.»

Non appena fu tornato al suo posto, il presidente si rivolse ai presenti:

«Signori, avete sentito questo pomeriggio risultati che io oserei definire di primissima importanza. La riunione di oggi sarà forse una pietra miliare nella storia dell’astronomia. Non voglio rubarvi altro tempo, perchè ritengo che voi tutti avrete molte cose da dire. In particolare ritengo che avranno molto da dirci i nostri teorici. Vorrei aprire la discussione chiedendo al professor Kingsley se ha osservazioni che gli piacerebbe fare.»

«No di certo, almeno finchè resta in vigore la legge contro la diffamazione,» disse un astronomo a bassa voce, rivolto al vicino.

«Signor presidente,» cominciò Kingsley, «durante i discorsi dei due precedenti oratori ho avuto tempo a sufficienza per fare un calcolo piuttosto lungo.»

I due astronomi si scambiarono un sorriso furbesco, e anche l’Astronomo Reale sogghignò dentro di sè.

«Forse ai presenti interesserà conoscere le conclusioni a cui sono giunto. Se sono giusti i risultati che ci sono stati presentati oggi — dico, se sono giusti — allora ciò significa che in prossimità del sistema solare deve esistere un corpo finora sconosciuto. E la massa di questo corpo sconosciuto deve esser pari, o forse maggiore, di quella di Giove stesso. Se non è possibile supporre che i risultati a noi sottoposti derivino da un banale errore di osservazione — dico un banale errore di osservazione — non è nemmeno possibile supporre che per tanto tempo nessuno abbia scoperto un corpo di così grande masse, esistente nel sistema solare o alla periferia di esso.»

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