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Joanna Russ: Anime

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Joanna Russ Anime

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Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo breve in 1983. Nominato per il premio Nebula per il miglior romanzo breve in 1983.

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E sapete, all’improvviso tutto ritornò normale! Non voglio dire che era di nuovo la badessa (avevo ancora molti dubbi al riguardo) ma all’improvviso mi sentivo leggero come l’aria e non c’era niente che avesse molta importanza perché avevo lo stomaco pieno di bollicine di felicità; come se fossi ubriaco, ma era molto più bello. Se la badessa Radegunde era davvero un demonio, che scherzo per la sua gente! E adesso che ci pensavo, non sembrava un demonio cattivo, era il tipo che spaventa più che quello che uccide, a parte Thorfinn, naturalmente, ma del resto Thorfinn era stato molto malvagio. E non era vero che gli angeli del Signore colpivano i malvagi? Quindi forse la badessa era un angelo del Signore e non un demonio; ma se era davvero un angelo, perché non aveva colpito i norvegesi appena arrivati, perché non aveva salvato tutti i nostri? E poi pensai che, angelo o demonio, non era più la badessa, e non mi avrebbe più voluto bene, e se non fossi stato così pieno della sciocca felicità che mi faceva il solletico dentro, quel pensiero mi avrebbe fatto piangere.

Le chiesi: — Il cattivo Thorvald si libererà, demonio?

— No — disse lei. — Neppure se io dormirò.

Io pensai: ma non mi vuole più bene.

— Ti voglio bene — disse la voce strana, ma non era quella della badessa Radegunde, e quindi non aveva significato: ma le dita morbide mi toccarono di nuovo, ed erano gentili, anche se era la gentilezza di un’estranea.

Dormi , dicevano quelle dita.

E così dormii.

Nei tre giorni che seguirono mi divertii molto, segretamente, nel vedere la gente che s’inchinava al demonio e gli baciava le mani e piangeva perché si era venduto per riscattare gli altri. Così aveva raccontato suor Hedwic. Il giovane Thorfinn era uscito di notte per pisciare, e al buio era inciampato in un sasso e si era rotto l’osso del collo, e i nostri erano contenti, ma anche ai suoi compagni sembrava non importasse molto, a parte un giovane che era stato suo amico, credo, e che andava in giro con la faccia lunga. Thorvald mi chiudeva con il demonio nello studio della badessa tutte le notti e se ne andava, così diceva la gente, a trovare una delle donne giovani; ma quelle notti il demonio taceva, e io stavo sdraiato con il formicolio segreto dell’allegria nello stomaco, e non mi preoccupavo di niente.

La terza mattina mi svegliai sobrio. Il demonio, o la badessa (perché di giorno era così simile alla badessa Radegunde che non sapevo più cosa pensare) mi prese per mano e mi condusse da Thorvald, che stava scegliendo gli schiavi da caricare sulle barche dei norvegesi. La gente stava lì, e piangeva e si torceva le mani: e mi sembrava strano perché la badessa aveva promesso di scegliere quelli la cui partenza avrebbe causato minori sofferenze; ma oggi so che una minore sofferenza non significa non soffrire affatto. Il tempo era pessimo, nebbia e pioggia fredda, e alcuni dei compagni di Thorvald gli parlavano con aria acida in norvegese, ma lui rispondeva con allegra sicurezza, prendendo alla leggera il tempo. Il demonio gli andò vicino e gli disse in tedesco, a voce bassa perché nessun altro sentisse: — Ora di’ che andiamo in cerca del tesoro della badessa, e poi vieni con noi nel bosco.

