Joanna Russ - Anime

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Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo breve
in 1983.
Nominato per il premio Nebula per il miglior romanzo breve
in 1983.

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«Vuoi che ti racconti una storia, ora?

— Del tuo Cristo? — chiese Thorvald, con la collera ancora sul volto.

— No — disse lei. — Di uomini e donne viventi. Rispondimi, Torvald, voi uomini che cosa volete da noi donne?

— Essere uccisi dalle vostre chiacchiere — disse lui, e vidi che era ancora un po’ in collera, ma la stava buttando in scherzo.

La badessa rise allegramente. — Molto spiritoso! — disse, rialzandosi e spolverandosi le foglie dalla gonna. — Sei un uomo molto intelligente, Torvald. Thorvald, scusami: continuo a dimenticarlo. Ma in quanto a ciò che gli uomini vogliono dalle donne, se lo chiedessi ai giovani, strizzerebbero l’occhio e si scambierebbero gomitate nelle costole. Tuttavia s’ingannano. Quello è solo il corpo che chiama un altro corpo. Vogliono qualcosa di molto diverso, e lo vogliono con tanta intensità che ne hanno paura. Perciò pretendono che sia qualunque altra cosa: piacere, comodità, una serva in casa. Sai in realtà che cosa vogliono?

— Che cosa? — domandò Thorvald.

— La madre — disse Radegunde. — Come la vogliono anche le donne. Tutti vogliamo la madre. Mentre camminavo davanti a te sulla riva del fiume, ieri, facevo la parte della madre. Tu non facesti niente, perché non sei un giovane sciocco; ma io sapevo che prima o poi uno di voi, così tormentato dalla nostalgia da odiarmi per questo, si sarebbe rivelato. Ed è stato così: Thorfiin, con i suoi pensieri confusi tra le streghe e le nonne e chissà che altro. Sapevo che potevo fargli paura e, per suo tramite, potevo far paura a molti di voi. Quello è stato l’inizio della mia contrattazione. Nel vostro paese voi norvegesi avete troppo del padre e non avete abbastanza della madre; ed è per questo che sapete morire così bene e uccidere così bene gli altri… e vivete così male, così male.

— Ecco che ricominci — disse Thorvald; ma credo che desiderasse comunque ascoltare.

— Perdonami, amico — disse la badessa. — Voi siete uomini coraggiosi; non lo nego. Ma conosco le vostre saghe, e tutte parlano di combattimenti e battaglie; e dopo, niente felicità paradisiaca, ma la fine del mondo: tutti, persino gli dei, finiranno divorati dal lupo Fenris e dal serpente di Midgaard! Che peccato, morire valorosamente solo perché la vita non merita d’essere vissuta! Gli irlandesi sono più furbi. Gli irlandesi pagani erano eroi, con le loro regine che spesso li guidavano in battaglia; e padre Cairbre, che Dio accolga la sua anima, appena due giorni fa si lamentava che il popolino irlandese sta empiamente trasformando in una dea la Madre di Dio. Costruiscono forse santuari in onore di Cristo nostro Signore, e lo pregano? No! Loro pregano nostra Signora delle Rocce e nostra Signora del Mare e nostra Signora del Bosco e nostra signora di questo e di quello, da un capo della loro terra all’altro. E persino qui, soltanto quelli dell’abbazia parlano di Dio Padre e del Cristo. Nel villaggio, se qualcuno è malato o preoccupato, prega: Madre Santissima, salvami! e Maria Virgo , intercedi per me; e Madonna benedetta, acceca mio marito; e Nostra Signora, conserva le mie messi, e cosi via, e lo dicono gli uomini e le donne. Tutti abbiamo bisogno della madre.

— Anche tu?

— Più di tanti altri — rispose la badessa.

— E io?

— Oh, no — disse la badessa Radegunde, fermandosi all’improvviso, perché mentre parlava c’eravamo incamminati verso il villaggio. — No, ed è ciò che subito mi ha attratto a te. L’ho visto in te, e ho capito che eri il capo. Sono i seguaci che fanno il capo, lo sai, e i tuoi compagni ti hanno fatto capo, anche se forse tu non lo sai. Ciò che tu vuoi è… come posso dirlo? Sei un uomo intelligente, Thorvald, forse il più intelligente che abbia mai incontrato, ancor più dei dotti che ho conosciuto in gioventù. Ma la tua intelligenza non ha ricevuto nutrimento: è un’intelligenza del mondo e non dei libri. Tu vuoi viaggiare e conoscere la gente e i suoi costumi, e luoghi strani, e che cosa è accaduto agli uomini e alle donne del passato. Se mi porterai a Costantinopoli, non lo farai per ricavare un prezzo vendendomi, ma soltanto per andare là; hai scelto di andar per mare perché questa smania ti prudeva dentro, e alla fine non l’hai più sopportata: lo so.

