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Joanna Russ: Anime

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Joanna Russ Anime

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Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo breve in 1983. Nominato per il premio Nebula per il miglior romanzo breve in 1983.

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Joanna Russ

Anime

Privata d’altri banchetti
invitai me stessa…

Emily Dickinson

Questa è la storia della badessa Radegunde e di ciò che accadde quando vennero i norvegesi. Non la racconto come mi fu raccontata, ma come la vidi io, perché allora ero un bambino e la badessa mi teneva come fattorino prediletto, anche se la vecchia e severa madre guardiana, Cunigunt, che era sopravvissuta alla precedente badessa, diceva che io stavo più nell’abbazia che fuori, e che era uno scandalo. Ma la badessa si limitava a rispondere con fare mite: — Cara Cunigunt, uno scandalo a sette anni? — e così la buttava in scherzo, perché sapeva com’era odiosa la mia nuova matrigna, e mio padre non si curava di me, e io non avevo fratelli né sorelle. Dovete capire che scherzare e chiamare gli altri «caro» e «cara» era un suo modo di fare: sotto ogni punto di vista era una donna eccezionale. La precedente badessa, Herrade, aveva scoperto che Radegunde, che le era stata affidata perché l’allevasse, aveva grandi doti, e perciò l’aveva mandata nel meridione per farla studiare, e questo non era mai successo prima da noi. Si racconta che la badessa Herrade aveva trovato Radegunde nel suo studio, intenta a leggere, sembrava, un grande volume miniato; la bambina l’aveva tirato giù dal leggio e sedeva sul pavimento tenendolo sulle ginocchia; si succhiava il pollice e con l’altra mano girava le pagine come se leggesse davvero.

— Piccola — disse la badessa Herrade, che era una donna gentile, — che cosa stai facendo? — Immagino le sembrasse divertente che Radegunde, a due anni, fingesse di leggere quel volume, il più grosso e il più bello dell’abbazia, che pure aveva molti più libri di qualunque altro monastero o convento che abbia mai sentito parlare: ne aveva ben quaranta, ricordo. E del resto, la piccola Radegunde non lo stava rovinando.

— Leggo, madre — rispose la bambina.

— Oh, leggi? — disse sorridendo la badessa. — Allora spiegami cosa stai leggendo — e indicò la pagina.

— Questa — disse Radegunde, — è una D maiuscola circondata da fiori e tante altre cose belle, per mostrare che Dominus , il Signore, è la cosa più grande e più bella, e fa crescere ogni cosa e l’abbellisce; e dice Domine da nobis pacem , che significa «Donaci la pace, Signore».

La badessa incominciò ad allarmarsi, ma chiese soltanto: — Chi te l’ha mostrato? — Pensava che Radegunde avesse sentito qualcuno leggere le parole, o l’avesse chiesto alle suore, di nascosto.

— Nessuno — rispose la bambina. — Devo continuare? — E lesse pagine e pagine in latino, spiegando cosa significavano le parole.

La storia non è tutta qui; ma dirò soltanto che, dopo molte preghiere, la badessa Herrade mandò la figlia adottiva molto lontano, a sud, addirittura a Poitiers, dove un tempo santa Radegunde aveva governato un’abbazia, e alcuni dicono persino a Roma; e laggiù Radegunde imparò tutto ciò che si può imparare, perché tutto il sapere del mondo è rimasto conservato in quei luoghi. Radegunde ritornò quando ormai era una donna, e assistette la badessa durante le sua ultima malattia, e diventò badessa a sua volta. Dicono che i grandi della Chiesa, laggiù al sud, avrebbero voluto tenerla tra loro, perché era un prodigio di pietà e di sapienza, e là la vita era sicura e comoda, e meno disagevole di quanto sia qui; ma lei diceva che i cieli grigi e gli inverni piovosi del suo luogo natale erano un richiamo per la sua anima. Mi raccontò spesso la storia, quando ero piccolo: mi disse che s’era mostrata testarda e decisa, e aveva sofferto tanto la nostalgia della sua patria che alla fine l’avevano rimandata indietro, pensando che una vita dura nel fango d’un villaggio del nord sarebbe stata una buona cura per un’anima tanto ribelle.