Thorvald parlò ai suoi compagni in norvegese e quelli si accigliarono; ma alla fine venne deciso che altri due venissero con noi, perché il demonio diceva che occorrevano tre uomini per portare il tesoro. Il demonio aveva l’aspetto e la voce della badessa Radegunde, tutta sorrisi, e quelli si lasciarono ingannare. Così ci addentrammo fra gli alberi dietro il villaggio, mentre la pioggia diventava più forte e il terreno incominciava ad ammollarsi sotto i piedi. Non appena il villaggio fu fuori di vista, i due norvegesi rimasero distanziati, ma Thorvald non sembrò notarlo; mi voltai indietro e vidi il primo uomo fermo nel fango, con un piede alzato come un’oca, e il secondo con la testa sollevata e la bocca aperta e la pioggia che vi cadeva dentro. Continuammo a camminare, con la terra che si attaccava alle scarpe, e l’acquazzone che ci infradiciava: Thorvald aveva i capelli incollati alla faccia, e il vecchio mantello marrone s’era appiccicato addosso al corpo del demonio. Poi all’improvviso, il demonio incominciò ad ansimare e si portò la mano al fianco con un grido. Il mantello cadde, e il demonio avanzò barcollando tra gli alberi: non piangeva, ma respirava a fatica. Allora vidi davanti a noi, sotto gli scrosci di pioggia, una specie di splendore fra i tronchi nudi, e quando ci avvicinammo lo splendore divenne più nitido, fino a quando potei vederlo bene: non era come un fuoco nella notte, ma una luce mite e serena, come il sole quando passa attraverso le nubi, dolcemente ma senza forza, come accade spesso all’inizio dell’anno.

E in quello splendore c’era gente, uomini e donne tutti vestiti di bianco, e ci tendevano le braccia, e il demonio corse verso di loro, gridando a gran voce e piangendo, senza badare ai rami degli alberi che gli urtavano il viso e il corpo. A volte cadeva, ma si rialzava in fretta. Quando raggiunse quegli strani esseri loro l’abbracciarono, e io pensai che il sudiciume e il fango cadeva e si staccava senza sporcare gli indumenti candidi. Nessuno di quegli esseri strani disse una parola, e neppure la badessa (allora capii che non era un demonio) ma li sentii parlarsi, li sentii con la mente, anche se non so come fosse possibile e non capivo il senso di ciò che dicevano. Una cosa strana fu che quando mi avvicinai vidi che non stavano sul terreno, come avviene in natura, ma più in alto, all’interno dello splendore, e che le loro vesti bianche erano completamente diverse dalle nostre perché aderivano al corpo, e si vedevano le gambe fino al punto dove si uniscono, persino le gambe delle donne. E alcuni erano come noi, ma moltissimi avevano un colorito più scuro, e sembrava che certuni si fossero spalmati di fuliggine (ne esistono nelle parti lontane del mondo, come scoprii più tardi, e quello è il loro colore naturale) e certuni avevano gli strani occhi obliqui di cui aveva parlato la badessa… ma la cosa più strana non ve la dirò subito. Quando la badessa li ebbe abbracciati e baciati tutti, e tutti ebbero pianto, si voltò a guardarci: Thorvald immobile come se fosse trattenuto da una corda, e io, che non avevo più paura e mi ero avvicinato furtivamente con reverenza, perché c’era una grande gioia che circondava quella gente, come la loro luce, mite come la luce di primavera, ma forte come in una primavera dove l’inverno se n’è andato per sempre.

— Vieni qui, Thorvald — disse la badessa, e dalla sua espressione non si capiva se l’amava o l’odiava. Lui si avvicinò, a scatti, e lei si chinò a toccargli la fronte con le dita; e Thorvald aggricciò le labbra come un cane quando ringhia.

— Come sai — disse la badessa senza alzare la voce, — io ti odio e voglio vendicarmi di te. L’ho giurato a me stessa tre giorni fa, e sono promesse che non s’infrangono facilmente.

Lo vidi ringhiare di nuovo e distogliere gli occhi da lei.

— Tra poco dovrò andare — disse la badessa, impassibile, — perché non potrei restar qui ancora per molti anni semplicemente come Radegunde, e Radegunde non esiste più: nessuno di noi può rimanere qui a lungo con la propria personalità e con il proprio corpo, perché se lo facessimo impazziremmo come Sibihd o ci getteremmo nel fiume e annegheremmo o arresteremmo il nostro cuore perché il vostro mondo ci appare troppo infelice, perverso e brutale. Non possiamo venire in gran numero, perché siamo pochi e non abbiamo molta forza, e abbiamo molte cose da imparare e dobbiamo studiare la vostra gente per poter insegnare e aiutare senza rovinare tutto nella nostra ignoranza. E ignoranti o sapienti che siamo, non possiamo far nulla se la vostra gente non ci aiuta.

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