— Allora sei una strega — disse lui senza sorridere.

— No, ho soltanto visto la tua faccia quando parlavi di quella città — disse la badessa. — E corre voce che da giovane passassi molto tempo a Goteborg, oziando e guardando con meraviglia le navi e i mercati quando avresti dovuto essere invece nella tua fattoria.

Poi disse: — Thorvald, io posso nutrire la tua intelligenza. Sono la donna più sapiente del mondo. So tutto… tutto! So più dei miei maestri; l’invento o mi viene nella mente così, non so come, ma è reale… reale! E ne so più di chiunque altro. Portami via da qui, come schiava se vuoi, ma anche come amica, e andiamo a Costantinopoli a vedere le cupole d’oro, e i muri intarsiati d’oro, e il popolo così ricco che neppure puoi immaginarlo, e tutta la città così dorata che sembra in fiamme, e dipinti alti come un muro, inseriti nei muri e tutti formati di gemme che non hanno eguali, più rosse della rosa più rossa, più verdi dell’erba, e di un azzurro che fa impallidire il cielo!

— Sei veramente una strega — disse Thorvald, — e non la badessa Radegunde.

Lei disse, lentamente: — Sto dimenticando, credo, come si fa ad essere la badessa Radegunde.

— Allora non ti curerai più di loro — disse il norvegese, e indicò suor Hedwic, che continuava a guidare la barcollante suor Sibihd.

Il viso della badessa era calmo e mite. — Mi curo di loro — disse. — Non picchiarmi, Thorvald, mai più, e sarò per te una buona amica. Cerca di tenere a freno i tuoi uomini peggiori e lascia liberi tutti i miei, o almeno più che potrai… io li conosco e ti indicherò quelli che potrete portar via causando minori sofferenze a loro e ad altri… e io nutrirò la tua curiosità e la tua intelligenza fino a quando non riconoscerai più questo vecchio mondo, per la meraviglia: te lo giuro sulla mia vita.

— D’accordo — disse lui, e soggiunse: — Ma con la fortuna che ho io, la tua vita sarà altrove, chiusa in uno scrigno in vetta a una montagna, come quella del troll della leggenda; oppure tu morirai di vecchiaia mentre stiamo ancora navigando.

— Sciocchezze — disse la badessa. — Sono una donna mortale e sana, e ho ancora tutti i miei denti, e ho intenzione di fare collezione di molte altre rughe.

Thorvald tese la mano e lei la prese; poi il norvegese disse, scuotendo meravigliato la testa: — Se ti vendessi a Costantinopoli, in meno di un anno ne diventeresti la regina.

La badessa rise allegramente, e io gridai, spaventato: — Anch’io! Porta anche me — e lei disse: — Oh, sì, non dobbiamo dimenticare il Piccolo Messaggero — e mi prese in braccio.

L’uomo alto e terribile, con la faccia vicina alla mia, disse in quel suo strano tedesco cantilenante:

— Bambino, ti piacerebbe vedere le balene che saltano nel mare aperto e le foche che latrano sugli scogli? E rupi così alte che un gigante non ne toccherebbe la cima neppure tendendo le braccia? E il sole che splende a mezzanotte?

— Sì — dissi io.

— Ma sarai schiavo — disse lui, — e forse sarai maltrattato e dovrai sempre fare quello che ti ordinano. Questo ti piacerebbe?

— No! — gridai con foga, al sicuro tra le braccia della badessa. — Combatterò!

Thorvald rise fragorosamente e mi spettinò i capelli, con troppa forza, pensai, e disse: — Non sarò un cattivo padrone, perché ho il nome di Thor Barbarossa, che è forte e svelto in battaglia, ma anche bonario, e lo sono anch’io. — E la badessa mi mise giù, e così tornammo verso il villaggio, mentre Thorvald e la badessa Radegunde parlavano degli splendori del mondo e suor Hedwic diceva sottovoce: — È una santa, la nostra badessa è una santa, a sacrificarsi così per il bene della sua gente — e sempre, dietro di noi come un ricordo, venivano i singhiozzi soffocati e dementi di suor Sibihd, che era all’Inferno.

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