— E così fu — mi diceva, accarezzandomi la guancia o tirandomi un orecchio. — Vedi come sono umile adesso? — Perché dovete capire che tutti quei discorsi sulla sua giovinezza ribelle di vent’anni prima erano una specie di scherzo tra di noi. — Non farlo anche tu — mi diceva, e ridevamo insieme; e io ridevo tanto all’idea di diventare un pio e dotto monaco che mi tenevo i fianchi e non riuscivo a parlare.

Era buona con tutti. Conosceva tutte le lingue, non soltanto la nostra, ma anche l’irlandese e le lingue che si parlano al nord e al sud, e anche il latino e il greco, e tutte le altre del mondo, e le sapeva anche leggere e scrivere. Sapeva curare le malattie, sia con i sistemi delle vecchie, con le erbe e le mignatte, sia con i libri. E non si era mai vista una donna più pia! Certuni parlano male di lei, adesso che non c’è più; e dicevano che era troppo allegra per essere una buona badessa, ma lei rispondeva: — L’allegrezza è i fiori di Dio — e quando d’inverno una volta il vento le storse la cuffia e le scoprì i capelli grigi (successe mentre c’ero anch’io, e vidi le facce scandalizzate delle suore che erano con lei) si limitò a rimetterla a posto con un sorriso, e disse: — Vento sfacciato! Dimostri di avere forza più grande di quella di noi stolti umani, perché ti viene da Dio. — E questo commento fece sorridere le suore.

Nessuno l’aveva mai vista arrabbiata. Qualche volta si spazientiva, ma bonariamente, come se avesse la mente altrove. L’aveva in Paradiso, pensavo, perché l’ho vista pregare per ore, o gettarsi in ginocchio, in mezzo alla palude, mentre guardava le anatre selvatiche che volavano verso sud, con le mani giunte e una sorta di grande gioia sul viso; e un momento dopo si rialzava, si guardava l’abito infangato e gridava, un po’ dispiaciuta e un po’ ridendo: — Oh, cosa mi dirà la suora lavandaia? Sono incorreggibile! Bimbo caro, non dirlo a nessuno: racconterò che sono caduta. — E poi si copriva la bocca con la mano, arrossiva e rideva ancora di più. — Sono davvero incorreggibile! Dico le bugie!

In paese pensavano fosse una santa, naturalmente. Allora eravamo tutti felici, o almeno adesso mi sembra così: eravamo fortunati e sani, e felici di averla tra noi, a brillare come un grande falò che ci riscaldava tutti, anche quelli che non capivano perché la vita sembrava così bella. C’erano meno malattie; il cibo era migliore; persino il clima era mite; e la gente non litigava come aveva fatto prima di lei, e come fa di nuovo adesso. E non credo, considerando quello che successe alla fine, che tutto questo fosse soltanto la fantasia di un bambino che aveva trovato la madre, perché lei era come una madre; le raccontavo tutti i pettegolezzi e facevo le commissioni per lei, quando potevo, e lei mi chiamava Piccolo Messaggero in latino; ed ero più felice di quanto sia mai stato.

E poi, un giorno apparvero sul nostro fiume quelle terribili prore rostrate.

Ero con lei quando venne l’annuncio, nella stanza principale della torre dell’abbazia, dopo che il primo fuoco dell’anno era stato acceso nel grande camino; credevamo d’essere al sicuro perché non si erano mai visti tanto a sud, e ormai la stagione era troppo avanzata perché un navigatore di buon senso si trovasse nelle nostre acque. L’abbazia ospitava in quei giorni tre preti irlandesi che impallidirono quando la giovane suor Sibihd corse a dare l’annuncio, piangendo e torcendosi le mani; e uno dei preti esclamò qualcosa in latino che significa «Dio ci protegga!» perché ci avevano raccontato del terribile sacco del monastero di San Colombano, quando tutti erano fuggiti con i manoscritti preziosi o si erano nascosti nei boschi; ed era per questo che padre Cairbre e gli altri due avevano deciso di «girare il mondo» perché (mi aveva spiegato tutto la badessa, dato che io non sapevo il latino) è così che dicono gli irlandesi quando devono lasciare la loro terra natale per andare altrove.

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